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F1, “per Ferrari il dopo-Marchionne è un fallimento continuo”. Realtà o leggenda urbana?

Sergio Marchionne ha terminato la propria esistenza terrena il 25 luglio 2018, quattro giorni dopo aver lasciato la presidenza della Ferrari (assunta il 13 ottobre 2014). Nel mezzo, c’è stato il famigerato Gran Premio di Germania, nel quale Sebastian Vettel è finito nella sabbia quando era in testa (alla gara e al Mondiale).

L’episodio ha idealmente indirizzato il titolo di quell’anno verso Lewis Hamilton e segnato l’inizio della fine del pilota tedesco. Non solo. Da lì, la Scuderia di Maranello ha collezionato una serie di fallimenti. Il 2019 parte con dichiarazioni roboanti e ambizioni elevate, ma l’annata vede la Rossa fare da valletta alla Mercedes sino all’estate, vivere un estemporaneo momento di gloria a settembre, accartocciandosi poi in autunno (con il misterioso affaire legato all’accordo segreto sulle power unit).

Il 2020 è una delle stagioni peggiori di sempre. Il 2021 è da comprimaria. Ottima la partenza del 2022, ma poi si verifica un’autentica implosione tecnica e organizzativa che porta alla rimozione di Mattia Binotto e alla sua sostituzione con Frederic Vasseur. La conseguenza è un 2023 realmente di transizione verso il 2024, in cui si apprezza una crescita che ha permette di sfidare McLaren nella classifica costruttori (tra i piloti, Verstappen lo si vede solo col binocolo).

Però nel 2025 siamo al punto di partenza. Sì perché l’attacco di questa annata ricorda molto quello del 2019. Grandissime ambizioni, un nuovo pilota, dichiarazioni tonitruanti. Poi, in pista, le monoposto tinte di rosso vengono seminate da quelle di altri colori. La speranza, per i ferraristi, è che il giro non ricominci in maniera analoga al ciclo precedente, perché significherebbe essere di fronte a un biennio di lacrime e sangue.

In tutto ciò, davvero la situazione è precipitata dopo la scomparsa del carismatico manager? Di sicuro, da quel momento, Ferrari ha assommato più figuracce di ogni altra struttura di vertice. Però non bisogna dimenticarsi come gli ultimi titoli iridati risalgano al 2007 (Kimi Räikkönen tra i piloti) e al 2008 (Costruttori). Ben prima dell’arrivo di Marchionne al timone dell’azienda!

Nel mezzo, due eroici assalti all’Iride di Fernando Alonso, strepitoso nel sovrastare i limiti di auto che non erano all’altezza delle Red Bull e delle McLaren. Nel 2010 il titolo venne perso per errori, nel 2012 per episodi sfavorevoli. Bene o male quanto accaduto sotto la presidenza Marchionne, seppur in ordine inverso (sono state le circostanze a dire male nel 2017 e gli svarioni nel 2018).

Peraltro, si dimentica forse troppo facilmente come il 2016 sia stato parente stretto del 2019 (e del 2025?), ovverosia caratterizzato da una evidente involuzione dopo un’incoraggiante crescita nell’anno precedente; e Marchionne lì c’era eccome.

Insomma, davvero c’è una correlazione tra la precoce scomparsa del manager e le successive disgrazie del Cavallino Rampante? La risposta non esiste, ma le “leggende urbane” non hanno bisogno di darne. Anzi, vivono proprio grazie all’impossibilità di fornire un responso concreto alle teorie in sé…

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