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Diana Bacosi non si ferma: “Voglio regalare all’Italia la quarta medaglia olimpica”

Nuovo appuntamento con OA Focus, che periodicamente si occupa dei tanti personaggi e volti dello sport italiano. Con Alice Liverani, stavolta, c’è un’ospite di spicco, da tre medaglie olimpiche di cui due d’oro: Diana Bacosi, che a Rio 2016 ha trionfato da sola e nel 2024 l’ha fatto in coppia con Gabriele Rossetti.

Nel cuore della nativa di Città del Pieve, però, le emozioni sono ben chiare e differenti: “Ogni medaglia è un’avventura a sé. Ognuna è un ricordo, ma il conto delle medaglie non l’ho fatto. Dal punto di vista tecnico a ogni ciclo olimpico cambiano regolamenti, finali, qualificazioni. Dal punto di vista emotivo e anche fisiologico (dato che sono 4 anni), l’età avanza e quindi cambia anche lo stato mentale. Sono tanti i cambiamenti con cui un atleta devi fare i conti“.

Finale Rio 2016 con Chiara Cainero: “Rio è stata la prima Olimpiade, per me è stata la medaglia dell’incredulità, anche se c’è stato tanto lavoro dietro. In più anche la gioia, l’amore e la soddisfazione per condividerla con Chiara, non solo una collega, ma anche una mentore e una grandissima amica nel privato. Tuttora ci sentiamo tutti i giorni, nonostante lei abbia smesso l’attività agonistica. Quando devo chiederle un consiglio la chiamo e ci confrontiamo. A quell’Olimpiade sono affettivamente molto legata“.

Tokyo nel 2021, l’argento e l’effetto fatto: “Come dico sempre, di tutte le medaglie olimpiche che ho preso quella di Tokyo è stata la più importante. Venivo da un periodo privato difficile, dove avevo messo in discussione la mia chiamata per il Giappone. Per me è stato molto difficile quel frangente di anno olimpico, anche per il posticipo da Covid. Quella è la medaglia più importante delle tre Olimpiadi, perché ho dimostrato a me stessa che le difficoltà vanno affrontate e attraversate, anche in un vortice di emozioni negative“.

Quando si sbaglia un piattello: “Succede anche più spesso di quanto s’immagina che si prepara per 4 anni, si va al primo piattello e si fa zero. Può capitare. L’importante è non dargli troppa pesantezza: bisogna cercare di affrontarlo con una certa serenità. Certo, può scocciare, ma succede: l’importante è andare avanti, non demoralizzarsi e pensare subito al piattello successivo e cercare di tirare in fondo il risultato. L’allenamento ci serve anche a questo, ad allenare la mente, che si allena sparando e affrontando le difficoltà. Bisogna sbagliare, e tanto, per poter imparare“.

Il discorso a quel punto passa agli allenamenti: “Mi sveglio alla mattina, vado al campo alle 9-9:30, sparo fino al pomeriggio. 10-12 serie al giorno dal lunedì al sabato, magari la domenica ce la prendiamo di riposo. Però c’è il lavoro di carico e anche di scarico, dove si va a preparare più la parte mentale di quella tecnica. Gli allenamenti però sono fondamentali. C’è chi si affida, sul lato mentale, a professionisti: psicologi, mental coach. Sicuramente aiutano, ma l’importante, come faccio io, è sparare. Più il gesto tecnico viene ripetuto nell’arco del tempo e più la mente è tranquilla nell’affrontare una determinata gara“.

Sulla scelta della specialità: “Nasco come percorso caccia, poi mi sono avvicinata allo skeet. Non c’è stato un vero e proprio motivo, volevo provare la disciplina“.

Il momento del primo oro anche dal punto di vista del padre: “Lui è molto taciturno come persona, non esprime molto i suoi sentimenti, li trattiene. Non mi ha mai detto ‘sono fiero di te’, ma da come mi guarda lo sento, lo vedo, lo percepisco: va bene così. Non serve dirlo, a volte basta uno sguardo per capire cosa prova una persona“.

La questione poi si sposta sul doppio binario visibilità-skeet al femminile: “Anche la società in cui ci troviamo, dove una ragazza viene indirizzata al pattinaggio, alla danza, alla pallavolo, al basket… col tiro a volo non si può cominciare come un bambino può cominciare a 4-5 anni in altri sport. Qui si comincia a 13-14 con la presenza di un istruttore e un genitore, perché comunque abbiamo un’arma in mano. Questo sport si comincia in età adolescenziale, c’è uno schema che non tutti conoscono. Negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti: è stato introdotto il tiro a volo come disciplina da poter conoscere e praticare nelle scuole, ma si parla sempre di superiori. E’ anche giusto e corretto che venga data un’arma in mano a degli adolescenti, ragazzi che hanno già una formazione. Sono stati fatti dei videogiochi per prendere un altro range d’età, inferiore: anche attraverso un videogioco si può imparare uno sport. La Federazione sta lavorando da anni su questo fronte, ma è purtroppo vero che in Italia dal punto di vista femminile siamo messe maluccio, nel senso che nello skeet in tutto il Paese saremo in una quindicina a praticare questo sport. Speriamo che piano piano, con il lavoro di Federazione e corpi militari, si possa portare il tiro a volo alla conoscenza del mondo femminile“.

L’importanza dei gruppi sportivi: “Tanta. Grazie all’Esercito sono riuscita ad ampliare il mio palmares e ringrazio loro perché è grazie a loro che sono riuscita a coronare il mio sogno di atleta. Poi crescendo sono arrivata a tre medaglie olimpiche, i gruppi sportivi sono molto importanti anche nel tiro a volo, perché ci danno un aiuto economico e logistico. Questo sport è abbastanza oneroso, come tutti quelli fatti a livello agonistico, perciò il gruppo sportivo dietro le spalle è importante“.

Un suggerimento per i curiosi di avvicinarsi al tiro a volo: “Non aver timore. Probabilmente c’è anche molta ‘ignoranza’ del fatto che maneggiamo un’arma, certe volte siamo visti come sport pericoloso. Vero, abbiamo un’arma in mano. Noi tiratori abbiamo molto rispetto per le armi e per le persone che si formano nel quotidiano con l’allenamento, un lato fondamentale. E sono le prime lezioni che vengono impartite ai ragazzi. Non bisogna avere timore di documentarsi, di andare a un poligono di tiro e fare una prova. Mi rendo conto che per chi non vive il mondo del tiro a volo è molto difficile prendere quest’iniziativa, ma val bene provare a buttarsi“.

Appuntamenti del prossimo futuro: “Sto preparando l’Europeo di luglio a Chateauroux e il Mondiale in Grecia a ottobre. Quest’anno me la son presa con un po’ più di calma in vista delle qualificazioni per Los Angeles 2028 che cominceranno l’anno prossimo. Speriamo di portare a casa la qualificazione e una quarta medaglia per l’Italia“.

Che persona è fuori dal poligono: “Diana è semplicemente una mamma, figlia, donna, ragazza, non è cambiato proprio niente con le medaglie olimpiche. Sono sempre rimasta me stessa, cerco di circondarmi delle persone che amo, degli amici, degli affetti. Appena ho un minuto di relax vado al mio piccolo paesino e sto con i miei genitori. Diana non è che una semplice donna comune. Che spara“.

OA FOCUS CON DIANA BACOSI

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