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Salvatore Antibo: “Buttai l’oro a Seul 1988. Cova ha avuto più fortuna di me, Mennea mi considerava un fratello”

Il leggendario Salvatore “Totò” Antibo è stato l’ospite dell’ultima puntata di Run2u, in onda sul canale Youtube di OA Sport. Il mezzofondista siciliano, che ha scritto pagine epiche di storia dell’atletica italiana e mondiale, si è raccontato a 360°, iniziando proprio dalle origini che, come racconta il classe 1962, sono state davvero peculiari.

“Il mio approccio con l’atletica? Io non la amavo – sorride – Anzi, giocavo a calcio. Non mi dimenticherò mai il test che mi fece fare Gaspare Polizzi. Mi chiese se dopo quella corsa fossi stanco. Io, sorpreso, risposi ‘Perchè dovrei essere stanco’?; allora il mio allenatore mi disse che se correvo un 2.000 potevo andare a casa. Segnai 5:54 con un paio di scarpe da 10.000 lire. Lasciai tutti senza fiato. Polizzi mi disse che se fossi tornato il giorno successivo mi avrebbe fatto diventare il numero 1 al mondo. Io però non amavo l’atletica e non mi presentai. Anzi, dopo 15 giorni venne lui a prendermi al mio paese. Fu bravissimo. Convinse me e i miei genitori. Aveva ragione lui, dopotutto già nel 1988 ero argento olimpico”.

Una carriera lastricata di successi, ma nessuno a livello italiano: “Non ho mai partecipato ai Campionati nazionali. Il mio allenatore non li considerava. Per lui c’erano solo i grandi eventi, i meeting internazionali, i Mondiali, le Olimpiadi. Quando nel calendario arrivavano gli Assoluti, per me c’erano Bruxelles, Stoccolma o Helsinki e puntavamo su quelli”.

Una lunga esperienza che propone ricordi a non finire:Non ho un ricordo più bello degli altri. Penso che l’aver girato il mondo grazie all’atletica sia l’aspetto che più porto nel cuore. La gente si è innamorata di me per come sono e dopo 35 anni si ricorda ancora e mi apprezza”.

La gara del cuore? Forse una sola non c’è:Tutti ricordano gli Europei di Spalato 1990 dove ero andato consapevole di poter fare doppietta nei 5.000 e 10.000. La gara più lunga è stata incredibile. La tattica doveva essere la stessa dei 5.000, ma al via mi hanno spinto e mi sono trovato a terra. A quel punto ho capito che dovevo cambiare la strategia di gara. Ci fu premeditazione? Assolutamente no. Sono cose che possono capitare in questo sport. Come può accadere nel corso dell’ultimo giro”.

Un’altra gara indimenticabile, ovviamente, è stata Seoul 1988:La medaglia d’argento olimpica è stata importante, ma in quell’occasione penso di avere gettato alle ortiche l’oro. Non ho dato credito a Brahim Boutaib che era andato in fuga, pensando solo a controllare gli altri favoriti. Quando mi sono accorto che la sua azione era reale, era troppo tardi. Peccato davvero”.

Totò Antibo, poi, passa a ricordare un altro momento nel quale la fortuna non è stata dalla sua parte:I Giochi Olimpici di Los Angeles 1984. Già in quella occasione potevo vincere l’oro, ma ho commesso un errore grave. Tutta colpa mia, ma ho scelto di gareggiare con un paio di scarpe nuove di zecca. Non ero ancora maturo per capire che, in quel modo, le cose sarebbero peggiorate, tanto che dopo le batterie ero finito in ospedale con i piedi rovinati. La finale è andata di conseguenza, con un quarto posto amaro”.

Si passa, poi, ad un altro momento delicato. “Ripenso ai Mondiali di Tokyo 1991. Meritavo di vincere, ma nella gara dei 10.000 sono stato colto da una crisi epilettica, senza nemmeno sapere di soffrirne. Correvo, ma ero ultimo e non capivo il perché. Sono voluto comunque arrivare al traguardo perché sono una persona educata. Non so se tutti l’avrebbero fatto”.

Una problematica che ha segnato la carriera e la vita del palermitano:Anche ai Giochi di Barcellona 1992 sono stato sfortunato. Un altro quarto posto nonostante l’assunzione dei farmaci epilettici. Poi, ovviamente, non dimentichiamo la squalifica prima data poi tolta a Khalid Skah che, per qualche ora, mi aveva fatto tornare sul podio”.

Dalla sua esperienza personale all’atletica moderna, rapportata con quella del passato.Sono cambiate tante cose. Lo vedo anche con mio figlio Gabriele. Per me lui è fortissimo, anche se non sarà mai come suo padre, perchè ha dinamiche diverse. Io davo tutto per questo sport, andavo a letto alle 9 di sera, i giovani d’oggi no. Escono, giocano alla play-station, fanno tardi. Un primo esempio è questo. Poi, non dimentichiamo le attrezzature. Le scarpe di nuova generazione per esempio. Si è calcolato che regalano 3 secondi a chilometro. In quel caso io avrei potuto fare 26:30 sui 10.000 e 12:40 sui 5.000. Non ha senso. Non amo più l’atletica come prima anche per quello. Poi, faccio i complimenti a chi mi ha tolto i record, come Crippa, sono tutti bravissimi ci mancherebbe”.

Ultima battuta sul ricordo di due illustri colleghi: “Nella mia carriera come dico sempre ho dato tutto. Ho conosciuto da vicino il grande Pietro Mennea che mi voleva bene come se fossi suo fratello. Purtroppo se n’è andato da diversi anni e mi manca. Mi auguro un giorno che ci sia un nuovo Antibo e un nuovo Mennea. Alberto Cova? Anche lui è stato un grande, ma con un pizzico di fortuna in più. Quando vinceva tutto, infatti, non c’erano gli atleti africani. Anche lui me lo dice sempre che ha vinto più di me, ma il numero 1 rimango io”.

CLICCA QUI PER VEDERE LA PUNTATA COMPLETA DI RUN2U

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