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Tokyo incorona l’atletica italiana: sette medaglie, bilancio da record ai Mondiali ma non mancano le criticità

I Mondiali di atletica leggera di Tokyo 2025 consegnano all’Italia un bottino senza precedenti: sette medaglie complessive (1 oro, 3 argenti e 3 bronzi) e il sesto posto nel medagliere per punti. Un traguardo storico che certifica la solidità del movimento, capace di produrre risultati in più specialità e di confermarsi tra le potenze emergenti dell’atletica mondiale.

Il trionfo porta la firma di Mattia Furlani, campione del mondo nel lungo con 8,39, ma l’elenco dei protagonisti è ampio: gli argenti di Nadia Battocletti (10.000), Antonella Palmisano (20 km di marcia) e Andrea Dallavalle (triplo), i bronzi di Battocletti (5.000), Iliass Aouani (maratona) e Leonardo Fabbri (peso). Accanto a loro, tanti piazzamenti in finale, un gruppo compatto di atleti in crescita e volti nuovi pronti ad affacciarsi sul palcoscenico internazionale.

Lo scarto rispetto al recente passato è evidente: la velocità non ha tenuto il passo delle altre aree, privando il contingente di quelle finali e di quei punti “facili” che erano diventati una firma negli ultimi cicli. Tanti, però, i piazzamenti utili e soprattutto i segnali di ricambio: giovani pronti a prendersi spazio e profili consolidati che hanno dimostrato continuità. Tra le star sono mancati all’appello alcuni dei big che hanno lanciato l’Italia a livello mondiale negli ultimi anni. Ma per tutti ci possono essere altre possibilità, anche per Marcell Jacobs, che aveva manifestato il desiderio di lasciare salvo poi metterci l’anima in staffetta e lasciare intendere che non smetterà.

Il paradosso è che l’Italia ha ottenuto il suo record di podi senza medaglie che portino la firma di tre campioni simbolo: Jacobs, oro olimpico a Tokyo nei 100; Gianmarco Tamberi, reduce da una stagione complicata nell’alto; e Andy Díaz, frenato da una pubalgia che lo ha tormentato tutto l’anno. A questo elenco si aggiunge Larissa Iapichino, incappata nella classica giornata storta in cui nulla funziona, e Massimo Stano, costretto a guardare da casa a causa di un infortunio. Segno che il movimento è ampio e capace di reggere l’urto anche senza i suoi nomi di punta: una realtà già emersa con la doppia vittoria nella Coppa Europa, confermata e amplificata da questi Mondiali di Tokyo.

Ostacoli: un cantiere che produce risultati

Nei 110 hs, Lorenzo Simonelli resta fuori dalla finale per 3 millesimi: una briciola che pesa, ma racconta la stabilità di rendimento su ritmi da élite. Tecnica pulita fino all’ottavo ostacolo, lieve calo nel tratto conclusivo: l’assetto è quello giusto, e la curva d’esperienza lo porterà a sbloccare l’accesso alle finali “che contano”.

Sui 100 hs, il segnale migliore arriva da Elena Carraro (12.79 PB in semifinale): execution precisa, traiettorie centrali pulite e gestione emotiva da atleta matura. Giada Carmassi resta poco fuori, ma con una semifinale da 12.95 che consolida la sua statura internazionale. Nei 400 hs donne, la triade Folorunso–Muraro–Sartori conferma sostanza: Folorunso è la solita garanzia di presenza ad alto livello, Muraro e Sartori consolidano un nuovo standard con miglioramenti sensibili e continuità di rendimento. Sibilio purtroppo paga i troppi infortuni e la speranza è che da qui inizi una nuova fase senza problemi fisici.

Gli ostacoli sono il settore che, senza clamore, sta accumulando continuità. Il salto di livello passa dalla rifinitura dei dettagli e da una programmazione che porti picchi di forma nelle giornate giuste.

Mezzofondo e fondo: la nuova età dell’oro azzurra

È il cuore pulsante del Mondiale italiano. Nadia Battocletti porta a casa due medaglie in gare dal coefficiente stellare: argento nei 10.000 (dietro la solita Chebet) e bronzo nei 5.000 con lettura tattica magistrale (con un tentativo di risolverla prima della solita volata, soluzione che va approfondita se l’obiettivo non è solo il podio). È la certificazione della sua dimensione mondiale: non più promessa, ma riferimento.

Sugli 800, Francesco Pernici è tra le notizie migliori della manifestazione: 1:43.84 in semifinale, gara presa in mano con coraggio e gestione di alto profilo. L’accesso alla finale sfuma di centimetri, ma lo “status” è aggiornato: atleta da round decisivi. Ai 1500, Pietro Arese passa da capitano silenzioso a finalista credibile (batteria vinta con autorevolezza, poi stagionale in semi): lucidità nelle letture e tenuta tattica sono al livello giusto. Federico Riva, settimo in finale in 3:35, esce dal Mondiale con più certezze di quante ne avesse portate.

La maratona rimette l’Italia su un podio che mancava da 23 anni: Iliass Aouani compone una gara da manuale (economia di corsa, immunità agli strappi, freddezza nei 5 km-chiave finali) per un bronzo di enorme valore; Chiappinelli è sesto, confermando che la profondità non è un caso. Nel femminile, Rebecca Lonedo si guadagna la sufficienza con una gara “intelligente” gestita a negativo su percorso caldo e selettivo.

Il mezzofondo/fondo non è più appendice, è asset strategico. Il prossimo step è ampliare la batteria dei finalisti sui 1500–5000 e consolidare la qualità media della mezza e della maratona femminile.

Lanci: podio pesante e esigenze di profondità

Il peso vale il bronzo di Leonardo Fabbri (21,94): non il miglior Fabbri dell’anno (22,82 in stagione), ma la capacità di stare nella gara iridata anche con sensazioni non perfette è il tratto dei campioni. La lettura amara: considerato il valore dell’oro (mezzo metro sotto al suo SB), resta il rimpianto di una giornata “solo” solida. Ponzio fuori per 4 cm, episodio sfortunato; Weir chiude una stagione da archiviare in fretta. Nel martello, Sara Fantini è settima con 73.06 stagionale: fedeltà a un livello mondiale alto, anche in annata complicata; serve risollevare la densità dietro di lei. Osakue nel disco paga una stagione senza continuità.

Serve recuperare Weir, blindare la salute di Fabbri e riaccendere la pipeline tecnica del disco. Il martello femminile ha una leader, ora bisogna costruire il secondo, e magari il terzo, violino.

Salti: Furlani campione, Dallavalle consacrato. Alto in chiaroscuro, asta a due facce

Il lungo incorona Furlani con un oro da atleta “compiuto”: gestione dei turni, aggiustamenti di rincorsa, freddezza nelle fasi calde. A 20 anni è già in grado di controllare la finale, non solo di illuminarla. Nel triplo, Andrea Dallavalle è argento con 17,64 all’ultimo salto: gara costruita con intelligenza (mettersi al sicuro, poi alzare il rischio quando conta). La cifra internazionale ora è definitiva. All’appello è mancato un altro campione da podio, come Andy Diaz ma se il problema, come pare, è la pubalgia, bisognerà tenere conto di questa difficoltà e lavorare di conseguenza per evitare sofferenze e giornate come quella di venerdì, dove sembra che nulla funzioni nel modo giusto.

Nell’alto maschile c’è quantità e qualità anche se a Tokyo la seconda si è solo intravista. Stagione  nera di Tamberi (eliminato a 2,21): “giornata storta” nelle sue parole, rincorsa mai in bolla, niente allarmismi ma dato tecnico inconfutabile. Di segno opposto il debutto di Matteo Sioli, ottavo con presenza scenica e controllo emotivo: materiale da top-8 stabile. Nell’asta, Roberta Bruni rientra in finale (4,60 in qualificazione): non esce il jolly a 4,65, ma la gara è solida e, soprattutto, arriva dopo mesi difficili; Molinarolo resta fuori, in linea con una stagione poco fortunata. Larissa Iapichino vive la controprestazione dell’anno nel lungo: qualificazione tradita dalla pressione e da una rincorsa “rotta”. È un passaggio doloroso, ma dentro una parabola complessivamente in crescita. Le giornate nere capitano: servirà lavoro sulla routine di entrata per sterilizzare il rischio nelle qualificazioni secche.

I salti sono il settore trainante insieme al mezzofondo. L’innesto di Furlani e la consacrazione di Dallavalle cambiano lo scenario. Alto e asta hanno basi per tornare a punteggio pieno con salute e continuità.

Marcia: Palmisano guida, dietro si cerca la spinta

Antonella Palmisano prende l’argento nella 35 km confermandosi tra i riferimenti mondiali: gestione “alla Palmisano”, cioè lucidità, ritmo e qualità ma anche tanta sofferenza nella seconda metà. Quella sofferenza che presenta il conto nella parte conclusiva della 20 km con tanto di ritiro. Tra gli uomini, l’assenza di Stano pesa; Riccardo Orsoni firma un ottavo posto nella 35 km: risultato non banale, utile alla placing table e al morale del settore. Nel femminile, Mihai (una delle carte del futuro assieme all’altro giovane, Disabato) e Curiazzi offrono prove regolari: affidabilità in progressione. Fortunato fatica nella 20 km (16°), ma porta a casa la gara. Servono chilometri “di qualità” per riattivare la filiera maschile e accompagnare la crescita di Mihai; il rientro di Stano è la variabile in grado di spostare tanto.

Prove multiple: la solidità di Gerevini

Sveva Gerevini chiude 13ª con 6167 (SB), dopo una prima giornata ordinata e una seconda in crescendo (PB nel giavellotto, ottimi 800). Il segnale è duplice: tenuta mentale e capacità di resatare competitiva anche al rientro da un grave infortunio. L’eptathlon resta un territorio dove la continuità può trasformare una top-13 in top-8.

Velocità e staffette: il nodo irrisolto del Mondiale

Il dato più netto riguarda gli sprint. Marcell Jacobs si ferma in semifinale con un 10.16 stagionale: è il miglior segnale del suo 2025, ma non basta più in un contesto dove per entrare tra i primi dieci serve il ritmo-gara di un tempo. La sua frazione in 4×100 è condizionata da contatti e assetto non ideale ma è tutt’altro che negativa: non il metro con cui giudicarlo, ma l’impressione è che manchi ancora la continuità agonistica. Sui 200, Filippo Tortu e Fausto Desalu restano ai margini: appoggi, uscita di curva e progressione centrale non hanno retto il “salto” di qualità necessario, con eliminazione in batteria per entrambi.

Tra le donne, Zaynab Dosso offre un avvio incoraggiante (11.10 vincendo la batteria), segno che il valore resta, ma la scalata allo step finale (semi/finale mondiale) richiede il ritorno alla piena efficienza e l’azzurra è arrivata acciaccata a Tokyo. La 4×100 femminile perde subito Vittoria Fontana per infortunio: gara segnata, mentre Hooper, Kaddari, Pavese salvano l’onore.

Il cerchio si è chiuso proprio a Tokyo e non certo nel modo sperato. Quattro anni fa su questa pista gli azzurri conquistavano il mondo con Marcell Jacobs e con una staffetta da leggenda, oggi sono fuori dai giochi, vittime, chi più chi meno, di problemi fisici che hanno tormentato tutti (si possono escludere Desalu tra gli uomini e Kaddari tra le donne) gli atleti scesi in pista nelle distanze inferiori o uguali ai 200 metri. E anche quelli non scesi in pista, perché Ceccarelli e Ali, ad esempio, non sono stati risparmiati dall’epidemia di infortuni che ha falcidiato l’Italia che corre veloce.

È stato un anno sfortunato, non si può sostenere il contrario, ma la “fortuna” un po’ va aiutata. E gli atleti che gareggiano sempre, tanto, e che ogni anno si presentano ai blocchi di partenza senza apparentemente soffrire di gravi problemi fisici, ci sono, esistono. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fare come loro, che si infortunano pochissimo, a volte mai.

C’era una volta il nuoto, che prima dell’atletica ha iniziato la sua rivoluzione tecnica, portando l’Italia nell’élite mondiale di questa specialità che, in quanto a globalità, è seconda solo alla Regina. Dalla piscina, l’atletica del post Doha 2019, quella della rinascita e del rilancio, ha assorbito tanti plus: la formazione e la rete dei tecnici prima di tutto. Ancora, però, l’atletica non ha fatto lo scatto di rendere la Nazionale centrale in alcuni momenti dell’anno. Il tutto anche per cercare di scongiurare i tanti, troppi infortuni che falcidiano la Nazionale e soprattutto il settore velocità.

È vero che per il nuoto è più semplice e che per chi vive di atletica la priorità è monetizzare, accontentare sponsor e magari anche corpi militari, ma è necessario che chi poi deve creare la Nazionale nei momenti clou della stagione, soprattutto negli anni dei Mondiali e, a maggior ragione, delle Olimpiadi, possa controllare, con una cadenza da stabilire, lo stato di forma degli atleti. Che sia con uno stage o con una settimana dedicata ai Campionati Italiani, è fondamentale. Chi dirige la Nazionale ha dimostrato capacità e intelligenza nel gestire anche le situazioni più delicate: è giusto che ogni tanto possa avere un check sulle condizioni e sui sistemi di preparazione degli atleti che andranno a formare l’Italia nei grandi eventi internazionali outdoor. Forse si chiede troppo, ma così si cresce: nuoto docet.

Le note positive arrivano dai 400 metri: due staffette in finale (la 4×400 mista e la 4×400 femminile) con risultati cronometrici di assoluto valore, il record italiano di Edoardo Scotti, e le buone prove di quasi tutti gli azzurri, arrivati un po’ stanchi a causa di un programma da rivedere per la gara individuale. La speranza è che un talento come Luca Sito venga recuperato e che Alessandro Sibilio stia bene, perché per la 4×400 maschile la sua presenza è fondamentale. Per il resto, avanti così.

Giovani, profondità e “next step”

Il Mondiale racconta un gruppo con base larga. Dai finalisti “nuovi” (Sioli, Riva) ai quasi-finalisti di lusso (Simonelli, Pernici), fino a chi ha rimesso il naso tra i grandi (Scotti). La pipeline giovanile sta bussando: compito dello staff è proteggere i carichi, selezionare con attenzione gli appuntamenti-chiave e aumentare l’esposizione internazionale nei meeting giusti.

Tokyo 2025 consegna all’Italia un bilancio storico per metalli e maturo per qualità diffusa. La flessione nella velocità non va nascosta: è il promemoria che l’élite mondiale non aspetta. Ma l’oro di Furlani, gli argenti di Battocletti, Palmisano, Dallavalle, i bronzi di Battocletti, Aouani, Fabbri, insieme a una pioggia di finali e semifinali, dicono che il presente è solido e il futuro è già in costruzione. Se la velocità tornerà anche solo vicino ai livelli del suo picco recente, il passo da “Italia da 7 medaglie” a “Italia da lotta per la top-6 del mondo” non sarà lungo.

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