Sinner contro Alcaraz vs Sinner contro il resto del mondo
(a cura di Federica Migliorati)
C’è un Jannik Sinner che oggi domina il circuito, e poi ce n’è un altro che, quando dall’altra parte della rete compare Carlos Alcaraz, entra in una dimensione diversa. Non peggiore, non meno competitiva, ma più complessa, più fragile, più vera. È questa differenza sottile, quasi impercettibile, che rende la rivalità tra i due il fulcro narrativo del tennis contemporaneo.
La luce
Contro il resto del mondo, Sinner sembra aver già risolto l’equazione. Tecnicamente è più solido, più continuo, più pulito. Mentalmente è più stabile, più sicuro, più impermeabile alla pressione. Il suo tennis non concede appigli: non ha picchi emotivi, non si frantuma nei momenti delicati, non arretra quando l’intensità sale. Ma soprattutto, Sinner oggi domina psicologicamente la maggior parte degli avversari. Non perché li intimorisca con l’esuberanza, bensì con la calma; con la sensazione, sempre più diffusa, che per batterlo serva qualcosa di straordinario, quasi di irreale.
È un dominio silenzioso, costruito sulla sicurezza di sé. Sinner entra in campo sapendo di essere il punto di riferimento, e questo cambia radicalmente il modo in cui lo affrontano gli altri. Gli scambi si allungano, il punteggio si stringe, e mentre chi gli sta di fronte comincia a dubitare, lui resta fermo nella sua traiettoria e vince.
Le tenebre
Con Alcaraz, però, questa dinamica si spezza.
Non perché Sinner diventi improvvisamente inferiore, ma perché Carlos è l’unico che ha dimostrato, più volte, di poterne reggere l’urto e ribaltarlo. L’unico che lo ha battuto abbastanza da entrare nella sua testa. L’unico che trasforma una partita di tennis in un confronto identitario.
Tecnicamente i due si equivalgono, anche se in modo diverso: Sinner è geometria, precisione, pulizia assoluta; Alcaraz è esplosione, variazione, improvvisazione. Ma è sul piano psicologico che il match cambia volto.
Contro Alcaraz, Sinner non domina più: si misura.
E in questa misura si insinua il dubbio, non come debolezza ma come consapevolezza del valore dell’altro. Qui emerge quello che forse è l’unico vero punto vulnerabile di Sinner. Non un limite tecnico, non una carenza atletica, ma una fragilità emotiva che nasce dal riconoscere Alcaraz come pari. Come qualcuno che lo ha già battuto, che sa come farlo, che non teme il confronto. È una fragilità che non va demonizzata, perché è il segno più chiaro della sua umanità.
Forse nella rivalità tra questi due campioni può venire alla mente un’altra competizione: di molti anni fa, tra due artisti eccezionali.
Il duello
Quando Sinner e Alcaraz si affrontano, la sensazione è quella di assistere a un duello rinascimentale, come quello tra Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti. Due geni chiamati a confrontarsi non per distruggersi, ma per affermare la propria visione del mondo. Leonardo con il suo sfumato, la sua ricerca dell’armonia, della profondità, dell’equilibrio. Michelangelo con la potenza della forma, la tensione muscolare, la forza espressiva che rompe gli schemi. Così sono Sinner e Alcaraz. Uno costruisce, l’altro scolpisce. Uno controlla, l’altro incendia.
E come accadde nella Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio a Firenze, dove i due maestri furono chiamati a dipingere l’uno di fronte all’altro – la Battaglia di Anghiari contro la Battaglia di Cascina – non c’era un vero vincitore, ma una competizione che elevava entrambi.
Anche allora, nonostante le discussioni pubbliche, le rivalità e le tensioni, Leonardo e Michelangelo riconobbero la grandezza reciproca. Lo stesso avviene oggi tra Sinner e Alcaraz: dietro la tensione agonistica, c’è rispetto; dietro la pressione, c’è consapevolezza; dietro l’insicurezza, c’è crescita.
Sinner contro il mondo è dominio. Sinner contro Alcaraz è sfida, rischio, evoluzione.
Ed è forse questo che ci affascina di più: vedere un campione che vince quasi sempre, ma che davanti al suo unico vero rivale è costretto a fare i conti non solo con il tennis, ma con sé stesso. In quell’istante, Sinner smette di essere una macchina perfetta e torna a essere ciò che è sempre stato: un grande giocatore, profondamente umano. E proprio per questo, destinato a entrare nella storia.

