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Lorenzo Musetti e gli altri: le finali degli italiani nei Masters 1000

Sono stati in particolare gli ultimi sei anni a determinare le fortune dell’Italia in fatto di Masters 1000, nelle loro varie denominazioni assunte nel tempo (Championship Series Single Week, Super 9, Masters Series e poi l’attuale). Una storia che è stata determinata dal 1990, da quando cioè le varie sigle del tennis (principalmente Grand Prix e WCT) sono state riunite in un unico organo. Va rimarcato che, dal 1969 al 1989, di successi importanti ce n’erano stati eccome: soprattutto Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli avevano messo insieme diversi ultimi atti di grande livello a Roma e non solo.

Per 29 anni, va detto, l’Italia aveva avuto solo semifinalisti e una vittoria in doppio, quella di Omar Camporese nel 1991 a Roma insieme a Goran Ivanisevic (ed era una coppia piuttosto affiatata). Di finali neppure l’ombra: le avevano solo sfiorate, tra gli altri, Andrea Gaudenzi, Filippo Volandri e Andreas Seppi, poi più volte anche Fabio Fognini, prima del 2019.

Un 2019 che, non per caso, vide brillare il ligure sempre a Montecarlo. E sì che non veniva da un grande momento, ma si trovò al posto giusto nel momento giusto. Rimontò Andrey Rublev (allora il russo era una bella speranza in arrivo dalle quailficazioni), poi approfittò del forfait del francese Gilles Simon e, quindi, batté in due set Alexander Zverev, già allora numero 3 del mondo. Poi superò Borna Coric, e al tempo il croato era numero 9 del seeding. Fino a uno dei match più belli della carriera di Fognini, quello contro Rafael Nadal in semifinale, un 6-4 6-2 che è stato il quarto e ultimo successo sul maiorchino, che odiava giocare contro il taggiasco. Finale da favorito e conquistata contro Dusan Lajovic: un 6-3 6-4 nella storia del tennis italiano.

Venne poi il 2021, e con esso Jannik Sinner, che al primo 1000 dell’anno (Miami, perché tale fu dati i persistenti calendari “mobili” causa effetti della pandemia di Covid-19) conquistò una finale di gran classe: Gaston, Khachanov, Ruusuvuori, Bublik e Bautista Agut caddero, poi arrivò l’amico-rivale Hubert Hurkacz e fu il polacco che lo fermò in quell’occasione. Poche settimane dopo toccò a Matteo Berrettini issarsi fino all’ultimo atto a Madrid, con una corsa interessante per i nomi “da rosso” incontrati: Fognini stesso, l’argentino Federico Delbonis, il cileno Cristian Garin e il norvegese Casper Ruud. Un set di sogni contro Zverev, nell’ultimo atto, poi fu 6-7(8) 6-4 6-3.

Il 2023 vide poi ancora Sinner in finale a Miami, e facendo parecchio rumore: dopo Laslo Djere (il serbo lo si sa meno forte sul veloce che sul rosso), il filotto fu questo: Dimitrov-Rublev-Ruusuvuori-Alcaraz. Sì, quello stesso Alcaraz che due settimane prima lo aveva battuto a Indian Wells. Poi arrivò Daniil Medvedev, e Jannik in quel momento ancora non gli aveva preso le misure: 7-5 6-3. Il tempo del trionfo, invece, giunse a Toronto. Il percorso fu questo: Matteo Berrettini al secondo turno, il forfait di Andy Murray al terzo, il gran quarto contro Gael Monfils che usava il ranking protetto, ma guai a non tenerlo d’occhio, la semifinale con l’USA Tommy Paul (che aveva battuto Alcaraz) e, infine, la finale dominata con l’australiano Alex de Minaur.

Del 2024 s’è discorso tanto e a lungo: Sinner quell’anno l’ha semplicemente dominato, con 70 vittorie e 6 sconfitte, includendoci anche i tre Masters 1000 portati a casa. Il primo a Miami, con conclusione “distruttiva” di cui hanno fatto le spese Medvedev e Dimitrov. Il secondo a Cincinnati, il torneo dei tanti turbamenti provocati da ciò che stava succedendo dietro le quinte e di una semifinale drammatica contro Zverev, nonché della fianle con Tiafoe. Il terzo a Shanghai, dove a uscire sconfitto nell’ultimo atto è stato Novak Djokovic, in quei rapporti di forza cambiati da un anno, o più precisamente dalla Coppa Davis 2023.

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