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Italia-USA BJK Cup, i precedenti: avanti le americane, ma tante soddisfazioni azzurre recenti

Sono 14 i precedenti tra Italia e Stati Uniti prima di domani, vale a dire di una finale che per la prima volta vedrà queste due formazioni di fronte con, bene o male, il format che ha sostanzialmente caratterizzato la fase che va dal 2021 a oggi della Billie Jean King Cup, ex Fed Cup (e, prima ancora, per esteso, Federation Cup).

I primi tie tra le due formazioni si ebbero negli Anni ’60, quando poteva capitare di trovarsi in posti davvero esclusivi per un evento che, all’epoca, era appena nato. E si disputava su pochi giorni. La prima edizione, quella del 1963, vide subito un Italia-USA sull’erba del Queen’s, proprio quella che così grande fama ha assunto oggi. Lea Pericoli mise in difficoltà Darlene Hard, ma soprattutto Silvana Lazzarino ebbe un set di vantaggio su Billie Jean King, al tempo nemmeno ventenne e ancora Moffitt, ma già finalista a Wimbledon contro Margaret Court (al tempo solo Margaret Smith). Fu comunque 0-3.

Nel 1965, al Kooyong di Melbourne, furono quarti di finale e non primo turno, ma il risultato fu lo stesso: 3-0. Stavolta netto, senza discussioni, con Moffitt (poi King) e Carole Graebner (nata Caldwell; aveva già sposato un’altra star del tennis, Clark Graebner) a travolgere Pericoli e Francesca Gordigiani. Più o meno simile il discorso nel 1969, sempre ai quarti, ad Atene (e sul rosso), con Nancy Richey (due Slam vinti) e Julie Heldman che bastarono contro Maria Teresa Riedl e Pericoli. Altri 3-0 si ebbero nell’edizione 1971 (giocata però a fine 1970 a Perth) anche se Daniela Marzano (poi Porzio) quasi batté Sharon Walsh nel primo singolare, e nel 1973, quando anche senza i grandi nomi a Bad Homburg, sul rosso, gli States vincevano comunque.

Qualcosa cambiò negli Anni ’80, un tempo nel quale non bastavano più quelle che potevano considerarsi seconde linee. Se Kathy Horvath, nel quarto giocato a San Paolo (Brasile), faticò a battere Sandra Cecchini, una che prima linea lo era a tutti gli effetti, Zina Garrison, perse da Raffaella Reggi, che già allora sapeva bene come battere le big. Servì il doppio Jordan/Smith a fermare le azzurre. E, nel 1986, sul rosso di Praga, in un giorno di luglio successe addirittura che Sandra Cecchini riuscì a battere Chris Evert, la più grande giocatrice su terra rossa che il mondo abbia mai conosciuto. Intervenne allora Martina Navratilova, che prima batté Raffaella Reggi da sola e poi in doppio con Pam Shriver (Reggi era affiancata da Laura Garrone).

Per vicende varie da una parte e dall’altra, il successivo confronto arrivò solo dopo 13 anni. Era una semifinale, ad Ancona, e se Venus Williams batté Rita Grande, Silvia Farina s’inventò una giornata super al fine di battere Monica Seles (6-4 4-6 6-4). Poi venne la domenica e le Williams, una dietro l’altra, infilarono quattro 6-1 sconfiggendo le due azzurre. Quindi ci fu il quarto del 2003, anno in cui gli States avevano ancora un’enorme quantità di giocatrici validissime e soprattutto il vantaggio di giocare a Washington. Francesca Schiavone e Rita Grande poco poterono contro Chanda Rubin e Meghann Shaughnessy, alle vette delle loro carriere, e fu 5-0 a stelle e strisce. Nessuno poteva sapere che quella fu l’ultima vittoria USA contro l’Italia.

Nel 2009, questa sfida divenne finale, giocata a novembre e sulla terra di Reggio Calabria. A lungo tenne banco il tema Williams-non Williams; le sorelle non vennero, come già nel resto dell’anno, e gli USA si presentarono con Alexa Glatch e Melanie Oudin (la cui stella fu breve e sostanzialmente limitata agli US Open di quell’anno). Con Francesca Schiavone e Flavia Pennetta in un finale di stagione molto carico il 3-0 fu cosa fatta, e divenne 4-0 con Errani/Vinci che batterono Huber/King e quella, al tempo, fu un’impresa eccome. Il 2010 vide poche varianti: altra finale USA-Italia, a San Diego e sempre senza Williams, con Schiavone e Pennetta che chiusero la pratica sul 3-1 nei confronti di Coco Vandeweghe e Bethanie Mattek-Sands, l’una ancora lontana dai suoi migliori anni (successivi), l’altra spesso incostante in singolare, ma doppista d’alta classe poi.

Nel 2013, il primo turno (alias quarto) si giocò a Rimini, e le big erano diventate Sara Errani e Roberta Vinci. Ma se Jamie Hampton fu un problema (abbastanza) relativo, il guaio vero fu un weekend spettacolare di Varvara Lepchenko che batté tutte e due le azzurre, costrinse Vinci a prendersi il quarto singolare e le due tricolori a chiudere al doppio decisivo, un 6-2 6-2 già figlio di quel che erano al tempo (le numero 1). Altri quarti, altro anno (2014) e stavolta a Cleveland c’erano realmente due squadre ancora diverse. Karin Knapp vinse due singolari con Christina McHale e Alison Riske, Camila Giorgi il suo con una giovanissima Madison Keys e fu 3-0 (che poi divenne 3-1 col doppio). L’anno dopo sfida per restare nel World Group a Brindisi. Venne Serena Williams, batté Giorgi, Errani sconfisse Lauren Davis e andò a due punti dal battere Serena, che la rimontò (4-6 7-6(3) 6-3). Entrò in gioco Flavia Pennetta, che lasciò due game a Christina McHale e poi si unì a Sara per battere Serena e Alison Riske, che in doppio sapevano anche giocarci, ma insieme decisamente no. Totale: 5-9 USA, ma a uno 0-9 USA è seguito un 5-0 Italia.

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