Volley, come cambierebbe l’Italia con Noumory Keita? Schiacciatore fenomenale, ma problema equilibri
Il tema Noumory Keita sta diventando uno dei dossier più delicati e interessanti del volley italiano in prospettiva nazionale. Lo schiacciatore ricevitore del Rana Verona, maliano di nascita, è al secondo campionato consecutivo ad altissimo livello in Superlega, mostrando qualità fisiche e offensive fuori scala. Proprio per questo la Federazione Italiana Pallavolo ha avviato le pratiche di naturalizzazione, consapevole però di trovarsi davanti a una corsa contro il tempo: dopo il 28 febbraio le norme sul cambio di nazionalità sportiva diventeranno più restrittive, rendendo l’iter decisamente più complesso.
Dal punto di vista regolamentare, la situazione è chiara. Keita non ha mai disputato gare ufficiali con la nazionale del Mali, elemento che lo rende pienamente eleggibile per il passaggio di nazionalità. Lo stesso giocatore ha ribadito pubblicamente questo aspetto nei giorni scorsi, sgombrando il campo da qualsiasi dubbio burocratico. La vera questione, però, non è amministrativa: è tecnica e strategica.
Keita è un attaccante devastante, capace di incidere in ogni fase offensiva grazie a potenza, elevazione e continuità. Tuttavia gioca nel ruolo di schiacciatore ricevitore, esattamente il settore dove l’Italia può già contare su un patrimonio di assoluto valore mondiale. Alessandro Michieletto, Daniele Lavia (quando rientrerà dall’infortunio alla mano che ne sta condizionando la stagione), Mattia Bottolo, Luca Porro e altri profili emergenti garantiscono già oggi qualità, equilibrio e prospettiva nel ruolo. Inserire Keita significherebbe aumentare il tasso di talento, ma anche creare una sovrabbondanza in un reparto che non rappresenta una criticità strutturale.
Da qui nasce il dibattito: che utilità reale avrebbe Keita in azzurro? Una delle ipotesi più discusse è la conversione nel ruolo di opposto, sfruttando la sua potenza in posto 2. Ma è una strada tutt’altro che semplice. Keita ha disputato l’intera stagione – e di fatto tutta la carriera ad alto livello – da banda, attaccando con grande frequenza in posto 4, lavorando in ricezione e costruendo il proprio rendimento su automatismi ben definiti. Un cambio di ruolo in nazionale, a questo punto della carriera, comporterebbe tempi lunghi, adattamenti tecnici e rischi evidenti.
Inoltre, il ruolo di opposto in Italia non è scoperto. Con Yuri Romanò, Kamil Rychlicki e Vigor Bovolenta, la Nazionale dispone di soluzioni diverse per caratteristiche ed età. Non è una copertura totale e perfetta, ma nemmeno una vera emergenza. I risultati parlano chiaro: con Romanò titolare, l’Italia ha vinto due Mondiali, un Campionato Europeo, ha chiuso seconda in un altro Europeo e quarta ai Giochi Olimpici. Difficile sostenere che il problema principale della Nazionale risieda nel ruolo di opposto.
Il rischio, quindi, è che l’operazione Keita venga letta più come opportunità di talento che come risposta a un’esigenza reale. Un investimento sul futuro, certo, ma anche una scelta che potrebbe generare squilibri più che soluzioni immediate. La Nazionale italiana ha costruito i suoi successi recenti su equilibrio, complementarità dei ruoli e identità tecnica, non sull’accumulo di potenza offensiva.
La questione resta aperta e il tempo stringe. Naturalizzare Keita significherebbe mettere al sicuro un’opzione, rimandando poi le valutazioni definitive al campo e di certo togliere un giocatore di altissima qualità a qualche Nazionale rivale. Ma la domanda di fondo rimane: serve davvero Keita all’Italia o è l’Italia a dover trovare risposte alternative sul suo utilizzo? La decisione finale non sarà solo burocratica, ma una scelta di visione sul futuro della Nazionale.

