Andrea Dallavalle: “Io un Howe 2.0, ma l’argento è gioia, non rimpianto. Il WR di Edwards? Oggi è lontano per tutti”
L’azzurro Andrea Dallavalle ha conquistato la medaglia d’argento nel salto in lungo maschile ai Mondiali senior 2025 di atletica leggera, andati in scena a metà settembre a Tokyo, in Giappone: il triplista italiano ha rilasciato un’intervista ad Edoardo Diamantini per OA Sport nella quale ha descritto le emozioni provate nella rassegna iridata, ponendo poi il mirino sui prossimi obiettivi della carriera.
Cos’hai provato quando hai letto 17.64?
“C’è stato un misto di incredulità ed euforia. Alla fine sapevo di avere nelle gambe un buon salto, perché stavo molto bene, però finché non leggi la misura sul tabellone diciamo che è sempre un ‘sogno’ che deve realizzarsi. Quel momento, che mi ha proiettato in prima posizione, sembrava una follia solo a pensarlo fino a qualche anno fa: poter dire di essere primo ai Mondiali all’ultimo salto è stata una botta di adrenalina che fatico a spiegare“.
È maggiore la gioia per l’argento o il rimpianto di essere stato campione del mondo per soli 3 minuti?
“Per l’argento è più la gioia onestamente, per come è arrivato, per la gara in sé, considerando che era la mia prima gara dell’anno. Non ci sono cose negative alla fine, ovviamente è stato bello assaporare l’oro, ma si tratta comunque di una medaglia mondiale. Fossi stato sbalzato fuori dal podio di nuovo sarebbe stato nettamente diverso, invece così ho assaporato l’oro, ma l’argento è comunque una medaglia mondiale. Mi ha riempito di soddisfazione e di gioia, non posso assolutamente lamentarmi“.
Hai vissuto una situazione identica a quella di Andrew Howe nel 2007: ti aspettavi quell’ultimo salto di Pichardo?
“Mi sono reso conto solo dopo di aver replicato un Andrew Howe 2.0 a distanza di 18 anni. È stata ‘iconica’ come cosa. Sapevo che fra i tre che dovevano ancora saltare il più pericoloso in assoluto era Pichardo, non perché dagli altri non mi aspettassi un salto migliore, però per le probabilità era quello più pericoloso che mi poteva superare di nuovo. Quindi diciamo che me l’aspettavo, e purtroppo le mie paure si sono avverate“.
Il 17.64 è stato il salto della vita o pensi di poter ulteriormente incrementare questa misura?
“È stato un gran salto, però non è stato un salto inaspettato del tipo; ‘Non sapevo di poterlo fare’ o ‘Ero in una condizione fisica per cui non me lo sarei mai immaginato’. Sapevo di stare molto bene. Mi piace pensare che in futuro possa ambire a rifarlo, se non a migliorarlo. Se pensassi di non poterlo migliorare, potrei benissimo smettere di allenarmi, ma non mi sento arrivato, quindi proseguo con la convinzione di poterlo replicare“.
Hai dovuto fronteggiare tanti infortuni in carriera: cosa ti ha dato la forza di reagire ogni volta?
“Gli infortuni purtroppo fanno parte del gioco, poi faccio una specialità molto più traumatica delle altre. Sono abituato a reagire anche alle difficoltà, l’importante è farlo con la mentalità giusta e sapere che le cose non possono andare sempre male. L’importante è continuare a fidarsi delle persone giuste e farsi aiutare nei momenti più complicati“.
L’arrivo di Andy Diaz quanto ha stimolato te e gli altri triplisti azzurri?
“È stato un arrivo importante per la Nazionale, è indiscutibile. Nell’anno in cui ha potuto vestirla, ha portato sempre medaglie nelle sue presenze con la maglia azzurra, inoltre ha vinto in Diamond League per tre volte. È una figura di enorme stimolo secondo me, almeno per quanto mi riguarda. Avere in squadra uno così forte ti fa aspirare a raggiungere i suoi livelli e provare a dargli fastidio a livello sportivo“.
A questo punto sognare una medaglia a Los Angeles 2028 si può?
“L’obiettivo principale rimane Los Angeles 2028. È lì che bisogna arrivare nella forma perfetta. Sono convinto che bisogna stare tranquilli e lavorare nel modo corretto, senza lasciarsi prendere un po’ dall’euforia del momento. So però che non accadrà, il viaggio è ancora lungo per arrivare a Los Angeles e non bisogna fare il passo più lungo della gamba, bisogna stare tranquilli e sapere di arrivare all’estate del 2028 nelle migliori condizioni possibili“.
Pensi che nei prossimi anni il record del mondo di Edwards possa essere attaccato?
“È talmente enorme che non so se sia possibile batterlo, forse quelli che ci sono andati più vicini sono stati Taylor nel 2015, Pichardo e Jordan Díaz. Di atleti tanto forti ce ne sono, ma quel salto sembra irraggiungibile. Prima o poi sicuramente arriverà un fenomeno da qualche parte che riuscirà ad avvicinarlo o addirittura a batterlo, ma per ora non lo so. Di atleti che possono arrivarci ora non c’è nessuno, secondo me. Devono esserci le condizioni perfette, forse, per arrivarci, è difficile da pronosticare. Sicuramente verrà battuto, non so se presto o tardi, ma dovrà accadere“.
Che atmosfera si respira nella Nazionale italiana?
“Molto bella, la cosa che mi fa più piacere in assoluto è che la Nazionale assoluta la vivo con i miei amici, con cui ho fatto la Nazionale giovanile. La cosa più ‘romantica’ è che sono cresciuto con dei ragazzi e che siamo arrivati tutti al livello delle manifestazioni maggiori che si possono disputare. Penso che questo sia molto bello e crei molta più leggerezza all’interno della Nazionale. Anno dopo anno vedo proprio che i gruppi sono sempre belli ed è sempre piacevole stare assieme, questo secondo me alleggerisce anche un po’ la pressione alla vigilia di una gara“.
Nel 2026 l’obiettivo sarà la medaglia agli Europei?
“Si programmerà bene l’anno, ora ancora di più sto pensando a quello che è successo, e che ancora non ho ben realizzato. Sicuramente pianificheremo bene sia l’indoor che l’outdoor, cercheremo di portare a casa il miglior risultato nelle migliori condizioni possibili. L’obiettivo è sempre quello di gareggiare al massimo, poi bisogna vedere anche quanto saltano gli avversari, di variabili ce ne sono parecchie, però l’obiettivo è sempre quello di dare il massimo, come sempre, in ogni gara“.