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Alexandrova, la discrezione del talento in un mondo che fa rumore

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In un mondo sportivo sempre più vetrinizzato, dove l’immagine corre spesso più veloce del risultato, e dove anche un allenamento diventa contenuto da condividere, c’è ancora chi sceglie di parlare solo con la racchetta. Non per posa, non per snobismo, ma per convinzione profonda. Ekaterina Alexandrova appartiene a quella piccola e resistente categoria di atlete che lasciano spazio solo allo sport, senza cercare riflettori fuori dal campo. Non vuole essere un giudizio morale — non c’è nulla di male nel mostrarsi — ma semplicemente la constatazione che un altro modo di vivere lo sport esiste, e lei ne è una delle interpreti più coerenti.
La russa di Celjabinsk, classe 1994, non sorride spesso e non cerca complicità con la telecamera, ma quando colpisce la palla, tutto diventa chiaro: diritto piatto, rovescio anticipato, servizio che punge. Un tennis diretto, senza fronzoli, fatto di precisione e potenza. Nel 2025, Alexandrova ha ritrovato la miglior versione di sé, costruendo una stagione di continuità e maturità, con risultati che le hanno concesso pienamente il suo posto nel gruppo d’élite.
La vittoria nel torneo di Upper Austria Ladies Linz (WTA 500) ha segnato il punto più alto: 6-2, 3-6, 7-5 contro Dayana Yastremska ha suggellato il suo quinto successo WTA e, soprattutto, il superamento della maledizione di Linz dove aveva perso due precedenti finali.
In aggiunta, nel corso del 2025 Alexandrova mette a referto anche tre sconfitte: la finale ad Monterrey Open persa con Diana Shnaider per 6-3, 4-6, 6-4,  la finale a Seul con Iga Swiatek 1-6 7-6(3) 7-5 e domenica la finale al Ningbo Open con Elena Rybakina: 3-6, 6-0, 6-2. 

Il linguaggio della potenza

Alexandrova ha un tennis aggressivo, non costruisce: colpisce. Non conosce mezze misure, quasi come se fosse una dichiarazione di intenti, un manifesto di semplicità aggressiva. Non ci sono troppi passaggi intermedi: palla corta, apertura breve, e via con la spinta. Quando entra in campo la versione migliore di Ekaterina, la velocità di palla impressiona anche le avversarie abituate a ritmi sostenuti, e non è un caso che spesso sia paragonata a Petra Kvitova, con la quale condivide non solo la verticalità del gioco ma anche quella tendenza a vivere di “zone”, di momenti in cui tutto funziona e l’avversaria diventa spettatrice.
Rispetto a Kvitova dei tempi migliori, Alexandrova ha un’attitudine più fredda, quasi chirurgica, ma non avrà ma la classe della ceca, vincitrice di Wimbledon. Il suo modo di stare in campo non è esplosivo ma controllato, quasi calcolato: poche parole, pochi gesti, una tensione interiore che resta trattenuta ma percepibile.
Allora cose le manca? Il punto debole, storicamente, però è sempre stato mentale: la gestione della pressione, dei punteggi che contano, delle aspettative. Anche nel 2025 qualche crepa è riemersa ad esempio nelle finali perse ma la costanza, la presenza nelle fasi decisive, dicono di un’evoluzione in atto. Anche nella sconfitta a Ningbo contro Rybakina ha mostrato che la soglia di eccellenza non è ancora stabilmente attraversata.
Quel che cambia è l’atteggiamento: non più “ce la posso fare” in sporadici momenti, ma “sono sempre lì”. E questo nel tennis moderno fa la differenza.

L’identità ritrovata

In un logico di punti nel circuito che premia spesso la costanza, Alexandrova ha finalmente trovato una sua dimensione. Non sarà la più mediatica, non sarà la più social o la più amata dalle telecamere, ma la sua presenza è diventata garanzia di livello. Nel 2025, le sue quattro finali raccontano più di tante parole: parlano di una tennista che ha deciso di essere protagonista.
Lei preferisce che a parlare sia solo ciò che si fa sul campo: la racchetta, la palla, il risultato. E ce lo ha ricordato con il suo gioco pulito, spesso implacabile. Forse non conquisterà mai uno Slam, ma ha conquistato qualcosa di altrettanto prezioso: il rispetto di chi riconosce nel suo tennis una forma di verità sportiva.
Ekaterina Alexandrova è un po’ come l’arte minimalista che si scopre potente proprio per sottrazione: pochi suoni, pochi tratti, ma perfetti. In un mondo che chiede di apparire, lei continua solo a colpire bene. Ed è forse questa la sua forma più pura di eleganza.

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