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Il mito Alberto Cova: “Mi chiamavano il ‘ragioniere’. Stavo per diventare maratoneta, ma…Sulle scelte di Crippa ho delle riserve”

Ultima puntata di OA Focus, in onda sul canale Youtube di OA Sport e condotta da Alice Liverani. Ospite d’eccezione Alberto Cova, campione olimpico, mondiale ed europeo dei 10.000 metri, che ha parlato della sua esperienza da atleta di altissimo livello e approfondi temi d’attualità.

Gli impegni da consulente aziendale non hanno distolto Cova rispetto a quanto è accaduto nei Mondiali di Tokyo di quest’anno: “Mi sono goduto le medaglie più belle della spedizione italiana, perché personalmente quelle ottenute da Nadia Battocletti hanno questo significato. Si è trovata a rivaleggiare contro atlete keniane molto forti, ma io credo che con la sua costanza possa cogliere quello che sta cercando di ottenere“, ha osservato.

Al di là di Nadia, altri atleti europei e americani hanno dimostrato che gli africani sono battibili. Certo, veniamo da un periodo in cui c’è stata questa valanga nera che ha dominato tutto il mezzofondo. Ora sono ancora molto forti, ma comunque ci sono atleti bianchi, se così possiamo definirli, che stanno ottenendo dei risultati interessanti. Quest’anno a Tokyo ho visto degli atleti africani non così performanti, non so il motivo. Mi viene in mente quanto è accaduto nei 10000 metri, con la vittoria del francese che ha messo in riga tutti“, ha analizzato Cova.

Spesso si nota una differenza sostanziale tra i tempi ottenuti nei meeting e poi ai Mondiali e la spiegazione dell’ex campione azzurro è la seguente: “C’è una differenza fondamentale tra una gara in un meeting e una che mette in palio le medaglie. In un meeting si parte subito a velocità sostenuta per ottenere un tempo di livello o un record del mondo. Già con quello c’è la selezione. In una gara in cui conta salire sul podio, ognuno si deve prendere la responsabilità di fare quella gara che ritiene opportuna per sé. Non tutti poi hanno il coraggio e l’intraprendenza di mettersi a correre forte dall’inizio, vista l’incertezza di tenere alta la velocità. Tutti guardano a cosa fa l’altro ed è quello che è successo a Tokyo. A ritmi così lenti, chiunque potrebbe essere in grado di correre un ultimo giro velocemente, come è accaduto“.

Cova ha poi una convinzione: “Secondo me il corrispettivo a livello maschile, in Italia, di Nadia Battocletti è Yeman Crippa. Lui ha dimostrato di correre forte i 10000 metri. Ho qualche riserva sulle sue scelte e, visto come si è sviluppato il 10000 metri di Tokyo, io ci avrei visto molto bene Crippa in quell’ultimo giro perché il suo finale è importante. Probabilmente avrebbe potuto dire la sua. Lui ha scelto la maratona, che è una distanza molto particolare perché nell’arco di due ore può accadere di tutto. Più volte si è trovato in una situazione imprevista. Fossi nella sua posizione, avrei corso i 10000 metri, ma è anche per me facile dirlo visti i risultati“.

Riavvolgendo il nastro, l’ex atleta azzurro ha parlato di come l’Italia ai suoi tempi fosse uno dei riferimenti del mezzofondo: “Avevamo un movimento di assoluto livello perché l’Europa dominava e l’Africa ancora non si era manifestata in maniera così evidente. Il gruppo italiano era forte ed è proprio per questo che siamo riusciti a competere a livello internazionale. La crescita di ognuno di noi è stata creata da questo confronto interno ed è quello che io ritengo fondamentale per un atleta: comprendere come migliorare. Noi l’abbiamo fatto in casa e l’abbiamo portato all’estero“.

Cova ha parlato poi della sua storia: “Io ho cominciato a correre quasi per caso. Giocavo a basket, essendo nato a pochi chilometri da Cantù, in un momento in cui la pallacanestro di questa città era ai vertici nazionali e internazionali. Tutti pensavano a giocare a basket, ma io avevo un insegnante di educazione fisica che mi diceva che ero leggero e avrei potuto fare bene nella corsa. Ho accettato questa sfida, iniziando a 14 anni e quindi un po’ tardi. La cosa mi piaceva e l’ambiente era divertente. Poi negli anni ’70 non è che ci fossero molte alternative in termini di svago. Quindi per me è stato un momento importante, come crescita personale. Le cose funzionavano, nel ’77 ho vinto il titolo juniores nei 5000 metri. Poi tutto un meccanismo si è manifestato con Giorgio Rondelli che mi propose certe cose e da lì l’atletica è stata ad altissimo livello. Per le mie caratteristiche personali, pensavo di andar forte nei 1500 metri perché avevo piedi elastici. Con il mio primo allenatore Sergio Colombo, però, abbiamo provato i 5000 e poi con Rodelli abbiamo allungato ancora. Nel 1985 abbiamo valutato la maratona, mi sono allenato tutto l’inverno ma a un mese dall’esordio mi sono fatto male a un polpaccio e da lì la programmazione è cambiata. Sono tornato a correre i 10000 ed è una cosa che mi è un po’ dispiaciuta. Nei test si vedeva qualcosa di buono, non so cosa avrei fatto, ma lo staff era confidente. La maratona, alla fine, è rimasta nel cassetto“.

E nei tempi moderni: “Oggi il maratoneta lo si decide all’inizio della carriera. Al di là del talento, anche economicamente si guadagna di più a correre la maratona che i 10000 metri. Le motivazioni sono anche queste. Secondo me sarebbe giusto un mix: provare i 10000, la maratona e capire quando correre una distanza piuttosto che un’altra. Certo, contro l’Africa per un atleta bianco è difficile fare delle scelte. Nelle maratone Major, lì si va sempre molto veloce e bisogna avere certe caratteristiche. Poi quando ci sono in palio le medaglie, si va un po’ più piano, ma c’è un discorso mentale“.

Sulle sensazioni da atleta, Cova ha rivelato dei retroscena interessanti: “Mi chiamavano il ragioniere sia per il mio diploma che per il mio modo di correre. Questo perché facevo insieme al mio allenatore un’analisi di come sarebbe evoluta la gara e molte volte è andata davvero così, pensando soprattutto agli Europei e alle Olimpiadi. Avere ben chiaro cosa fare, mi ha permesso di vincere. Ho capito di poter conquistare l’oro nei 10000 metri dei Giochi del 1984 quando il mio avversario ha fatto un attacco molto forte ai 5 km e io mi sono accodato. Nei Mondiali è andata diversamente, la mia fortuna è che altri tre atleti fossero lì attaccati al leader. Sono uscito dalla curva e mi sono accorto che la distanza dagli altri non era poi così tanta e quindi nella mia testa c’è stato questo scatto. L’oro olimpico viene prima di tutto, ma nella rassegna iridata si è concretizzato un capolavoro tecnico. La vittoria all’Europeo è stata poi importante per la mia consapevolezza, perché nel Vecchio Continente c’era il gotha in quel periodo nelle mie distanze“.

Concludendo sul momento vissuto dall’atletica italiano: “Stanno facendo un ottimo lavoro, ma sul mezzofondo mi sento di dire questo. Bisogna curare un’attenzione particolare sulle scelte che faranno i ragazzi. Badare a quello che faranno gli africani e stabilire cosa correre sulla base delle possibilità di vittoria non penso sia il modo giusto. Le decisioni vanno prese sulla base delle proprie attitudini“.

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