Damiano Cunego: “Tornassi indietro, farei solo i Grandi Giri. Finn e Pellizzari non devono avere fretta”
Abbiamo raggiunto Damiano Cunego per parlare di ciclismo con la lucidità e la passione di chi questo sport lo ha vissuto al massimo livello. Tra ricordi di trionfi (oltre 50 le vittorie in carriera, tra cui il Giro del 2004) rimpianti sportivi, amicizie nate in gruppo e uno sguardo attento alle nuove generazioni, l’ex campione veronese ripercorre alcune tappe significative della sua carriera, offrendo allo stesso tempo riflessioni mature e sincere su ciò che avrebbe potuto fare diversamente.
Iniziamo dalla tua carriera: tra il Giro d’Italia 2004 e i tre Giri di Lombardia, quale trionfo ricordi con più affetto?
“Il Giro d’Italia è stato senza dubbio la corsa che mi ha fatto conoscere al grande pubblico. È un ricordo speciale perché segnò l’inizio di tutto. Ma ogni vittoria ha un valore particolare, ognuna porta con sé emozioni diverse che restano per sempre”.
Cosa ti è mancato per vincere una Liegi, corsa adatta alle tue caratteristiche?
“Nel 2006 ci sono andato vicino e negli anni l’ho sempre interpretata abbastanza bene. La Liegi richiede allenamenti molto specifici: uscite di oltre sei ore, tanto dislivello, e bisogna arrivarci dopo una settimana impegnativa con Amstel e Freccia Vallone. Non so dire cosa sia mancato davvero. Il 2008 è stato l’anno migliore: avevo vinto l’Amstel, ero arrivato terzo alla Freccia e c’erano grandi aspettative. Ma quel giorno non è stato dei migliori, ricordo di essere arrivato piuttosto stanco nel finale”.
Con il senno di poi, faresti una scelta diversa dando priorità alle Classiche invece che puntare ai Grandi Giri?
“È sempre stato difficile dare una risposta netta, perché da un corridore con le mie caratteristiche ci si aspettava di essere competitivo in entrambi gli ambiti. Trovare un compromesso negli allenamenti, però, non era semplice: sono preparazioni molto diverse. Se potessi tornare indietro, con la maturità di oggi, probabilmente mi concentrerei soltanto sui Grandi Giri”.
Chi è stato il tuo più caro amico nel mondo del ciclismo?
“Ho avuto diversi compagni con cui ho stretto rapporti bellissimi: Leonardo Bertagnolli, Eddy Mazzoleni, i fratelli Mori, Matteo Bono, Paolo Tiralongo e Marco Marzano. Sono quelli con cui ho condiviso i legami più forti”.
Il ciclismo italiano sembra tornare a crescere: cosa pensi di Giulio Pellizzari e Lorenzo Finn?
“Negli ultimi due anni li ho sentiti nominare spesso e li sto seguendo con attenzione. Sono giovani e devono ancora maturare, ed è importante non avere fretta e curare ogni dettaglio. Sono in una squadra che può farli crescere nel modo corretto, e questo è fondamentale”.
Pensi che il dominio di Pogacar durerà ancora a lungo?
“Credo che per almeno un paio d’anni resterà ai vertici. Poi dipenderà molto da lui, da quando sentirà arrivare il momento di dire basta. È un atleta straordinario, ne nasce uno ogni 50 o 60 anni. Non è facile trovare un altro Pogacar, né per lui sarà semplice mantenersi sempre su quel livello e trovare stimoli nuovi”.
Amadio è il nuovo ct della nazionale italiana. Che opinione hai su di lui?
“Conosco Amadio dai tempi della Liquigas. Penso che sia la persona giusta: preparato, qualificato e molto competente. Gli auguro il meglio, e lo stesso alla Federazione: spero che possano raggiungere grandi risultati”.
La scelta di Filippo Ganna di lasciare temporaneamente la pista è stata corretta?
“Difficile dirlo. Viviani è riuscito a conciliare entrambe le discipline ottenendo ottimi risultati, ma ogni atleta è un caso a sé. Se Ganna vuole ottenere qualcosa in più su strada, può essere stata la scelta giusta. Il tempo darà le risposte”.
Quale futuro vedi per Jonathan Milan?
“Sento parlare molto bene di lui: è un corridore veloce, potente. Mi piacerebbe vederlo anche nelle Classiche del Nord. Sta a lui, insieme al team, capire quale percorso sia il migliore per valorizzare le sue qualità”.

