Rassegna stampa – Musetti: “Mi amano perché gioco fuori dal coro”
Musetti: “Mi amano perché gioco fuori dal coro” (Emanuela Audisio, La Repubblica)
È il nuovo Zorro della racchetta. Lo vogliono così: vendicatore elegante. Il ragazzo vintage, venuto dal passato (e c`è chi dice che non lo ha mai lasciato) a punire chi sfregia e bombarda il tennis con colpi supersonici. Lorenzo Musetti, 23 anni, da Carrara, per molti è un pezzo d`arte uscito dalle cave. Rovescio a una mano, dritti rinascimentali (così scrivono). Gesti da preservare, sbracciate in guanti bianchi. […] Amato, criticato, discusso, richiesto, contrapposto, osannato. Musetti delle meraviglie. Un dandy che ti sfinisce con le sue fantasie. A volte molto sofferte. Un tatuaggio sul braccio sinistro: il suo elettrocardiogramma unito a una racchetta. Segno che il suo cuore batte per il tennis. È il padre più giovane tra i colleghi.
Qualcuno di loro è curioso?
Non mi fanno molte domande, tranne Alexander Bublik che ha 28 anni e un bimbo di 3. Lui è sempre affettuoso, spesso ci confrontiamo tra papà. Il primo figlio è stato un terremoto e una bella sorpresa. Non era cercato, abbiamo deciso di tenerlo, ho dovuto ripensare la mia vita. Avevo paura di non essere pronto alle novità. C`era da costruire una famiglia, cambiare casa, allargarsi, accettare le responsabilità. Non è stato semplice, mi ha creato dubbi e problematiche, ho vissuto la gravidanza di Veronica con molto travaglio. Di testa e risultati.
Cosa le ha fatto male?
Essere giudicato in maniera negativa dai tifosi, come se diventare padre significasse voltare le spalle allo sport, darsi altre priorità, sentirsi già appagati. Per me la famiglia è importante, ma anche il tennis. Diventare genitore mi ha dato una spinta in più, ciò che ho vissuto fuori mi ha fatto maturare dentro il campo. C`è un mio percorso umano che è cresciuto con quello professionale, non vedo i figli come un ostacolo. Prova ne è che Ludovico a marzo farà due anni e per me questa è stata la migliore stagione. Lunga, faticosa, ma piena di soddisfazioni. Non ci sono solo i trofei a dare felicità, anche se è chiaro che da sportivo devi organizzarti, per fortuna posso contare sui nonni. […]
Cosa le piace del tennis?
Mi piace il rumore della palla. Che poi è un suono, non una cosa che disturba. Dice, racconta, ricorda. È una questione di ritmo, di orecchio, è un battito. Ero piccolo, giocavo nello scantinato della nonna, ribattevo sul muro, c`era anche mio padre, è lì che quel suono ha iniziato a parlarmi.
Alla campionessa Billie Jean King piacque così tanto il rumore della palla sull`erba di Wimbledon che chiese di poter restare sempre lì.
A me manca se per un po` non lo sento, accompagna la mia vita. Per me è una melodia, sono cresciuto con la musica di mio papà Francesco, operaio alle cave di marmo, molto Battisti, Ligabue, gli U2. Le canzoni sono il sottofondo nelle pause e alla vigilia degli incontri. Non leggo libri, non seguo serie tv, non gioco alla playstation, mai avuta una. Sono proprio vintage. Dovessi dire un periodo nel quale mi sarebbe piaciuto vivere e giocare non avrei dubbi: anni 80-90. Sarei stato a mio agio.
Il suo colpo preferito?
Il passante di rovescio è il gesto tecnico che più mi piace. Quando riesce è come una liberazione, come un gol nel calcio, anzi come se segnasse la nostra nazionale.
Cosa invece non le garba del tennis?
Le tempeste emotive. L`alternarsi di gioie e dolori. Tutto cambia in fretta: dal bello passi al brutto, sei in cima, ti ritrovi sul fondo. Dal paradiso all`inferno. Tutto intenso, forte, feroce nello stesso modo. Cadi a un passo dall`orizzonte, basta un 15, e quello che stavi per afferrare non c`è più. Ti chiedi: perché tutto questo male? Non lo reggo, non ce la faccio, le emozioni mi scassano, entro in una spirale negativa, mi flagello, mi faccio prigioniero da solo, parlo ad alta voce, mi escono dalla bocca commenti inappropriati. Ho una sensibilità esasperata che magari viene vissuta con fastidio.
Ecco, appunto, non nominare il nome di Dio invano. Bip.
Ma io sono toscano, da noi si urla, si alza la voce, così per abitudine. Io con un certo tipo di linguaggio non voglio offendere e non vado fiero delle mie derive. Mia nonna diceva: “Chi di vizi vuol guarire preghi Dio di non averli”. Ci ho lavorato sopra, per un po` mi sono fatto aiutare da uno psicoterapeuta, poi ho interrotto la collaborazione. Non inseguo la perfezione, non sono politicamente corretto, il mio carattere è questo. Ma non sono nemmeno uno che cerca il conflitto.
La situazione più imbarazzante?
Me stesso. Rivedermi. Quando mi lascio andare a comportamenti che non mi appartengono. Ho emozioni, masochismi, complessità. Cosa devo dirvi? Capitemi, sto facendo sforzi, e grazie se vi ritrovate in me, nei miei alti e bassi. Invidio la continuità che hanno altri, lavoro per averla, sono migliorato, ma non sono un pezzo che esce dalla catena di montaggio. Rivendico la mia diversità, credo di piacere perché sono fuori dal coro.
Ha Sinner davanti. L`Italia estremizza le rivalità.
“Per fortuna” che ho Sinner, non dirò mai “purtroppo”. Non esiste una rivalità di quel genere, esasperare le tensioni nello sport, che ne ha tante, non serve. E poi Jannik ce l`ho a fianco. Non è un nemico che mi toglie l`aria, è un campione che indica la via. Un punto di riferimento. Diverso da me? Sicuro. Più potente, solido, costante. Ma non giudico uno svantaggio essere capitato nel suo stesso periodo. Vorrei avere un po` delle sue qualità? Sì, nel massimo rispetto delle nostre diversità. Camminiamo su binari differenti, ma paralleli, ognuno matura con i suoi tempi, entrambi abbiamo dovuto sopportare pressioni, su di noi ci sono sempre state grandi aspettative. […]
Lodano le sue pennellate di rovescio, non ha mai l`impressione di essere prigioniero della voglia di bello?
Piaccio ai campioni del passato, forse si rivedono in me. Ma preferisco vivere nel presente, non in una bolla nostalgica. Sono un`altra versione del tennis che vuole esistere anche senza sparare cannonate.

