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Australian Open 2022, Camila Giorgi sfida la n.1 del mondo Barty. Quando si è realizzata in passato l’impresa di battere la migliore?

Con la sfida di venerdì tra Camila Giorgi e Ashleigh Barty, si ripete un tema che per quattro volte (tre contro Serena Williams e una contro Karolina Pliskova) ha visto la marchigiana coinvolta: riuscirà a battere l’australiana, attualmente numero 1 del mondo? La domanda avrà una risposta venerdì, ma sette volte nella storia quest’eventualità si è già verificata nell’Era Open. Andiamo a riscoprire quei momenti, racchiusi nell’arco di 11 anni, quelli più belli del tennis femminile italiano.

ROLAND GARROS 2004 – 2° turno: Tathiana Garbin b. Justine Henin (BEL) 6-4 7-5
Ancora oggi Justine Henin è ricordata come straordinaria interprete del rovescio a una mano, che John McEnroe si spinse a definire il più bello mai visto in assoluto, comprendendo anche gli uomini. L’hanno definita “poesia in movimento”: al tempo aveva già vinto tre Slam, un tabù che, dopo varie finali e semifinali, era riuscita a infrangere proprio a Parigi, che fino al 2007 sarebbe diventata suo feudo inattaccabile, in uno strano parallelo con Roger Federer e Wimbledon. Con un’unica eccezione: quella del 2004.

26 maggio, Court Philippe Chatrier. Di fronte a Henin si presenta Tathiana Garbin, un’altra che con la racchetta in mano era in grado di fare qualunque cosa. Un gioco complicato per molte da leggere, ma che, in quel momento, di frutti ne stava dando pochi alla mestrina, classe ’77, al tempo numero 83 del ranking WTA. Aveva ottenuto alcuni buoni risultati nell’anno, ma erano state maggiori le delusioni, compresa l’uscita nel primo turno delle qualificazioni a Roma, subendo un durissimo 6-1 6-0 da Roberta Vinci, che era alla vigilia dell’anno dell’esplosione da singolarista.

Australian Open 2022, ora Camila Giorgi ha l’ostacolo Ashleigh Barty, il più duro possibile

Ma anche Henin non arrivava da un bel momento. Un’infezione virale l’aveva assai debilitata nei mesi precedenti, e anche contro la francese Sandrine Testud (che con l’Italia avrebbe poi stabilito un legame molto stretto) non aveva particolarmente convinto, nonostante il 6-4 6-4. Nulla, però, l’aveva preparata a quel che si sarebbe potuto vedere in quel 26 maggio. Non era poi così bello il tempo su Parigi, ma lo era per una Garbin perfettamente presente in campo, in grado di salire sul 5-2 nel primo set e di riprendersi dopo esser stata ripresa sul 5-5 per vincere 7-5. Ancora avanti 2-0, fu di nuovo riacciuffata sul 2-2, ma Henin, quel giorno, non riusciva a tenere il ritmo. Dopo due match point sfumati, il terzo divenne quello buono, un passante di rovescio che portò in giro la notizia: per la prima volta, un’italiana era riuscita a battere la numero 1 del mondo.

FED CUP 2006 – Quarti di finale, 3° match: Francesca Schiavone b. Amelie Mauresmo (FRA) 4-6 7-6(4) 6-4
Paradosso dei paradossi, questa partita in Italia non fu possibile vederla in diretta. La Rai, che al tempo aveva un rapporto complicato con la Fed Cup, limitò la trasmissione della seconda giornata del quarto di finale tra Francia e Italia, a Nancy, a due ore sintetiche in prima serata sull’allora RaiSport Satellite. Fu solo allora che gli appassionati italiani poterono vedere quanto era accaduto a Nancy in quel 23 marzo, quando transalpine e azzurre, per effetto dei risultati del giorno precedente, si trovavano sull’1-1.

Francesca Schiavone, all’epoca numero 11 del mondo, era già stata autrice di diversi scalpi importanti. Fino ad allora di top ten in carica ne aveva battute otto, Mauresmo (due volte) compresa. E, a Nancy, confermò una volta di più quanto potesse essere fastidiosa per la più grande esponente del tennis francese negli ultimi 25 anni. Una battaglia furiosa, risolta dopo ben più di due ore e che fu in grado di portare l’Italia sul 2-1, dopo aver conquistato il giorno precedente il punto dell’1-0 in rimonta su Nathalie Dechy.

La questione, però, non poteva essere evidentemente finita lì: mancava un altro tassello al successo. Lo mise insieme Flavia Pennetta, che si riprese mirabilmente dal doppio 6-1 subito il giorno precedente proprio da Mauresmo e fece progressivamente sparire dal campo Dechy. Fu semifinale, l’inizio di un cammino che avrebbe portato alla prima Fed Cup della storia in due giorni di Charleroi a settembre, di quelli ancora non dimenticati.

WTA TIER II DUBAI 2008 – Quarti di finale: Francesca Schiavone b. Justine Henin (BEL) 7-6(3) 7-6(4)
Questa partita è forse ingiustamente troppo poco ricordata oggi, eppure c’è stata. A Dubai, in un torneo riservato a parecchie delle grandissime, si sfatò finalmente un tabù che Francesca Schiavone tante volte era andata vicina a infrangere, ma mai era riuscita a farlo: quello di Justine Henin. Che, rispetto al citato 2004, aveva nel frattempo istituito un dominio assoluto sul tennis femminile, con quattro ulteriori vittorie Slam, un 2006 sempre in finale in ogni torneo maggiore.

In quel 28 febbraio, le due diedero vita al solito, magnifico spettacolo in campo, fatto di un tennis che loro e pochissime altre sapevano interpretare. Fu la milanese a portare a casa un primo set in cui, prima di giungere al tie-break, fu 6-5 0-30, solo che con Henin non era possibile aspettarsi, in nessun caso, che regalasse qualcosa. Difatti furono tutte composte in casa Schiavone le opere d’arte verso il 7-3.

Nel secondo parziale fu l’italiana a sorprendere ancora la belga, riuscendo a issarsi fino al 5-2, potendo anzi servire per il match visto il doppio break di vantaggio, con il centrale di Dubai ad altissimo tasso di riempimento in quel momento. Un moto d’orgoglio di Henin, qualche incertezza di Schiavone, il vantaggio svanì pur se ci fu anche un match point. Venne il secondo tie-break, con l’orologio vicino alle due ore e mezza di tennis a livelli non umani. E, nel finale, non ci furono sconti concessi. Servizio, dritto, 7-4. Il giorno dopo, i quotidiani italiani celebrarono giustamente. Schiavone finì poi la corsa contro Elena Dementieva, forse la più forte giocatrice della storia a non aver mai vinto uno Slam.

WTA TIER II ZURIGO 2008 – 2° turno: Flavia Pennetta b. Jelena Jankovic (SRB) 5-7 6-3 6-3
Nel maggio 2008, Justine Henin si era ritirata. Un autentico vuoto di potere si era creato al vertice della WTA, con il numero 1 del mondo che cambiava padrona in grande rapidità. Complessivamente, tra Maria Sharapova, Ana Ivanovic, Jelena Jankovic e Serena Williams, si contarono sei avvicendamenti dal 19 maggio (la prima settimana senza Henin nel ranking) alla fine dell’anno.

Il torneo di Zurigo era molto popolare tra le giocatrici e non solo. Per anni Tier I (l’equivalente degli attuali 1000), in quel 2008 visse l’ultima edizione, e divenne Tier II (una via di mezzo tra i 1000 e i 500 odierni). Fu qui che Jankovic si presentò da numero 1 del mondo, riconquistato solo la settimana precedente, e fu qui che, il 16 ottobre, Flavia Pennetta la sconfisse. E dire che la serba veniva da tre tornei vinti in fila: Pechino, Stoccarda (che al tempo si giocava sul veloce) e Mosca. Prima di allora la brindisina era andata anche solo vagamente vicina a batterla soltanto una volta, a Berlino nel 2005 (tie-break del terzo set), per un testa a testa che, alla fine delle due carriere, si è fermato sull’8-2 Jankovic.

Ma, quel giorno, le cose andarono bene per l’italiana, che rimontò un break di svantaggio nel primo set solo per poi perderlo 7-5 via doppio fallo. Nei successivi due, però, riuscì a imporre una qualità di gioco altissima alla serba, che non fu più in grado di reggere il ritmo prima nel secondo set e, poi, in una fulminante conclusione del terzo, dove Pennetta accelerò in maniera poderosa. Chiuse con due ace negli ultimi tre punti, portandosi a casa il risultato fino ad allora più importante della carriera. Non poteva ancora sapere che, in futuro, di cose ne sarebbero successe, e parecchie.

WTA PREMIER 5 TORONTO 2011 – 2° turno: Roberta Vinci b. Caroline Wozniacki (DEN)
Roberta Vinci aveva fatto capire già in più di un’occasione di avere le qualità per sfondare anche in singolare, oltre che nel “suo” doppio, fin dal 2005. Dal finale di 2010, però, riuscì a cambiare passo in maniera decisa anche da sola, diventando il volto emergente destinato a completare la dinastia delle quattro che hanno regalato le soddisfazioni più grandi al tennis femminile di casa nostra.

All’incirca dallo stesso periodo, Caroline Wozniacki aveva preso il comando delle operazioni nel tennis femminile. La danese aveva preso in mano la situazione con grande costanza di risultati, ma con quel neo, chiuso nel 2018, della mancanza di un torneo del Grande Slam nella propria bacheca. Stava però vivendo un momento di impasse, nel quale faticava fin dalla semifinale di Roma a fare risultato.

Si inserì in questo contesto l’impresa compiuta il 10 agosto dalla pugliese alla Rogers Cup di Toronto, in cui fece impazzire la danese, tanto le riusciva difficile gestire i continui cambi di ritmo, le palle mai uguali e molto spesso profonde che le arrivavano. Vinto il primo set per 6-4, a Vinci fu necessario un break a zero nel secondo, sul 5-5, per mettersi sulla strada di un 6-4 7-5 che le aprì la strada in grado di portarla fino ai quarti di finale del torneo canadese. Aveva già battuto tre top ten in passato, e nel futuro avrebbe fatto ancor di più.

WTA PREMIER MANDATORY 2011 – Quarti di finale: Flavia Pennetta b. Caroline Wozniacki 3-6 6-0 7-6(2)
Poche settimane dopo, era già successo tantissimo. A Wozniacki era sfuggito un altro Slam, gli US Open, a causa della mano di Serena Williams, poi sconfitta da Samantha Stosur nella gioia più bella (e meritata) dell’australiana, che è in questi giorni al passo d’addio in singolare. Ma anche Flavia Pennetta aveva subito una delusione forse ancor più grande: dopo numerosi rinvii per pioggia, aveva perso un quarto di finale in cui era data da tutti per favorita. Fu quella la partita che lanciò definitivamente la carriera di una tedesca di nome Angelique Kerber, con cui nel futuro i duelli sarebbero stati aspri.

Con queste premesse, la comprensibile voglia di rivincita per brindisina e danese c’era tutta. Tra le due delle volte erano battaglie, altre erano risultati nettissimi per la Wozniacki, ma sempre dalla stessa parte andavano a finire le cose. Quel giorno, a Pechino, andò però diversamente. E con parecchi brividi, perché dopo un primo set vinto 6-3 dalla nativa di Odense, il secondo finì nelle mani della pugliese con un rotondo 6-0.

Fu nel terzo, però, che successe letteralmente di tutto. In preda a un furore agonistico degno delle sue performance più belle, in quel 6 ottobre, Pennetta fuggì fino al 4-1. Ma lì iniziò il saliscendi. Break recuperato, 4-3. Controbreak, 5-3. Tre giochi di fila Wozniacki, 6-5 30-0. Finita? No: arrivò un colpo di coda dell’azzurra, che significò tie-break e successo conclusivo, dopo che per sei volte la mano l’aveva dovuta stringere dal lato della sconfitta. E divenne, quella, la quinta vittoria dell’intero 2011 su una top ten.

US OPEN 2015 – Semifinale: Roberta Vinci b. Serena Williams 2-6 6-4 6-4
A New York, in chiave italiana, il tempo per due settimane sembrò fermarsi. Che ci fosse qualcosa nell’aria lo fece capire già Sara Errani, che, con una giovane Jelena Ostapenko, vinse in rimonta al secondo turno con qualsiasi genere di malessere fisico, come confessò più tardi in conferenza stampa. Questo esempio di perseveranza e di capacità di andare oltre i limiti fu solo il primo tassello di uno Slam che, a livello italiano, fu maestoso e rimane da raccontare.

Sei azzurre iscritte, cinque al secondo turno, uscì solo Francesca Schiavone. Camila Giorgi e Karin Knapp uscirono poi di scena; rimasero Errani, Roberta Vinci e Flavia Pennetta. Per la prima arrivò la sconfitta con Samantha Stosur, la quale fu però battuta, come al solito, dall’unica che aveva sempre le chiavi per batterla, quella Pennetta che due anni prima a Flushing Meadows era rinata volando fino in semifinale battendo Errani al secondo turno, Halep negli ottavi e Vinci nei quarti.

Da tutt’altra parte del tabellone, per Vinci le difficoltà non mancarono, visti i terzi set con la ceca (allora mina vagante) Denisa Allertova e con la colombiana Mariana Duque Marino. Non si giocò mai, invece, l’ottavo di finale con Eugenie Bouchard. La canadese, infatti, cadde in spogliatoio, batté la testa e subì una commozione cerebrale, dovendosi ritirare dal torneo. L’episodio è rimasto famoso perché dal team di Bouchard partì una causa contro la USTA, con le parti che si accordarono nel 2018.

A quel punto, Vinci-Mladenovic e Pennetta-Kvitova. La tarantina riuscì ad avere la meglio sulla francese in tre soffertissimi set, mentre la brindisina emerse alla distanza sulla ceca, che vide ancora una volta infranti i progetti di Slam lontano da Wimbledon. A quel punto, però, le semifinali sembravano più un Everest che altro: Flavia Pennetta contro una lanciatissima Simona Halep, Roberta Vinci contro Serena Williams a due match dal Grande Slam (e con prezzi della finale che in quel momento erano alle stelle). L’Italia contro le prime due giocatrici del mondo.

Ne uscì fuori quella che è senza alcun dubbio una delle giornate più importanti della storia del tennis italiano. Dopo un (proverbiale) rinvio per pioggia, semifinali tutte di sabato (all’epoca il calendario, per una stortura, prevedeva finale femminile domenica e finale maschile lunedì). Primo match: Pennetta-Halep. Fu una delle partite più impressionanti della carriera di Flavia, che non concesse mai scampo alla sua avversaria: 6-1 6-3, finale.

Seconda semifinale: Vinci-Serena Williams. Primo set: 2-2, poi quattro game consecutivi e 6-2 Serena. Sembrava tutto già scritto, e invece più si andava avanti, meno l’americana era tranquilla, più Roberta faceva capire che delle urla dall’altra parte della rete non gliene importava proprio niente, anzi rideva. Costruendo una ragnatela di classe e colpi solo suoi si prese il secondo parziale per 6-4. Terzo set: 3-3, “Ogni tanto applaudite anche me!” e parola non riferibile, con break poco dopo. Nel giro di meno di due ore, un’impresa storica fu compiuta, un sabato senza tempo venne scritto, tutti i giornali italiani vennero travolti dall’ondata tennistica. L’Italia diventò il quinto Paese ad avere una finale tra connazionali al femminile. Ad oggi è rimasto questo l’ultimo, vero grande acuto Slam del tennis femminile italiano, che negli anni tra il 2010 e il 2015 distribuì, tra quattro giocatrici, due vittorie, tre finali e tre semifinali, senza contare i quarti di finale. Ed è forse stato giusto che un ciclo difficilissimo da ripetere si sia chiuso in questo modo, con lampi tanto luminosi come quelli realizzati in un non ordinario 11 settembre.

Foto: LaPresse (principale, 1); LaPresse / Olycom (2, 3, 4, 5, 6, 7)

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