Sono andato a vedere il tennis in America, e mi sono ritrovato in una telenovela italiana
Questo articolo, scritto dall’inviato Alon Idan, è uscito prima del weekend delle finali dello US Open sul principale quotidiano israeliano Haaretz Daily.
Giovanni Bartocci stavolta indossa una camicia azzurra abbottonata, bretelle nere sottili che sorreggono un paio di jeans classici, la chioma raccolta come sempre in uno chignon alto. Porta occhiali eleganti con montatura nera, un orologio di lusso al polso sinistro, una catena pesante al destro, anelli sulle dita e una spilla da balia lunga accanto alla tasca. Rispetto agli anni passati, il suo look è quasi sobrio, ma le urla indirizzate a “Muso” – Lorenzo Musetti – tradiscono che quell’apparente sobrietà non corrisponde affatto alla tempesta che lo agita dentro. Se voleva mascherarla, non ci riesce.
Bartocci è uno chef italiano abbastanza noto a New York. Ha un ristorante – Via della Pace, nell’East Village – che durante lo US Open diventa tappa fissa dei tennisti italiani. Io me lo ricordo ai tempi in cui incitava Matteo Berrettini, gridando dagli spalti bassi dello stadio principale, proprio sotto la tribuna dei giornalisti. Da lì tuonava frasi di incoraggiamento al gigante romano che, dal 2019 in poi, ha visto però calare le sue fortune.
Con il declino di Berrettini, Bartocci ha cambiato “protetto”. L’anno scorso urlava per Jannik Sinner. Per questo mi ha sorpreso che nel derby italiano di quest’anno, il cuor di tifoso fosse passato senza esitazioni a Musetti, con un “Forza Muso!” continuo che faceva sembrare Sinner quasi un nemico personale. Un mistero.
La risposta l’ho trovata qualche sedia più in là: lì era seduto Ubaldo Scanagatta. “Ubi”, come lo chiamano tutti, è un decano del giornalismo tennistico italiano. Ha 76 anni (“Quando me lo chiedono dico che ho vinto un tie-break”), è stato anche giocatore (302 ATP al suo best ranking), ha diretto il torneo di Firenze, scritto per La Nazione e fondato nel 2008 il sito Ubitennis, oggi molto seguito.
Con lui ogni conversazione si trasforma in una miniera di aneddoti. Racconta di Boris Becker…ebbro di festeggiamenti dopo la vittoria all’Australian Open caduto addosso a lui in aereo, risarcito con un’intervista esclusiva a Dortmund; o di John McEnroe che scarrozzò in moto per Firenze alla ricerca di gioielli per la moglie. Ma soprattutto Ubi è l’uomo delle domande più imprevedibili e sfrontate nelle conferenze stampa degli Slam: ogni volta che prende il microfono, i giocatori iniziano a irrigidirsi, pronti all’imbarazzo, alla risata o al nervosismo. Nadal, per esempio, una volta si sentì chiedere se il recente giorno di matrimonio non lo avesse distratto troppo dal tennis: il maiorchino sorrise incredulo, senza parole. “Ubi non ha Dio”, commentano i colleghi.
Lui si difende: “Non chiederò mai ‘come ti senti’ o ‘come hai vinto’. Io cerco quello che è davvero interessante. Conosco questi ragazzi da quando erano ragazzini. Federer l’ho visto vincere il torneo junior a Firenze, Nadal battere Albert Costa a Monte Carlo a 16 anni, Djokovic quando aveva 18 anni e lo allenava Riccardo Piatti… ho coperto 51 Wimbledon, 48 Roland Garros, 41 US Open e 35 Australian Open (quest’ultimo quasi consecutivi). È normale che io li conosca così bene”.
E ancora: “Con Medvedev gli dicevo: in campo sembri dar di matto, ma in conferenza sei il più divertente. Con Steffi Graf iniziavo sempre con un complimento, perché era timida. Goran Ivanisevic? Il numero uno, due e tre degli intervistati più fantastici da intervistare”.
Naturalmente capita che faccia arrabbiare. Proprio questa settimana ha chiesto a Sinner se non pensasse che fosse brutto decidere di concedere interviste “one-to-one” solo quando c’è uno sponsor a deciderlo. Il manager non era felice, Sinner ha glissato, ma Ubi insiste: “È frustrante. Io potrei essere il giornalista migliore al mondo (e non lo sono) ma invece finisce per avere più peso un influencer con sponsor. Non è giusto, ma è la realtà di oggi”.
Il giornalismo, dice, non è più quello di una volta. “Prima cenavo con i giocatori. Oggi tutto passa per gli agenti. E certe domande non te le lasciano più fare”. Nonostante questo, Ubi non ha intenzione di smettere. “Fa parte del mio carattere. Io sono così.”
E così mi spiega anche il mistero Bartocci: “Sinner non va mai a mangiare al suo ristorante, Musetti invece sì, sempre”. Semplice, logico. E infatti Musetti pubblicizza entusiasta Via della Pace come “la casa degli italiani a New York”.
Peccato che l’appoggio culinario a Musetti non sia bastato. Sinner l’ha battuto nettamente in tre set: 6-1, 6-4, 6-2. Il toscano ha mostrato colpi splendidi, un rovescio a una mano elegante, dritti e slice di gran qualità, ma Sinner è stato superiore in tutto.
Perché il punto è proprio questo: Sinner sta diventando un mostro. Viene paragonato a Djokovic per la solidità da fondo campo, ma bisogna aggiungerci l’intensità quasi disumana di Nadal. Copre il campo come un insetto gigante da cartoon, migliora continuamente i suoi punti deboli – anche le discese a rete, un tempo innaturali per lui – ora fanno parte del repertorio. È il vero piatto forte, e la sensazione è che nessuno, nemmeno l’appassionato chef Bartocci, possa fermarlo.