Pietro Arese: “Infortunio più complicato del previsto. Sto ancora scoprendo chi sono”
Nuova puntata di OA Focus con Alice Liverani e la partecipazione di Ferdinando Savarese: stavolta si va in quota atletica, in particolare con Pietro Arese, il torinese recordman italiano dei 1500 metri nonché bronzo europeo e poi finalista a Parigi 2024. Ma anche un uomo la cui parlantina è chiara e precisa, come dimostra nelle parole rilasciate.
La sua situazione attuale: “In questo momento sono nella condizione peggiore che un atleta possa desiderare: puzzo di cloro. Sto facendo degli allenamenti alternativi in piscina, perché sto correndo davvero poco. L’ultima volta avevo detto di avere un problemino, nulla di serio, ma si è trascinato. Fatti degli approfondimenti, è nato un problema un po’ più complesso del previsto, ma, come dico a me stesso per consolarmi, i Mondiali sono a settembre. D’ora in poi stiamo raggiungendo una soluzione per il ritrovamento della causa di tutti i mali. Abbiamo tutto il tempo necessario per lavorare con calma“.
Il concetto molto interessante tra accettazione e rassegnazione: “A me interessa molto spesso dare il giusto peso e significato alle parole. Molte persone inizialmente, quando dicevo che sto accettando il problema per quello che è, mi dicevano che non potevo accettarlo, che dovevo combatterci contro. Infatti non ho detto che mi sto rassegnando. Secondo me è molto importante capire la differenza tra questi due termini nella misura in cui accettare significa “la situazione è così, quindi” e rassegnarsi significa “la situazione è così”. L’accettazione nello sport a mio parere ha tanto significato: una volta che siamo in grado di accettare le parti brutte della carriera, a partire dalle sconfitte, riusciamo a crearci un programma per far sì che quella cosa non accada più oppure per risolvere quel problema, che molto spesso, se non si riesce ad accettare, non si riesce a percorrere come strada“.
Cos’è accaduto alla programmazione? “Con il mio coach avevamo escluso i Mondiali indoor a priori: essendo a fine marzo, erano un po’ troppo lontani rispetto alla stagione invernale. Pre-infortunio i programmi erano di iniziare a gareggiare abbastanza presto, per poi fare una pausa a metà stagione, intendendo riprendere l’allenamento, per poi arrivare molto in forma ai Mondiali. Tattica che tutto sommato ha funzionato lo scorso anno: per altre ragioni abbiamo dovuto creare due picchi di forma, uno per gli Europei e uno per le Olimpiadi. Possiamo dire che questa cosa ha funzionato e i risultati sono arrivati. Quest’anno proviamo a dare alla stagione una forma simile all’anno scorso, con la fortuna che quest’anno con i Mondiali a settembre i picchi di forma sono più lontani“.
Come viene posto in essere il lavoro: “La nostra linea guida è forte degli obiettivi sfidanti, ma non impossibili né troppo semplici. Il segreto è di pianificare vedendo quale sarebbe la migliore delle ipotesi. Che non è il record del mondo, perché quella è utopia ad oggi. L’anno scorso i nostri obiettivi erano vincere una medaglia a Roma, e ho vinto il bronzo, e arrivare nei primi otto a Parigi, e sono arrivato ottavo. Nel mentre c’era anche il record italiano, ma i due obiettivi primari erano quelli e ce l’abbiamo fatta. Non sono stati risultati facili da ottenere, ma se ci fossimo detti ‘proviamo a vincere le Olimpiadi o a partecipare a Parigi e vinciamo in batteria, chi se ne frega’, probabilmente anche mentalmente non avrei affrontato le gare nello stesso modo“.
L’infortunio cambierà la programmazione? “Molto probabilmente sposteremo il debutto per ragioni di forma e serenità complessiva: l’obiettivo primario è tornare a una condizione normale, non importa quando, come e con che mezzi. L’obiettivo primario è quello. Se va tutto bene e domani sono pronto per gareggiare bene, inizieremo la stagione nel momento giusto che ci eravamo prefissati pre-infortunio. Se vediamo che la riabilitazione deve durare un po’ di più, sposteremo l’esordio. Quello che non vogliamo fare è affrettare i tempi con il risultato che quella cosa continua a esserci chissà per quanto“.
Ipotesi Europei a squadre? “Se tutto va come deve andare, potrebbe essere un obiettivo. Agli Europei a squadre può prendere parte un solo atleta per nazione per specialità. Chi avrà cominciato a gareggiare presto farà risultati migliori dei miei in questo momento, quindi può essere un obiettivo, ma vediamo. Se ci sarà la condizione per poter essere convocato ben venga, mi farebbe piacere riportare l’Italia in cima, ma se non sono io la persona più indicata per farlo ci sono tanti mezzofondisti che possono dire la loro in ambito europeo e non solo“.
Tra gruppo e futuro: “Il nostro gruppo è allargato, nel senso che c’è il mio con Silvano Danzi e due ragazzi che sono uno Under 20, ottocentista, e uno Under 18, più sulle lunghe distanze, è Thomas Colombo, secondo ai campionati italiani di cross nella categoria. Invece Mattia De Rocchi ha partecipato agli EYOF un po’ di tempo fa. Poi c’è il gruppo allargato: oltre al mio preparatore c’è Alessandro Santangelo che ha vinto i campionati italiani Under 18 di cross ed è seguito dal mio preparatore. Li reputo un po’ i miei eredi e sono speranzoso che possano gareggiare con me e poi proseguire quando finirò la carriera“.
Un’immagine da Parigi: “Prima che iniziassero le gare c’è stato un pomeriggio in cui hanno aperto lo Stade de France per far allenare gli atleti all’interno. Ero insieme a Federico Leporati, il nostro responsabile di settore, e mi riempio gli occhi di questa pista viola e dico: ‘Comunque vada la gara, quando chiuderò gli occhi e penserò a questo posto vedrò la pista viola’. Perché non c’è stata da nessun’altra parte. Pensare alla pista viola per me significa pensare allo Stade de France. L’immagine nitida che ho in mente è quando ci hanno presentati per la finale, quando siamo usciti. Nessuno in quel momento stava gareggiando, tutta l’attenzione era concentrata su di noi. Sentire dire il mio nome di fronte a 70.000 persone che applaudono, entrare in questa pista bellissima con tutti gli occhi addosso, è qualcosa che ti rimane per sempre“.
“A livello sportivo mi rende felice correre in sé. Ho detto anche al mio allenatore che la cosa che più mi manca in questo periodo in cui non posso allenarmi come vorrei è dire, che so, ‘esco dall’università e vado a correre mezz’oretta’. La felicità è quella, arrivare nel posto in cui devo, mettermi le scarpe, uscire e andare a correre. Quand’ero piccolo, avevo 3-4 anni, chiedevo a mia mamma di andare all’asilo di corsa, o al mare volevo fare avanti-indietro sulla spiaggia dopo una gara con lei. Forse è sempre stata una cosa insita in me, mai approfondita più di tanto fino ai 15 anni. Però ‘l’uomo che corre’ calza come definizione. Chi è Pietro? Non lo so, lo sto ancora scoprendo. La cosa che mi piace di questa vita, carriera, lavoro è che ho la possibilità di fare tantissime esperienze che esulano dallo sportivo. Lo sport apre tantissime porte in qualsiasi ambito ti guardi. Ad esempio ho fatto un summit con il mio sponsor tecnico a Portland e la cosa bella è stata vedere chi lavora nei brand, cosa fanno, l’ingegneria dei materiali, il marketing, come un brand di calzature cerca di vendere il proprio prodotto. Sono ambiti satelliti del mondo sportivo che mi piace toccare e poi aprono anche nuove strade. Chi è Pietro? Una persona molto curiosa, che si lascia trascinare da qualsiasi nuova esperienza gli venga proposta“.