Alcaraz, Sinner e una finale del Roland Garros storica
Purtroppo per Jannik Sinner non è andata bene. E farà male, questo è poco ma sicuro, perché ci è stato vicino, poi se l’è vista sfuggire dalle mani, l’ha quasi ripresa e poi il tie-break lungo del quinto set ha visto Carlos Alcaraz semplicemente andare via. Ma queste 5 ore e 29 minuti difficilmente saranno dimenticate da chiunque le ha vissute, nel bene o nel male o a seconda di come la si vede. In Italia, naturalmente, resterà la grande amarezza. Il tutto in una finale del Roland Garros che a buon diritto si può definire storica, con le sue 5 ore e 29 minuti. E non è stata una lunghezza tale perché i due avevano stili non esattamente d’attacco, no: i due si sono presi ragionevolmente a mazzate durissime per larga parte del tempo. E questo fa la differenza tra il 1982 di Wilander e Vilas e questo 2025.
In buona sostanza, a Sinner è mancata la proverbiale ciliegina sulla torta. Era arrivato a Parigi con soli sei match nelle gambe, ne ha portati a casa altri sei senza mai cedere nulla. Ed è giunto fino a 31 set vinti consecutivi negli Slam, una serie incredibile in cui solo tre nell’Era Open sono stati migliori: Roger Federer (36 set), John McEnroe e Rafael Nadal (35 entrambi). Quei tre match point sono sfumati, e sul secondo più che sul terzo i rimpianti ci sono, ma la forza e la determinazione di un campione si vedono anche da altro. E, pur nella sconfitta, ha dimostrato di saper sfruttare al meglio le energie rimaste in situazione meno favorevole. Quando aveva tutto contro, il 54% di prime in campo, il fisico che lo sorreggeva meno e tante altre cose, Jannik ha rimesso in piedi tutto e fatto sperare l’Italia per altri 20 minuti abbondanti.
Invece è arrivata un’altra sconfitta al quinto set, la terza in carriera dopo quelle con il russo Karen Khachanov (US Open 2020, ma dopo due set gli si bloccò la schiena, non si poté quasi più muovere e anche così Khachanov andò vicino all’harakiri) e contro Novak Djokovic a Wimbledon 2022, partita in cui Sinner era meno vicino al serbo di quanto non lo fosse a Wimbledon 2023 quando ci perse in tre parziali, come dall’altoatesino stesso dichiarato un anno dopo e facilmente osservabile confrontando i due incontri. Questo diventa il match più lungo della carriera del numero 1 al mondo, e probabilmente tale rimarrà. Ma, al di là del fatto che diventi l’ottava sconfitta sopra le tre ore e 50 minuti di gioco, questa è una situazione diversa. Perché se in molte altre occasioni di base è stato proprio il calo fisico di Sinner a determinare la fine, stavolta ci è voluto dell’altro, un giocatore che ha dovuto tirar fuori sette punti uno più clamoroso dell’altro per vincere. Un po’ come a Pechino in finale nel 2024; una situazione, questa, che ha portato il conto precedenti a 4-8, ma che ha molte implicazioni.
E segna anche una differenza lampante con il paragone più ovvio, quello Federer-Nadal. I due sono vicini, vicinissimi sulla terra rossa, molto più di quanto lo fosse Roger con Rafa per il semplice motivo che, come detto spesso da Nadal, una tattica con lo svizzero esisteva nei primi anni: fisso sul rovescio, cosa che sul rosso apriva orizzonti molto più ampi rispetto all’erba o a un veloce davvero veloce. Federer una sola volta è arrivato al quinto con Nadal, nella celebre finale di Roma 2006, anche perché dopo sono state abolite le finali dei 1000 (allora Masters Series) ai 3 su 5. Sinner è già al secondo quinto set con Alcaraz sul mattone tritato, e ciò fa capire molto in termini di vicinanza ed equilibrio.
La finale di oggi è stata la terza della storia in Era Open, e dall’introduzione del tie-break, a vedere l’entrata in scena di tale ultimo gioco. Merito, o demerito, della decisione di introdurlo in tutti gli Slam, là dove prima era di sola proprietà degli US Open: a Wimbledon 2019 Djokovic e Federer lo giocarono sul 12-12, agli US Open 2020 Thiem e Zverev lo disputarono normale. Oggi tutti gli Slam hanno il long tie-break a 10. E quella di oggi è anche la nona volta di una rimonta da due set sotto in una finale Slam, la prima in assoluto per Alcaraz, proprio contro colui che da due set sotto era rientrato nella finale degli Australian Open 2024 contro Daniil Medvedev.
Per Alcaraz anche il primato di aver vinto le prime cinque finali disputate, dato che al maschile è superato da Federer, con 7 (Wimbledon 2003-Australian Open 2006). E per la terza volta in Era Open vittoria finale con match point salvati (precedenti: Gaudio-Coria 21 anni fa a Parigi, fu Gaston a salvarli contro Guillermo, in preda ai crampi in una finale assurda, e l’arcinota Djokovic-Federer del 2019).
Alcaraz va a far compagnia a sei uomini che hanno vinto la finale parigina dopo aver perso i primi due set: Borg contro Orantes 1974, Lendl contro McEnroe 1984, Agassi contro Andrei Medvedev 1999, Gaudio contro Coria 2004 e Djokovic contro Tsitsipas 2021.
Numeri che non possono testimoniare a sufficienza quanto visto sul campo, e soprattutto a livello mentale di questa partita bisognerà vederne gli effetti nel prossimo futuro. Magari a Wimbledon, chissà, o altrove, o dovunque Sinner e Alcaraz si ritroveranno. Una cosa è però figlia di speranza: Jannik sa che c’è ancora da migliorare. E, una volta migliorati alcuni dettagli, anche le attuali situazioni negative passeranno dal lato positivo.