Rugby, Favretto: “Il rugby è la mia casa, ma anche fuori dal campo amo costruire e creare”
Riccardo Favretto è uno di quei giocatori che incarnano perfettamente il rugby moderno: seconda linea, flanker o numero 8 con la stessa naturalezza, un vero utility forward come lui stesso si definisce. Dopo anni segnati dagli infortuni, il talento del Benetton Treviso è tornato protagonista, con l’obiettivo di conquistarsi un posto fisso in Nazionale in vista della sfida contro l’Australia. “Sento la fiducia del gruppo e degli allenatori, stiamo lavorando bene e l’aria è quella giusta. Arriveremo all’Australia sapendo che nessuno è superiore per diritto divino: tutto si decide in quegli 80 minuti”.
Fuori dal campo, Favretto è un personaggio unico. Oltre a essere papà e marito, è il barbiere del gruppo azzurro: “Tutto è nato durante il Covid, per necessità, ma poi è diventata una passione vera e propria. Tagliare i capelli ai compagni è un modo per stare insieme anche fuori dal campo”. E non solo capelli: il suo stile si riconosce anche dai baffi, simbolo del Movember, iniziativa che sostiene con convinzione. “Avendo avuto un compagno di squadra come Nasi Manu che ha affrontato un tumore, questa causa mi tocca da vicino. È un piccolo gesto, ma fatto con grande cuore”.
Tra le sue passioni spiccano anche i tatuaggi e la pesca, due modi diversi di esprimersi e di ritrovare equilibrio. “Durante il Covid ho iniziato a tatuare su pelli sintetiche, poi ho seguito corsi e imparato da amici. Mi piace l’idea di creare qualcosa che resti. E pescare è il mio modo per staccare: porto spesso anche mio figlio Leone, ha solo tre anni ma già vuole venire con me”.
Il rugby, però, resta il suo punto fermo. “È lo sport che ho scelto da bambino e che mi ha dato un senso di appartenenza che nessun altro mi ha trasmesso. I miei testimoni di nozze sono compagni dell’Under 18, segno di quanto questo sport crei legami veri”. E sul suo ruolo in campo, Favretto non ha dubbi: “Non ho una posizione preferita. Mi piace adattarmi, capire e imparare. Credo che nel rugby moderno il numero sulla schiena conti sempre meno: l’importante è farsi trovare pronti, ovunque serva”.

