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L’intervento del direttore Scanagatta per la Mostra d’arte cinematografica di Venezia ricordando Serge Daney e i suoi match epici scritti dal Roland Garros

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In occasione delle Giornate degli Autori della 82ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (27 agosto-6 settembre), Cineteca Milano ha presentato  il volume “Lo spettacolo del tennis 1980-1990”, match epici raccontati dal celebre critico di cinema Serge Daney, tradotto da Silvia Pareti. Sono intervenuti, Silvia Pareti, Segretario Generale di Cineteca Milano, Giorgio Gosetti, delegato generale delle Giornate degli Autori, e Ubaldo Scanagatta in collegamento diretto dallo US Open all’indomani della conquista dei quarti di finale di Jannik Sinner e Lorenzo Musetti.

Questa che segue è la recensione scritta dal direttore (Editore Book Time in libreria da fine settembre 20,00 euro), una lettura imperdibile per tutti gli appassionati e che raccoglie gli articoli di Serge Daney, pubblicati dal quotidiano Liberation. Scanagatta parla così di Daney: “Lo avevo conosciuto al Roland Garros e frequentato insieme a Gianni Clerici che di sicuro lo stimava moltissimo. Anche perché, non meno colto, scriveva con una originalità davvero simile a quella dello Scriba“.

LA RECENSIONE di Ubaldo Scanagatta

Giorgio Gosetti, delegato generale delle Giornate degli Autori e Silvia Pareti, Segretario Generale di Cineteca Milano in collegamento video con Ubaldo Scanagatta

Ho conosciuto Serge Daney. Al Roland Garros. Dove con quel suo insolito inseparabile cappellino e quel modo elegante, strano, di vestire e parlare, originale ma senza spocchia, finiva per spiccare fra tanti colleghi apparendo non meno inconfondibile di un mio adorato Maestro, Gianni Clerici, sì colui che Italo Calvino definì “uno scrittore prestato allo sport”.

Clerici era stato un ottimo tennista e fra un colpo di racchetta e uno di tastiera sull’inseparabile Olivetti 22 aveva subito rivelato uno straordinario talento di scrittore già a 20 anni, la stessa età in cui Serge Daney avrebbe cominciato – e per 30 anni, fino alla sua morte dovuta all’AIDS nel 1992 – a imporsi come il critico cinematografico e televisivo probabilmente più noto del panorama francese.

Il talento è un dono che non ha età. E che si può esprimere nei campi più disparati. Anche quelli di tennis che Daney approcciò con lo stesso trasporto, la stessa passione critica nutrita per l’amato cinema, scrivendo su Liberation con un’originalità e una freschezza che ho riscoperto solo oggi – confesso che durante gli Internazionali di Francia io leggevo l’Equipe – ne “Lo spettacolo del tennis”, il libro che raccoglie le sue cronache tennistiche, veri elzeviri mai banali scritti nel decennio 1980-1990, quando anch’io celebravo l’era della rivalità ormai sullo stendere fra il SuperBrat McEnroe l’Orso Vichingo Borg pronto alla baby pensione, ma con l’irriducibile Jimbo Connors che non voleva mollare, con Frankenstein Lendl deciso ad addentare chiunque gli si parasse davanti, con i due arrembanti rivali Boom Boom Becker l’Agnolo Biondo Stefanello Edberg, Next-Gen di allora. Subito prima, insomma, che spuntasse all’orizzonte il formidabile quartetto di emigranti made in USA, Sampras, Agassi, Courier e Chang.

Come Clerici è e resterà sempre attuale, e scommetterei che con Daney lo Scriba non può non aver vissuto corrispondenza di amorosi sensi, Serge dipinge come un artista innamorato la battaglia finale del 1980 a Wimbledon fra Borg e McEnroe come “Le Bellezze della Ragion Pura”, fustiga come il critico più implacabile fin dal titolo (“Finale tse-tse al Roland Garros”) quella del 1982 che anch’io ricordo fra le più noiose della storia, fitta di scambi interminabili con le palle che fluttuavano costantemente un metro e più sopra il net fra i due arrotini Vilas e Wilander e in mezzo ai fischi degli spettatori più reattivi in quanto meno insonnoliti sotto quel sole cocente. Daney nello scegliere i teatri e gli attori del suo personale spettacolo tennistico non si occupa solo delle prime donne, delle star, ma volutamente un giorno dedica la sua magica penna a “La Battaglia degli Sconosciuti due comprimari del più debole degli ottavi di finale del 1983, il francese Roger-Vasselin contro lo spagnolo Luna e stavolta la penna è più mite, meno sferzante, più comprensiva. Non si può essere tutti super campioni, se uomini. E Roger-Vasselin impersona, proprio come in un film, il soggetto dello sconosciuto che riesce a far emergere la star che nessuno sospettava fosse in lui finché ne esce una grande vittoria e un bel film. La penna ritorna feroce per Vilas-Higueras, due inguaribili “pallettari” che, scrive impietoso Daney:  “Hanno depresso anche il Meteo al punto che “dopo mezz’ora di partita soporifera il cielo ha sprigionato la sua prima pioggia sul torneo. L’ombra di due campioni e una caricatura del tennis”.

Un artista non può non provare ammirazione per gli altri artisti e se Daney è artista della penna, McEnroe è artista della racchetta come ce ne sono stati pochissimi – lui e Federer più di tutti? – ma anche McEnroe ha bisogno di rivali alla sua altezza per disseppellire la miglior ispirazione… così quando nella finale di Wimbledon 1983 batte l’”Imbucato Kiwi” Chris Lewis 6-2,6-2,6-2 il titolo dell’articolo di Daney è: “McEnroe ha imparato ad annoiarsi”… e prosegue con “L’americano ha dimostrato di… sapersi accontentare di qualsiasi avversario per vincere”. C’è bisogno di spiegare il concetto? Perfino il per solito irrefrenabile, esplosivo Genius SuperMac se davanti a sé non ha un vero avversario si annoia e si placa. Nessuno show. Ironia a sfare sul tennis francese che produce buoni tennisti ma senza che esista una vera scuola: “Riflettori accesi sulle nostre pantere rosa. L’ispettore Clouseau dirige le indagini… nessun scuola di tennis francese, ma i nostri eroi rinascono ogni anno.”

È un titolo del 1984. E qui un po’ di Monsieur Chauvin, dal quale per solito Daney rifugge, c’è nel nostro scrittore perché un anno prima il Roland Garros è stato vinto da Yannick Noah (ultimo campione a vincere a Parigi facendo serve&volley) e lui e gli altri mousquetaires con racchetta, Henri Riton Leconte (di cui nel 1988 descriverà il suo essere “Tennista intermittente” sotto altra frustata “Fallimento e scacco Mats” perché a batterlo in finale sarà appunto Mats… Wilander) e Guy Forget sono più diversi fra loro, come tennisti, uomini e personaggi, che di più non si può. Tutto si può dir di loro fuorché siano frutto di una stessa scuola. I loro exploit contemporanei quasi appaiono inspiegabili. Ma Daney gode ugualmente, da appassionato qual è.

Per ripercorrere un centinaio di articoli magistrali, di titoli fuor dalle righe (“Partite del giorno a fettine” mi ha ricordato il clericiano “Agenzia di Palle Roventi”, ma Lendl che perde da Wilander nel 1985 ed è “L’ipnotista intrappolato” come si fa a ignorarlo?) dovrei scrivere qui un libro. Beh, molto meglio leggere questo, ben più originale, di Serge Daney, con tanti spunti tecnici e di vera classe. Il mio lo leggerete un’altra volta, se avrete voglia e pazienza. Buona lettura. 

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