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Antonella Palmisano: “Ho imparato a gestire il problema fisico. Parigi sarà forse l’ultima Olimpiade”

Antonella Palmisano: “Ho imparato a gestire il problema fisico. Parigi sarà forse l’ultima Olimpiade”

Antonella Palmisano è la campionessa olimpica in carica della 20 km di marcia, titolo conquistato a Tokyo, e nel 2023 ha centrato anche la medaglia di bronzo iridata a Budapest: l’azzurra ha concesso un’intervista ad OA Sport nella quale ha parlato delle due gare citate, della preparazione verso i Giochi di Parigi 2024 nonostante i problemi fisici, mai del tutto alle spalle, e della nuova specialità olimpica della staffetta mista, che in Francia sostituirà la 50 km maschile.

Come si è svolta la preparazione invernale? Sei finalmente riuscita ad allenarti senza problemi, oppure di tanto in tanto il problema che ti ha afflitta negli ultimi anni ha fatto capolino?
Ti direi alla grande, perché sono tanto avanti rispetto all’anno scorso, considerando che mi ero operata a fine settembre e che avevo incominciato a marciare i miei primi 10 km quasi a fine gennaio. Ad oggi ti dico che, insieme al mio team, al mio nuovo allenatore ed al mio storico fisioterapista Cristian Bruno, quest’anno abbiamo cercato di curare un aspetto fondamentale che l’anno scorso, forse un po’ anche per mancanza di tempo, abbiamo un po’ tralasciato e comunque fatto male, che porta degli equilibri di forza tra arto destro inferiore ed arto sinistro, perché non c’era abbastanza equilibrio, quindi anche se la prima parte di programmazione fino a novembre l’abbiamo dedicata all’equilibrio di forza, anche per non incappare in nuovi infortuni, comunque già a gennaio avevo iniziato con un bel carico di allenamento e ad oggi sono quasi allo stesso livello a cui ero a maggio dell’anno scorso con la qualità del lavoro svolto. Mi ritrovo ad essere abbastanza avanti, e di questo sono contenta, perché comunque il problema si ripresenta, ormai fa parte di me, non mi aspettavo che succedesse una cosa diversa, perché se un’operazione è riuscita a migliorare solamente quella che è la mia sintomatologia, comunque si è ripresentato l’anno scorso e non mi aspettavo che quest’anno potesse scomparire del tutto, quindi soprattutto in questi periodi di carico più intenso, di qualità di allenamento più avanzato, comunque si ripresenta e quello che faccio meglio rispetto all’anno scorso, è saperlo gestire meglio, avendo la consapevolezza che ci sia, ma continuo a migliorarmi ed allenarmi, ad oggi non ho perso nemmeno un giorno di allenamento, quindi questo è molto positivo“.

Lo scorso anno ai Mondiali sei salita sul podio pur con una preparazione travagliata. Al 100% pensi di potertela giocare con la spagnola Perez?
Avevo conquistato un bronzo, la mia avversaria nonché anche amica Maria Perez era arrivata prima, ma era stata una preparazione travagliata e soprattutto mancavano tanti allenamenti di qualità, mancava comunque la rifinitura per giocarsi quel primo posto, quindi mi sono mancate un po’ le battute finali. Quest’anno penso che comunque andando avanti in questo modo, quindi continuando ad allenarmi in questo modo, potrei arrivare a giocarmela fino in fondo, ad avere tutti gli strumenti necessari per potermi giocare fino in fondo la mia Olimpiade, e quindi anche con Perez. Siamo stati anche ad un raduno in Spagna, a gennaio, dove con il gruppo di allenamento ed il suo allenatore c’era anche lei, ma viene da un infortunio post-Mondiale, non ci siamo potute allenare insieme, però comunque mi ha fatto molto bene andare in un posto nuovo e soprattutto andare da lei a vedere un po’ quali sono i suoi posti, e di questo sono contenta, perché già da diversi anni ci siamo scambiate più volte il pensiero di allenarci insieme, purtroppo non l’abbiamo fatto. Io per lei ho molta stima: anche dopo l’operazione, quando ho avuto periodi no, lei comunque è sempre stata presente e vicina, mi ha sempre scritto, quindi mi ha fatto molto piacere la loro ospitalità ed una serie di cose che comunque fanno bene e che lo sport poi ti regala“.

Come valuti il format della staffetta mista a coppie e cosa cambia tecnicamente e fisicamente rispetto alla gara individuale tradizionale?
Pur avendo fatto già due prove in staffetta, non posso dire di conoscere questo nuovo format. Mi piace perché è la novità, sono due gare corte, non è una gara lunga, mi piace il fatto che sia una gara di squadra, dove comunque è fondamentale veramente anche quel secondo che può fare la differenza. Però non sappiamo ancora come approcciarci in maniera concreta a questa staffetta, perché la decisione è arrivata veramente qualche mese fa, ed è poco per poter conoscere una gara. Non sappiamo con che modalità approcciare, se con la partenza forte e chiusura ancora più forte, se si riesce comunque a recuperare in quei 40 minuti, e che tipo di recupero fare nel mentre. Stiamo facendo delle prove, ma ancora non abbiamo le certezze di quale sia la cosa migliore da fare. La differenza tra una gara individuale e la staffetta è che una gara individuale è di 20 km, mentre comunque nella staffetta c’è uno scambio di atleta. Potrebbe essere la staffetta fatta da me e da Massimo Stano, l’altro olimpionico, con partenza maschile di 11,45 km, passaggio di testimone alle donne per altri 10 km, nuovo passaggio all’uomo per 10 km, per poi finire con la donna per 10,75 km. Questa è la differenza: c’è uno scambio di testimone, ma sono due gli atleti, e con un tempo di intervallo di recupero di 40 minuti dove, ripeto, ancora non si è ben capito cosa fare“.

Cosa vorrebbe dire per te disputare la gara a coppie delle Olimpiadi con il tuo amico Massimo Stano?
Sicuramente è una staffetta stimolante, nel senso che entrambi abbiamo conquistato l’oro alle Olimpiadi del 2021 a Tokyo, quindi entrambi arriviamo come campioni olimpici ed abbiamo questa consapevolezza, poi essere insieme, unire le forze per provare a vincere un’altra medaglia, è quello che accomuna entrambi, la stessa fame e la stessa voglia di vincere, di riprovarci ancora una volta e, perché no, farlo insieme. Anche il fatto di farla con lui, con cui fino all’anno scorso mi sono allenata, per me è una cosa veramente stimolante e bella, quindi, ripeto, entrambi puntiamo a vincere per la seconda volta“.

Pensi che i vostri trionfi a Tokyo 2020  abbiano contribuito ad aumentare l’interesse ed i praticanti della marcia, oppure resta uno sport di nicchia?
Su questa domanda vorrei essere sincera. Subito dopo le Olimpiadi devo dire che ci sono stati tanti messaggi in cui mi hanno chiesto consigli su come approcciare la marcia, in tanti mi hanno anche ringraziata perché i bambini si erano avvicinati a questo sport che prima non conoscevano, e quindi devo dire che c’era stato un boom di iscritti, di persone che provavano, di persone che non l’avevano mai vista. Aver portato non una, ma ben due medaglie olimpiche, le due più importanti, proprio da questa disciplina, ha fatto si che almeno in quel periodo si parlasse di marcia. Ci sono un rammarico ed una delusione, dato che non siamo stati bravi, ma non parlo di me, ma di chi forse è al di sopra di noi, nel continuare a far parlare della marcia, a promuoverla, a farla vedere, ad inserirla in contesti internazionali, oppure a mostrarla di più nelle nostre emittenti televisive, ovviamente anche dato il fatto che siamo stati un po’ coperti da altre discipline, il che non ci ha aiutato. Non è che la marcia sia diventata di nicchia, ma è di nuovo un po’ scomparsa, quindi se ne è parlato ben poco. E per quanto io dopo le Olimpiadi sia stata in giro, perché ho cercato di portare avanti il progetto ‘In marcia con Antonella’ essendo presente in più scuole possibile, e mostrando ai ragazzi cos’è la marcia, ma anche spiegando loro che esiste questa realtà dell’atletica, con la possibilità ad inizio stagione di fare delle selezioni anche da noi nelle Fiamme Gialle, dove i ragazzi possono capire per quale disciplina sono portati. Sebbene io sia andata in giro a portare avanti la marcia, e l’ho fatto forse veramente fino ad un mese fa quando ho potuto, e quando c’è richiesta lo faccio ancora, comunque non è abbastanza, perché la marcia rimane sempre un po’ nell’ombra, e quindi su questo c’è sempre un po’ di delusione, come sul fatto che dopo due medaglie olimpiche qualcosa potesse cambiare, quindi sono rimasti un po’ di delusione e rammarico da questo punto di vista“.

Il tuo gesto tecnico andrebbe insegnato ai ragazzini. Pensi invece che le giurie siano troppo indulgenti nei confronti di altre avversarie, che sembrano correre?
Riguardo al discorso che debba essere spiegato ai ragazzini, ho già risposto nella domanda precedente. Per quanto riguarda i giudici, non penso che siano indulgenti, nel senso che comunque non sono pochi i giudici che ci giudicano, all’interno di un circuito e di una gara importante, ed è troppo facile dare la colpa a loro, che devono giudicare, e quindi reputare una marcia scorretta quella degli avversari. Ripeto, i giudici sono tanti, e può sembrare all’occhio di chi non è così esperto che corrano, comunque non è così, altrimenti verrebbero squalificate. Certo, forse può essere un po’ soggettivo, perché vale sempre la regola ‘quello che vede l’occhio umano’, ma, ripeto, non fa bene al movimento pensare che giudichino male, e quindi non fa bene neanche all’atleta pensare una cosa del genere“.

Quella di Parigi sarà la tua ultima Olimpiade?
Penso di sì, perché comunque arrivare a Los Angeles vorrebbe significare altri quattro anni. Non so se sarà la mia ultima gara, su questo vorrei decidere dopo Parigi, perché anche dopo Tokyo avevo pensato di smettere, ed invece eccomi qui che sto puntando a vincere un’altra medaglia“.

Dopo aver vinto un oro olimpico, in che modo sei riuscita a trovare le motivazioni per andare avanti?
Noi viviamo di queste emozioni, di adrenalina e fino a quando il fisico e, soprattutto, la mente, ti danno la possibilità di continuare ed hai una forza interiore che supera la voglia di abbandonare, ecco che poi è facile rimettersi le scarpe il giorno dopo. Una vittoria così importante ha suscitato qualcosa in me che non mi aspettavo, quindi il continuare ad avere fame e provare di nuovo quell’emozione mi hanno portato a continuare. Non so dopo Parigi cosa farò ma, ripeto, è un pensiero che adesso non ho, rifletterò più in là“.

Cosa ti hanno insegnato gli infortuni?
In questi ultimi dieci anni, quelli più importanti, dove ci sono stati tanti successi, c’è stata un’evoluzione del pensiero che gli infortuni mi hanno lasciato, provocato o insegnato. Ho avuto sempre un problema, considerando che c’è stato anche l’anno del Covid, quindi su dieci anni, sei anni di problemi non sono pochi. C’è stata un’evoluzione, perché all’inizio forse non li vivevo bene e pensavo ‘Perché proprio a me?’, e cercavo di darmi una spiegazione al fatto che io pensassi di essere fragile, di non essere mai all’altezza, invece oggi dico che ho imparato ad accettare il fatto che io sia diversa o più fragile rispetto ad altri, e quindi ho acquisito più consapevolezza del fatto che avessi questi infortuni, che avessi i miei problemi, e che dovessi imparare solo a conviverci, anzi, dal problema trovare il punto di forza. Vedevo in una problematica più determinazione nell’affrontare e nel raggiungere un obiettivo, questa è stata la mia forza in questi ultimi anni, ancora più accentuata adesso, ormai mi porto questo problema da tre-quattro mesi prima di Tokyo, e sono passati tre anni in cui c’è stata un’operazione di mezzo. Sto imparando a gestirlo, nonostante i momenti no, e questo è diventato il mio punto di forza. La voglia di continuare, nonostante tutto, a superare i miei limiti, nonostante una problematica, sapermi rialzare e fare qualcosa di diverso da quella che potrebbe essere la normalità e che potrebbe essere facile. Questo mi hanno insegnato gli infortuni. Cosa molto più importante, accetto di non essere la vittima della situazione, perché è facile rifugiarsi dietro ad una problematica, avere sempre un alibi e quindi non portare un risultato. Quello che mi sono detta, ed ho imparato a dire è ‘Ho un problema, ma non voglio essere vittima, lo devo superare nonostante ci sia’, e questo anche grazie a tutti i problemi che ho avuto in carriera“.

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