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Il Tennis: un’ultramaratona giudicata ogni 2 metri

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Matteo Berrettini - Foto Ray GiubiloMatteo Berrettini - Foto Ray Giubilo

Il tennis è una maratona, più precisamente una ultramaratona da 100 km. I 50 metri iniziali vengono corsi nel momento in cui, a 5/6 anni, si prende in mano la prima racchetta; e si prosegue così, dai primi tornei provinciali alle esperienze giovanili nazionali e internazionali sino al professionismo. Una ventina d’anni, circa, di professionismo. Solo alla conclusione dei 100 km si potrà, davvero, giudicare l’intera gara/carriera. È chiaro ed evidente che i commenti, positivi e negativi, arriveranno nell’arco delle varie stagioni tennistiche, ma non dovrebbe accadere dopo ogni singola partita. Giudizi, sentenze, processi, dopo ogni maledetto match. Una deriva molto calcistica. Si chiede la testa dell’allenatore, si contestano programmazioni e scelte, si arriva a decretare il declino o l’ormai raggiunto apice. Con la differenza che una sconfitta nel calcio, mediamente, è molto più incidente di un match perso a tennis.

Due sconfitte di fila di Matteo Berrettini e c’è chi pensa a sostituire coach Vincenzo Santopadre. Lorenzo Musetti non convince sul cemento? E dove potrà mai andare sul veloce se a 20 anni non ha vinto quanto Agassi (che poi non è che a quell’età avesse già Slam in bacheca, ma questo è un altro discorso)? E Lorenzo Sonego? Ecco che finalmente esce fuori il suo scarso valore e non vince più. E Fabio Fognini? Finito. Jannik Sinner? Deludente contro i big. Chi più ne ha più ne metta. Sarebbe facile tornare indietro negli anni e leggere (lo scrivevano davvero in tanti, anche addetti ai lavori) ‘Flavia Pennetta è finita’ un paio di anni prima che trionfasse a New York. Ed è solo uno dei tantissimi esempi di giudizio affrettato che, poi, risulta matematicamente errato.

Il tennis è diventata una disciplina molto seguita in Italia. Nei quotidiani sportivi solamente il calcio ha (molto) più spazio. Tutti parlano di tennis. Il prezzo da pagare (e lo si paga con piacere, sia chiaro) è palese: l’ignoranza. Non siamo più tutti solamente commissari tecnici della nazionale di calcio. Siamo tutti coach di tennis. Anzi, alcuni sono anche super coach, alla Darren Cahill.

Entriamo nel dettaglio. Matteo Berrettini ha avuto un serio infortunio (con conseguente intervento chirurgico) alla mano, è rientrato in maniera incredibile vincendo due tornei consecutivi; a Wimbledon, dove era tra i favoriti, non ha giocato causa Covid (sintomatico). È rientrato dopo un’altra pausa forzata e ha sfiorato il successo a Gstaad. E poi, come è fisiologico, è giunta la sconfitta a Montreal contro Carreno Busta (che abbia dominato il torneo è irrilevante, giusto?). La sconfitta è stata pesante per l’atteggiamento remissivo, per la poca intensità. A Matteo capita di rado, e quindi fa notizia. A Cincinnati Berrettini ha perso un match combattutissimo contro Frances Tiafoe, che sul cemento outdoor americano è molto competitivo. Può accadere? Si. È stata una delusione per i tifosi e per lo stesso Matteo? Si. Si può giudicare il tennis di Berrettini e il suo prossimo futuro da queste settimane? No. Mai. Qui non si tratta di opinioni. Si tratta di conoscere il tennis. Uno sport in cui si è sempre soli in campo (e tutto ciò che ne consegue).

Lorenzo Sonego ha sempre avuto momenti complicati all’interno delle singole stagioni. Qualche sconfitta consecutiva (tra 2019 e 2020 i match persi consecutivamente furono addirittura 10) non ha mai pregiudicato la sua carriera. Ha vissuto e in parte sta vivendo una fase difficile mentalmente. Ne uscirà, come sempre, perché ha grandi qualità tennistiche e in particolare umane.

Jannik Sinner è l’emblema della deriva calcistica. ‘Deve cambiare allenatore’, poi ‘Non doveva cambiare allenatore’ che dopo un mese diventa ‘Grande lavoro di Vagnozzi’ e dopo una settimana si trasforma in ‘Per fortuna è arrivato Cahill, Vagnozzi non all’altezza’; occhio che potrebbe a breve tornare un bel ‘Deve cambiare allenatore’ e ricominciare poi tutto il circolo vizioso giudicante.

Jannik Sinner e Simone Vagnozzi - Foto Ray Giubilo
Jannik Sinner e Simone Vagnozzi – Foto Ray Giubilo

Lorenzo Musetti ha appena vinto Amburgo (battendo Alcaraz, ricordate quello che doveva vincere tutti i tornei ai quali avrebbe partecipato?) ma ora il problema è che sul cemento ‘non sa giocare’. Come se a 20 anni, e con pochi match a questo livello sul veloce (39 in main draw ATP), fosse normale essere subito dominanti. E come se, soprattutto, gli avversari non esistessero. E non avessero gli stessi problemi, gli stessi obiettivi, spesso il medesimo talento.

Nel tennis il giudizio affrettato non può esistere. Non ha senso di esistere. Chiunque conosca la disciplina ne è consapevole. Il tennis non è dritto e rovescio. È fiducia, consapevolezza, capacità e voglia di migliorarsi, di risollevarsi; il tennis è crescita, umana ancor prima che tecnica e tattica. E tutto ciò avviene, a piccoli(ssimi) passi, ogni giorno.

Mentre qualcuno giudica dal divano, il tennista lavora. Mentre su twitter si sparano sentenza, il tennista riflette. Mentre si chiede la testa di un allenatore, il tennista si confronta con il proprio coach. E poi i risultati tornano, perché tornano sempre. Questi ragazzi hanno fame, talento, intelligenza, oltre che team di altissimo livello. E sono consapevoli di correre una maratona, un’ultra maratona da 100 km. Non i 100 metri. E alcuni di loro non sono nemmeno al chilometro 10…

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