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La (ex) Coppa Europa è di chi la ama: l’Italia delle stelle, del gruppo, dei cuori impavidi, degli incerottati

La cara, mitica, vecchia, affascinante, prestigiosa Coppa Europa. Un trofeo simbolo nell’universo dell’atletica, quella competizione che in un weekend metteva al centro dell’attenzione la squadra e in cui ogni atleta doveva mettersi al servizio della propria Nazione. Era stata partorita da Bruno Zauli in un panorama sportivo totalmente differente da quello odierno, pensata come teatro di confronto tra i Paesi del Vecchio Continente per premiare il miglior movimento nella Regina degli Sport.

La prima edizione ebbe luogo nel 1965, si andò poi avanti con cadenza irregolare fino al 1973, quando l’evento divenne biennale. Dal 1993 si è poi trasformata in appuntamento abituale in ogni stagione, fino al 2008. Ha poi cambiato il nome (Europei a squadre), è successivamente ritornata biennale, si è rifatta il look (classifica unificata e non più separata per uomini e donne), ma la sua essenza e il suo significato profondo sono rimasti immutati, con lo stesso fascino e un inscalfibile velo di romanticismo.

Generazioni di appassionati di atletica sono cresciute con questa competizione che esalta il valore di una Nazione, premia la completezza del movimento e certifica l’importanza più profonda del tutto per uno. Per l’Italia era un sogno alzare al cielo quel trofeo, ma non ci siamo mai dati per vinti e a Chorzow si è festeggia la prima apoteosi nel 2023. Stasera a Madrid è arrivato il secondo sigillo, con un chiaro messaggio profondo, insito nell’essenza di questa competizione: la (ex) Coppa Europa è di chi la ama.

L’Italia era incerottata e priva di diverse punte: Marcell Jacobs ha dato forfait dopo l’uscita opaca di Turku, Gianmarco Tamberi (che aveva alzato al cielo il trofeo due anni fa) deve riprendersi, Andy Diaz è acciaccato, Roberta Bruni si è dovuta chiamare fuori, ma in una situazione ottimale è emersa la profondità di squadra.

Gli Europei a squadre sono di chi si è sacrificato allo stremo delle forze: Lorenzo Patta che si è infortunato sui 100 metri quando era in testa ed è giunto al traguardo per portare a casa un punto, Alessandro Sibilio che era sotto farmaci e ha onorato l’impegno sui 400 ostacoli, Yeman Crippa che da maratoneta ha risposto presente per i 5.000 metri.

Gli Europei a squadre sono di chi si è inventato la prestazione della vita, incarnando il vero spirito della manifestazione: Paola Padovan sorprendente quinta nel tiro del giavellotto, Idea Pieroni quarta nel salto in alto, Edoardo Scotti e Anna Polinari stoici sotto due muri importanti sui 400 metri, Eloisa Coiro tonica sugli 800 metri.

Gli Europei a squadre sono dei giovani emergenti: Matteo Sioli sempre più garanzia nel salto in alto, Erika Saraceni che si è rivelata triplista del futuro. Gli Europei a squadre sono dell’incerottata 4×100: senza Jacobs, Melluzzo operato, Patta infortunato, Rigali fuori condizione, con Lorenzo Simonelli inventato ultimo frazionista, Tortu spostato in seconda, compatti nel portare il testimone al traguardo.

Gli Europei a squadre sono di chi ha sostituito i titolari all’ultimo minuto: Simone Biasutti secondo nel salto triplo al posto di Andy Diaz (Campione del Mondo Indoor e bronzo olimpico) ed Elisa Molinarolo quarta nel salto con l’asta rilevando Roberta Bruni in un momento non semplice.

Gli Europei a squadre sono delle punte assolute: Larissa Iapichino che ha vinto battendo Malaika Mihambo con un volo superbo quando era con le spalle al muro, Nadia Battocletti che ha dominato i 5.000 metri, Leonardo Fabbri che ha dettato legge nel getto del peso, Mattia Furlani che non ha esaltato come invece ha abituato, Lorenzo Simonelli secondo sui 110 ostacoli in ripresa. Viva la Coppa Europa, viva l’Italia che si conferma, vita l’atletica tricolore.

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