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Ping pong, l'Apuania ancora campione d'Italia: una storia di grandi successi iniziata all'oratorio

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Questa è una storia di sport. Ma non ci sono ingaggi milionari, uomini copertina con i capelli rasati e i fisici tatuati e nemmeno tifosi che riempiono stadi e curve.

No, questa è un’altra storia. Una storia dove lo sport è quello che si comincia a fare in oratorio. Dove per sostenere la propria società si è arriva a raccogliere e vendere gli scatoloni, quelli di cartone, lasciati fuori dai negozi.

E, soprattutto, è una storia dove l’uomo simbolo (un direttore di banca in pensione che da 53 anni gravita nel mondo di racchetta e palline) preferisce definirsi “uomo collante”. «Perché io dell’Apuania tennis tavolo Carrara non ho mai voluto essere presidente. Ho preferito sempre il ruolo di tuttofare. Il mio motto è “l’uomo a servizio dello sport” quello personale “il tempo è galantuomo” ».

La chiacchierata con Claudio Volpi, 65 anni a dicembre, una laurea in scienze economiche e bancarie e 38 anni di carriera in filiali di tutta Italia, comincia da lontano. Comincia dall’Oratorio, la Casa del Fanciullo San Luigi di Carrara. Da qui comincia la scalata del ping pong apuano che, con l’ultima impresa, ha conquistato cinque scudetti.

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Claudio come e quando è cominciata la storia dell’Apuania tennis tavolo?

«Bisogna tornare indietro di 53 anni. Nel 1968 è nata l’Apuania tennis tavolo. Fra i fondatori c’era mio padre, Carlito Volpi, poi Renato Marchi, Giorgio Petriccioli e Maurizio Galassi. Erano quattro amici e quattro erano i tavolo di ping pong dentro all’Oratorio che a Carrara è conosciuto come quello dei Gesuiti, visto che per anni ne ebbero la gestione. Quei tavoli erano a disposizione di tutti i ragazzi, dalle 17 alle 19 venivano riservati all’Apuania. Tutto è cominciato così: la sede legale della nostra società, a distanza di tanti anni, resta sempre quella dove abbiamo fatto i primi scambi, quella dell’Oratorio».

Lei quando ha cominciato a giocare a tennis tavolo?

«Ho preso in mano la prima racchetta a 12 anni. Nel 1970 ho conquistato la prima medaglia ai Campionati italiani giovanili. L’anno dopo sono stato convocato in Nazionale. Piano piano, intanto, la società cresceva e io ricevevo le offerte da parte di altre società, più blasonate. Dico la verità, non le ho mai prese neppure in considerazione: io ho scelto di rimanere dove tutto è cominciato. Ho scelto con il cuore perché lo sport per me passa prima di tutto da lì, dai sentimenti».

«Nei primi miei anni da atleta, dal 1969 al 1973 andavo a raccogliere il cartone, gli scatoloni che i negozi lasciavano fuori dalle porte, per finanziare la nostra società. Io e altri ragazzi di allora lo abbiamo fatto a lungo, con tutto l’entusiasmo della gioventù e la passione di chi crede nello sport, nel gruppo e nei valori semplici. Il mio motto personale è “Il tempo è galantuomo”: i cinque scudetti sono la prova che ci ho visto giusto. L’Apuania è una società che, passo dopo passo, ha conquistato risultati importantissimi. E ha mantenuto i valori con cui è nata e cresciuta«.

Come è cresciuta la società? Cosa è rimasto dei tempi dell’Oratorio?

«L’Apuania si è sempre più strutturata. Si sono succeduti i presidenti: mio padre, Carlito Volpi, poi Ulisse Lavaggi, Alessandro Bernardi, Alessandro Merciadri fino ad arrivare a quello di adesso, Guglielmo Bellotti.

Io sono stato direttore sportivo: la carica di presidente non mi è mai interessata. Amo definirmi un uomo a tutto campo, dalla segretaria alle questioni amministrative e tecniche. Io sono disponibile per ogni cosa. Anche a guidare il pulmino che porta i nostri atleti in trasferta, lo abbiamo fatto parecchie volte».

Quando sono arrivate le prime affermazioni nazionali e internazionali?

«Nel 1982 abbiamo conquistato la A2 e l’anno successivo c’è stata al palazzetto dello sport di Avenza la prima manifestazione internazionale. Da allora abbiamo avviato i rapporti con la Cina. L’allenatore della Nazionale italiana era di origini cinesi. Siamo diventati amici, veniva da noi, in palestra a vedere i ragazzi e la sera poi a cena a casa mia.

È nato un bellissimo rapporto: allora quando venivano sette, otto atleti cinesi a fare degli stage in Italia c’era una tappa fissa, una settimana di vacanza a Carrara: “a casa di Cla”, lo sapevano tutti, per chi veniva nel nostro Paese era diventato un appuntamento irrinunciabile. A me faceva davvero tanto piacere. Io tanti di questi ragazzi cinesi li ho ospitati e trattati come figli. All’inizio, lo ammetto, è stato difficile, per la lingua, per i gusti ad esempio in fatto di cibo. Ma la stima, la voglia di stare insieme, uniti dalla passione per lo stesso sport, ci ha aiutato a superare tutto. È stato uno scambio di culture, è stato l’esempio, semplice, del grande valore dello sport».

E anche i ragazzi della Apuania, insieme a lei, sono sbarcati in Cina.

«Nel 2015 abbiamo fatto un’esperienza bellissima. Una di quelle che ti restano nel cuore. Ho portato i ragazzi in Cina, si sono allenati insieme ai loro coetanei, nelle loro palestre e hanno confrontato i modi di giocare e di vivere questo bellissimo sport. Io ne ho approfittato per scoprire tanti luoghi della Cina, posti lontani dai circuiti turistici. Ricordo ancora con grande emozione i voli interni e le bellezze che ho avuto modo di ammirare. È stata una trasferta davvero ricca di emozioni, per i ragazzi e per me».

Quella dell’Apuania è una storia costellata da cinque scudetti. L’ultimo conquistato solo pochi giorni fa.

«Sono stati anni importanti e pieni di soddisfazioni. La società è cresciuta, sono cresciuti i ragazzi. Questo quinto scudetto è un vero e proprio record che in Italia detengono solo altre due società, una di Castel Goffredo e un’altra di Nocera. Non c’è società di tennis tavolo che sia stata per più di cinque volte campione d’Italia. E, questo quinto scudetto lo dedico a mio padre Carlito e a Ulisse Lavaggi. Non ci sono più, purtroppo, ma per un lungo periodo hanno retto le sorti pionieristiche della società. Una società che ha sul petto la stella d’oro al merito sportivo del Coni (sono solo quattro nella provincia di massa Carrara hanno tale riconoscimento). La stessa stella di cui anch’io sono stato insignito e che per me rappresenta un grande onore».

Il tennis tavolo in passato spesso è stato snobbato. Voi, zitti zitti, avete portato a Carrara cinque scudetti.

«Chi fa uno sport come questo, come il tennis tavolo, sa che non sceglie una strada facile, quella della grande notorietà, del denaro facile.

Basti pensare che noi il primo sponsor, come Apuania, lo abbiamo trovato solo negli anni Ottanta. Chi sceglie questo sport, le racchette piccole anziché le grandi e i tavoli, come quelli dell’Oratorio, invece dei campi in terra rossa, sa che dovrà affrontare tanti sacrifici. Ma quello che ci sostiene, come società, è la voglia di fare bene, andare avanti e trasmettere l’amore per questo sport ai giovani. Abbiamo fatto tante iniziative: prima che scoppiasse la pandemia abbiamo aperto la palestra in cui ci alleniamo (a Marina di Carrara, nel polo scolastico del liceo Montessori)a sette ragazzi affetti da gravi disabilità. Hanno giocato insieme a noi, ai nostri atleti. Ed è stata una esperienza davvero importante, non solo per loro».

Lei, Claudio Volpi, gioca ancora?

«Dico la verità il lavoro, sono andato in pensione da poco, mi ha portato in giro per tutta Italia. Trovare il tempo da dedicare al tennis tavolo è stato praticamente impossibile. Io la racchetta in mano l’ho ripresa da poco, in palestra a Marina di Carrara. L’ho fatto per insegnare ai bambini: loro sono il futuro. Sono i valori, quelli che abbiamo visto crescere all’Oratorio 53 anni fa. A loro insegno iIl rispetto dell’avversario, l’accettazione della sconfitta, l’ aiuto nei confronti nei meno fortunati sono questi i valori che ci appartengono. I nostri veri scudetti». —

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