Mike Tyson torna a combattere: età, palmares, i problemi di salute recenti ed i business sorprendenti
58 anni: tanti sono quelli che ha Mike Tyson quando salirà, stanotte, sul ring di Arlington per avere a che fare, sulla distanza delle otto riprese da due minuti ciascuna, contro Jake Paul, star di YouTube da anni in possesso anche di una carriera pugilistica con la quale sta ottenendo, per il suo livello, discreti risultati.
Quasi superfluo ricordare il palmares di Iron Mike. Che, però, manca curiosamente di un alloro da dilettante: le Olimpiadi, perché due volte Henry Tillman lo sconfisse per negargli Los Angeles 1984 (dove poi vinse la medaglia d’oro, appunto, nei massimi). Da pro, tra il 1985 e il 1986 Tyson vinse i primi 20 combattimenti tutti per KO o KOT; per vederlo arrivare a 10 riprese si dovettero attendere James Tillis e Mitch Green. Servì comunque poco perché arrivassero i primi titoli mondiali: contro Trevor Berbick, a Las Vegas, il 22 novembre 1986 fu iridato WBC, aggiunse la corona WBA contro James Smith, le difese dall’assalto di Pinklon Thomas, aggiunse la IBF contro Tony Tucker e sconfisse poi Tyrrell Biggs, Larry Holmes e Tony Tubbs. Venne poi, il 27 giugno 1988, Michael Spinks: in breve, il titolo mondiale dei massimi unificato. Anche per lui non ci fu nulla da fare: durò un minuto e mezzo. Di seguito, furono sconfitti Frank Bruno e Carl Williams, e tutto sembrava portare a un nome, finché qualcosa accadde.
Più che qualcosa, qualcuno. James Douglas, più famoso come Buster. Al Tokyo Dome Tyson aveva già combattuto contro Tubbs, ma quell’11 febbraio non lo avrebbe mai dimenticato. Douglas non ebbe paura di lui, e al decimo round lo sconfisse per KO, il primo, inatteso. Questo mandò all’aria i piani contro il nome di cui sopra, Evander Holyfield, che invece di Iron Mike si trovò davanti Buster Douglas (e ci mise tre riprese a mandarlo KO).
Dopo altri quattro combattimenti, contro Henry Tillman (sì, lui, quello che gli negò le Olimpiadi, ma da pro non fu esattamente granché), Alex Stewart e due volte Donovan Ruddock, furono altri i guai che passò Tyson. Nel luglio 1991 fu arrestato per lo stupro a danno di Desiree Washington, modella diciottenne, e condannato nel 1992 a sei anni di prigione, di cui ne scontò però solo tre. Uscì dal carcere con tatuaggi di Arthur Ashe, tennista da tre Slam vinti, da sempre attivista contro il razzismo e a favore, più in generale, dei diritti umani, che morì di AIDS nel 1993 per le conseguenze di una trasfusione che gli portò “in regalo” il virus dell’HIV, e di Mao Tse-Tung (o Mao Zedong, che dir si voglia), l’uomo che guidò la Cina per 31 anni.
Tyson riprese così a combattere, affrontando Peter McNeeley, Buster Mathis Jr. e di nuovo Frank Bruno per il titolo mondiale WBC: il 16 marzo 1996 si aggiunse a Floyd Patterson, Muhammad Ali, Tim Witherspoon, Evander Holyfield e George Foreman nel novero degli uomini capaci di riconquistare la cintura iridata dopo averla persa. Presosi anche la cintura WBA contro Bruce Seldon, il 9 novembre 1996 fu sconfitto in modo netto, all’undicesima ripresa, da Evander Holyfield, con il quale finalmente era riuscito a incontrarsi dopo sei anni di, sostanzialmente, vane rincorse. Il 29 giugno 1997, però, il rematch produsse l’altro momento topico al contrario della carriera di Tyson. Accadde, infatti, che il nativo di Brooklyn morse Holyfield all’orecchio nella seconda ripresa. Risultato: squalifica e licenza revocata dalla commissione del Nevada, poi restituita nel 1998.
Come risultato, nel 1999 Tyson tornò contro il sudafricano Francois Botha, che la buttò sul trash talking quando era in vantaggio e si prese un destro da KO di Iron Mike, che poco prima aveva tentato di rompergli le braccia. Neanche a dirlo, poco dopo venne condannato a un anno di prigione per assalto a due persone dopo un incidente stradale nel 1998. Altri nove mesi dietro le sbarre, poi ritornò, batté Orlin Norris e quindi Lou Savarese a Manchester (dopodiché si lanciò in una tirata in cui si paragonò ad Alessandro Magno, Sonny Liston e Jack Dempsey) e Andrew Golota (ma fu convertito in no contest dopo una positività alla marijuana). Nel 2001 un solo combattimento, con Brian Nielsen a Copenaghen.
Venne poi il momento di Lennox Lewis, nel 2002: i due si conoscevano da quasi vent’anni, ma il londinese con doppio passaporto britannico e canadese si prese i titoli WBC, IBF, IBO e lineare l’8 giugno. Non ci fu storia: Lewis era più forte quel giorno, e anche Tyson lo riconobbe senza molti giri di parole. Da qui arrivò la parabola discendente di Tyson: nel 2003 batté Clifford Etienne in 49 secondi, ma quell’estate dichiarò bancarotta. Aveva guadagnato 300 milioni di dollari in carriera, ed era in debito per un altrettanto enorme ammontare di 23. Il 30 luglio 2004 combatté contro il britannico Danny Williams e finì KO in quattro riprese: si seppe poi che Tyson, per qualche assurdo motivo, aveva deciso di combattere con un legamento di un ginocchio in disordine, e infatti fu operato quattro giorni dopo. L’ultimo avversario fu Kevin McBride: finì prima dell’inizio della settima ripresa, la condizione fisica ormai distrutta. Pochi mesi prima il pubblico televisivo italiano se lo trovò davanti nella seconda serata del Festival di Sanremo, intervistato da Paolo Bonolis. Si è scoperto molti anni dopo che proprio Sanremo fu tra le città che si propose per Lewis-Tyson nel 2002
Più tardi Tyson rivelò dettagli abbastanza sconcertanti circa quello che faceva intorno al ring. La sua autobiografia del 2013, Undisputed Truth, racconta di come usò l’urina dell’ex moglie Monica Turner per passare i test antidoping, e lo stesso fece col figlio. Nel 2006 s’imbarcò in una serie di combattimenti di esibizione, soprattutto per cercare di pagare i pesantissimi debiti che aveva, ma l’iniziativa fu fallimentare e la cancellazione rapida. Erano anni in cui le difficoltà di tutti i tipi di Tyson erano evidenti: due matrimoni erano già falliti e, nel 2009, perse anche la figlia Exodus di appena quattro anni, avuta da Sol Xochitl.
A un certo punto della propria vita Tyson, cresciuto come cattolico, si è convertito all’Islam, anche se le voci circa un suo cambio di nome sono rimaste, appunto, voci. Dopo il suo ritiro ha avuto più di un problema con la giustizia, spesso per problemi di droga che lui stesso ha voluto tentare di risolvere.
Più avanti nel tempo, ha mantenuto una serie di business dei più disparati, anche per via delle sue numerosissime collaborazioni che restano tuttora attive, data anche la sua fama. Ha una sua linea d’abbigliamento, mentre negli anni si è espansa la Tyson 2.0, il brand con il quale si è inserito da diversi anni nel mondo della cannabis, e che è diventato tale dopo tutta una serie di passi, alcuni dei quali assieme a Rob Hickman. Proprio il suo partner nel business riferisce come la marijuana è riuscito a cambiare per davvero Tyson, rendendolo una persona decisamente migliore. Il che, per il suo passato, è parecchio. Di recente lo si è anche rivisto sul ring contro un’altra leggenda del pugilato, Roy Jones Jr. (che ha anch’egli, come Tyson, un rapporto, diciamo così, “complesso” con le Olimpiadi), un’esibizione terminata in parità a fine 2020. Nel 2024 guai di ulcera hanno costretto al rinvio il combattimento con Jake Paul. Che, però, sta per arrivare.