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ESCLUSIVA – Fraccapani: “Catania esperienza bellissima ma con un rospo dentro. Massimino e Sibilia unici. Domenica mi andrebbe bene un pareggio”

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Ex difensore che ha totalizzato oltre 40 presenze in casacca rossazzurra e circa 60 vestendo la maglia dell’Avellino. Piero Fraccapani ha vissuto le emozioni più intense della carriera giocando in queste due piazze. Lo abbiamo contattato telefonicamente quando si avvicina il fischio d’inizio di Avellino-Catania, in quanto doppio ex autorevole del confronto.

Piero, quanto è stato significativo per te giocare nelle due squadre?
“Inevitabilmente ho lasciato un pezzo di cuore, raccogliendo le migliori soddisfazioni professionali in queste due città. Esperienze bellissime e tifoserie entrambe calorose. Io venni a Catania nel 1974, ero reduce dalla promozione in B ottenuta proprio con l’Avellino. Onestamente dopo avere conquistato la cadetteria sul campo non sarei voluto tornare in Serie C, ma mi convinsi ad accettare la proposta quando Massimino mi disse che avrebbero allestito una squadra competitiva per il salto di categoria. Fu la scelta giusta. Su 11 giocatori, 7 erano nuovi. Vincemmo subito il campionato e devo dire che è stata una bella avventura, anche perchè a quei tempi solo la prima classificata saliva in B e non c’erano i Play Off. Vincere in C era molto più difficile di adesso”. 

Quali ricordi conservi della promozione ottenuta con il Catania dalla C alla B?
“Ricordo che giocammo l’ultima partita a Torre del Greco contro la Turris e sancì la promozione. Il Bari militava in quel campionato. Partimmo con Rambone in panchina, poi gli subentrò Rubino e fece esprimere i giocatori in maniera eccezionale. Avevamo determinazione, concentrazione e voglia di arrivare. In questo fummo superiori al Bari. D’altronde senza fame e cattiveria agonistica, se non hai uno spogliatoio unito, armonia, spirito collaborativo e rispetto dei compagni puoi essere forte qualitativamente ma non vinci nulla. Un discorso sempre attuale. E’ lo spogliatoio che gestisce la situazione, insieme all’allenatore”.

L’epilogo della tua esperienza catanese, invece, fu tutt’altro che positivo.
“Purtroppo conclusi la mia avventura al Catania con una retrocessione amara. Non posso fare nomi ma 3-4 personaggi si resero gravemente protagonisti in negativo. Ci rimasi molto male e seppi che alcuni di loro furono riconfermati la stagione successiva. Quell’anno cominciai da titolare, a Natale eravamo settimi/ottavi in classifica. Riportai un piccolo stiramento alla gamba riprendendomi nel giro di 25 giorni, poi però qualcuno pretese che io non fossi più convocato. Ad un certo punto ero un turista pagato dal Catania e vidi con grande scoramento il verificarsi di tutta una serie di cose che non hanno motivo d’esistere. Ricordo un Catania-Ternana alla penultima giornata, ci bastava il pareggio per essere matematicamente salvi. Perdemmo 0-1 con gol di Mendoza, successivamente arrivò anche la sconfitta a Brescia. E’ un rospo che mi è rimasto dentro e ancora oggi fatico a digerire”.

Quinto campionato di fila in Lega Pro per il Catania. Sarà ancora più complicato vista la concorrenza?
“Direi proprio di sì. Quest’anno sono state promosse in C delle squadre molto valide. Di conseguenza sarà davvero difficile vincere il campionato. Magari però, essendo un torneo particolarmente duro, aumentano la soglia d’attenzione e la determinazione. Questo può spingerti ad andare oltre. Io ricordo ancora quando, due anni fa, il Catania fu eliminato dalla Robur Siena ai Play Off. Rimasi incredulo perchè vidi giocare i bianconeri a Monza e non mi parsero granchè. Quando lessi che il Siena eliminò il Catania, contattai il mio amico Nino Cantone meravigliandomene. In tutta sincerità quel Siena non poteva essere una squadra da finale. Poi va detto che ci fu tanta sfortuna per il Catania, ma i valori tecnici devono sempre emergere. Quando non emergono, vuol dire che ci sono dei problemi che risiedono nella gestione dei calciatori. Se si verificano invidie, gelosie, non c’è niente da fare. Poi c’è chi cerca alibi, ma la verità è che quando ti pagano devi sopportare la pressione del pubblico e le critiche dei giornalisti perchè mica giochi gratis”.

Parlami di Avellino, invece…
“Avellino è stata la mia rinascita dopo un anno trascorso a Salerno. Il club irpino mi prese dal Milan e vincemmo il campionato partendo in sordina. Il Lecce era uno squadrone ma riuscimmo a spuntarla noi. Nessuno a quei tempi sapeva persino dove si trovasse Avellino. Stabilimmo il record di 62 punti in un torneo in cui la vittoria valeva due punti. La città era interamente colorata per la prima storica promozione in Serie B. Il Presidente Antonio Sibilia era burbero ma di una gentilezza e passione fuori dal comune. E poi avevamo in panchina Tony Giammarinaro, migliore allenatore della mia carriera e persona squisita, mai sopra le righe, simpatico, ti metteva a tuo agio e sapeva parecchio di calcio”.

Sibilia era in qualche modo simile a Massimino?
“Si assomigliavano parecchio perchè erano due focosi, passionali. Personaggi unici che vivevano il calcio diversamente ma in maniera comunque molto intensa. Oggi non esistono Presidenti così. Adesso sono tutti imprenditori ma in realtà col calcio guadagnano pochissimo o niente, è difficile che mettano soldi di tasca propria. E’ andata a perdersi anche quella vena romantica essenziale nel calcio”.

Nel tuo passato c’è anche il Milan. Ti aspettavi una carriera diversa?
“Io sono cresciuto nelle giovanili rossonere ma non ho giocato neanche un minuto in Serie A perchè davanti avevo uno stopper fortissimo a livello mondiale come Roberto Rosato. Ho fatto la riserva sua per un anno, poi andai in B a Padova. La rottura del retto femorale mi costrinse ad un anno di stop. Ricominciai da Salerno. Sapevo di potere andare in prestito alla Lazio ma poi il lungo periodo d’inattività fece saltare il trasferimento purtroppo. Però nel mio piccolo sono riuscito a rientrare nel mondo del calcio facendo la mia carriera. Non come pensavo e speravo all’età di 20 anni, ma posso ritenermi soddisfatto di quanto seminato”.

Quando smettesti di giocare a calcio, di cosa ti sei occupato?
“Tornai a Milano, inserendomi nel mondo della pubblicità che allora era in grossa espansione. Cominciai come agente nei primi due anni in società piccole, poi passai in Mondadori e Repubblica Gruppo Espresso praticamente per una vita, chiudendo come Direttore vendite in Lombardia. Io decisi di appendere le scarpe al chiodo perchè, quella famosa gamba di cui ho parlato poc’anzi, a 30 anni mi diede nuovi fastidi. Ma contribuì fortemente all’addio al calcio giocato l’anno della retrocessione in B del Catania per le modalità che lo caratterizzarono. Ancora oggi se ci penso mi viene la pelle d’oca”.

Il calcio, però, è tornato ad essere il tuo mondo oggi…
“A 66 anni sono rientrato nel calcio intraprendendo a Como il percorso di osservatore per il settore giovanile. Conobbi persone eccezionali, poi purtroppo il Como fallì. Adesso scatta per me il terzo anno consecutivo da osservatore dei Giovanissimi ed Esordienti per il Monza. Vado in giro per Milano e dintorni seguendo un casino di partite, seleziono i giocatori che mi piacciono, parlo coi dirigenti ed i responsabili poi tra febbraio ed aprile confermo la mia selezione oppure aspetto che il ragazzo maturi ancora, gli facciamo sostenere i provini e si decide se inserirlo nelle formazioni giovanili del Monza. Adesso da vecchietto faccio questo perchè il calcio non è una semplice passione per me, bensì una droga (ride, ndr). E’ come fumare, bere, anzi molto peggio. Ti entra dentro, nel corpo, nelle vene e non ti molla più. Io ne sono l’esempio pratico”.

Torniamo ad Avellino e Catania, te la senti di fare un pronostico per domenica?
“Io sono amico di Totò Di Somma, è una persona di fiducia che mastica calcio. Sta costruendo la rosa, conosce tutti, ha preso diversi giovani che io non conosco. Bisogna vedere se riesce a concentrare il tutto in una squadra ed a renderla efficace in campo. Una volta fatto questo, Avellino ha tutte le carte in regola per aspirare alla B, se non da subito nei prossimi anni. Mi auguro di rivedere presto in cadetteria sia il Catania che l’Avellino. Vorrei che domenica vincessero entrambe ma non è possibile. Mi accontento di un pareggio. Tutti vogliono fare bottino pieno perchè vincere è bello, però un punto a testa può essere utile. In questo momento il Catania, comunque, ha qualcosa di più a livello di rosa e altro”.

Chiudiamo con il Monza, essendo operativo per la società brianzola. Vincerà il campionato a mani basse? 
“Quest’anno il Monza nel girone A vincerà con 10 punti di scarto sulla seconda perchè ha allestito una squadra che in B arriverebbe certamente nei primi dieci posti. Inoltre loro vogliono sviluppare il settore giovanile in maniera pazzesca, valorizzando al meglio i giovani. Questo è quello che dovrebbe fare qualsiasi squadra di provincia. Un pò come dimostra l’Empoli in questi anni. Pochissime realtà viaggiano verso tale direzione perchè tutti vogliono vincere subito, ma non è la strada giusta. Tu in C ti ritrovi con costi di notevole entità per giocatori Over 30 che chiedono contratti pluriennali a cifre importanti, quando puoi investire su giovani che gravano molto meno sulle casse societarie. Non stupiamoci, poi, se troviamo un numero sempre maggiore di club in deficit”.

Si ringrazia Piero Fraccapani per la gentile concessione dell’intervista.

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