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Coppa Davis, ancora il solito Rune: spreca un match point, litiga con il pubblico e non stringe la mano all’arbitro

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Carlos e Jannik giocano a un livello incredibile ma io so che posso batterli

La sensazione è che, ogni volta, Holger Rune debba giocare troppe partite in una: contro i suoi nervi, contro il pubblico, contro sé stesso, e alla fine, ma solamente alla fine, contro l’avversario. E così diventa complicato: perchè sicuramente l’agonismo rappresenta la benzina di Holger ma, allo stesso tempo, il confine tra la “mina vagante” e la “promessa mancata” è un confine che non viene scandito da noi che guardiamo, o dai risultati, e nemmeno dai colpi. Ma viene scandito dal tempo, e quello non scherza.

Holger Rune è ancora il numero 11 del mondo ma nel suo caso, non si sa bene il motivo, viene spontaneo definirlo per quello che è stato, e per quello che avrebbe potuto essere. Il numero 4 del ranking ATP, il terzo nome della nuova epoca. Jannik e Carlos, Carlos e Jannik, e poi, teoricamente, doveva arrivare lui. Rune è ancora giovanissimo (22 anni compiuti a fine aprile) ma sta diventando un mistero. Non si capisce dove abbia deciso di andare, non si capisce quale sia il suo piano partita, non si capisce – con precisione – quale sia realmente il suo stile di gioco. Ha un ottimo servizio, un fisico potenzialmente eccezionale. Sì, e poi?

E poi arrivano i nervi. Rune ha il bisogno naturale di giocare tutte quelle partite in una, Rune ha bisogno della sfida, della polemica e della bagarre. Ma questo pacchetto, torneo dopo torneo, stagione dopo stagione, match dopo match, rischia di diventare troppo faticoso. Holger spreca decisamente troppe energie: “Carlos e Jannik giocano a un livello incredibile ma io so che posso batterli”, e non ce la sentiamo di escluderlo. Il discorso è che dopo la dignitosa (e prevedibile) sconfitta con Musetti negli ottavi di finale del Roland Garros, beh, Rune ha perso ancora, ma stavolta con gli avversari sbagliati. Bautista (numero 51), Jarry (143), Popyrin (26), Atmane (136), Struff (144) e infine, arrivando alla Coppa Davis, Martinez (67).

Anche noi – sbagliando – ci siamo concentrati sul match point sprecato nel terzo e decisivo set, sull’incredibile sconfitta della Danimarca in Spagna, sulle polemiche arbitrali, sui crampi, sulla solita storia e sulla mancata stretta di mano con il giudice di sedia (“L’arbitro ha commesso troppi errori, non ha fatto un grande lavoro, quindi non credo la meritasse”). Ma Rune, nei primi minuti di gioco, era stato dominato da un Martinez come l’altro (ottimo giocatore, ma ci siamo capiti), andando in svantaggio per 6-1 4-2 in una giornata teoricamente tranquilla.

Rune, infatti, era nettamente il tennista più forte dello spareggio, la sua nazionale era in vantaggio per 2 a 1 e, sinceramente, il tifo spagnolo era sotto controllo. Ecco, forse, in fondo, è tutto qui. Rune non riesce a digerire le giornate tranquille. Ma la quotidianità di un tennista di vertice è caratterizzata dalle giornate tranquille, dal peso del pronostico e dall’avversario che cerca, con qualsiasi mezzo, la gloria del colpaccio.

La sensazione è che Rune non si fidi del suo tennis. Un gioco appariscente, a tratti esplosivo, a tratti verticale e spettacolare ma che, in fondo, non gli regala grandi certezze. Se il servizio non funziona, il danese va in confusione, e si caccia nei guai, condannando sè stesso alle scelte più avventate, alle zone del campo più scomode e alla volata del punteggio. Non è una questione di talento, è una questione di scelte e di margine. Rune ha un servizio eccezionale, un fisico clamoroso, la faccia giusta dell’agonista e le gambe fresche di un 22enne.

Teoricamente non gli serve nient’altro, in pratica, invece, quando guardi un suo match, la teoria diventa paradosso, e sembra che gli manchi tutto. La scaletta è quella, ripetitiva, del repertorio, anche per quanto riguarda la scelta del nuovo allenatore, come se davvero avesse una qualche rilevanza. Igni tanto torna Mouratoglou, poi spunta il nome di un ex campione famoso, poi ancora Mouratoglou, poi no, arriva il turno del coach storico, “quello che lo conosce fin da quando era un bambino”, ancora un pizzico di Mouratoglou, e si ricomincia.

La classifica rimane una classifica di tutto rispetto. Ma Rune due anni fa era al quarto posto, mentre adesso è retrocesso all’undicesimo, staccato non solamente da Alcaraz e da Sinner, ma anche da tutti gli altri. Holger prova a capire, finge di farsene una ragione (“Ringrazio l’accoglienza spagnola”, ha scritto su X, ma ieri aveva insultato tutti) e poi ricasca negli stessi errori. Non stiamo scrivendo una predica, anche perché le polemiche della Coppa Davis (o di quel che ne rimane) rappresentano il sale del nostro sport. Ma il confine tra la “mina vagante” e la “promessa mancata” è un confine che non viene scandito da noi che guardiamo, o dai risultati, e nemmeno dai colpi. Viene scandito dal tempo, e quello non scherza. È un attimo.

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