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Gipo Arbino, coach di Romano: “Filippo ha qualità, ma deve crescere. Da Sinner si può imparare l’equilibrio”

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Dopo la separazione da Lorenzo Sonego ed il ritorno nel circuito Challenger al fianco di Stefano Travaglia, è iniziata una nuova avventura per Gipo Arbino. Il torinese ha cominciato a seguire con più frequenza ed attenzione Filippo Romano, ligure classe 2005. Romano è da sempre nei radar della Federtennis grazie ad una buona carriera Junior, che lo ha visto alzare otto titoli tra singolo e doppio, ma non ha ancora trovato la quadra tra i professionisti. Da qui la collaborazione con Arbino, il quale è aiutato anche dall’ex tennista Federico Maccari. L’attuale numero 592 ATP viene da una buona settimana agli Internazionali di Tennis Città di Todi | CERgo Tennis Cup (qui il main draw e l’ordine di gioco), dove si è spinto ad un passo dai quarti di finale prima di cedere in tre set a Timofey Skatov.

Com’è nata la collaborazione con Filippo?

“Circa sei mesi fa ho iniziato a seguire questo ragazzo e credo che abbia grande potenziale, anche se si è adagiato un po’ troppo sulle vittorie giovanili e sulle situazioni ‘comode’. La FITP lo ha supportato molto, ma credo che avere un coach privato sia comunque un po’ diverso. Gli serve una situazione professionale, il padre mi ha chiesto di dargli una mano mentre stavo allevando Stefano Travaglia e Lucrezia Musetti, oltre ad essere consulente al Circolo della Stampa Sporting di Torino. A Todi è stata una buonissima settimana, credo che ogni sconfitta a questi livelli possa essere più utile di una vittoria.”.

Che giocatore ha trovato?

“Filippo ha delle caratteristiche adatte al tennis moderno. È alto 188 centimetri, serve molto bene con la prima e con la seconda, anche i colpi da fondo sono buoni. Questo mi rende davvero fiducioso per il prosieguo. Per ora sta imparando a comunicare con me. Gli ho chiesto di guardarmi tanto e di farsi guidare dall’esterno in alcuni situazioni. Si può lavorare molto in allenamento, ma è la partita che ti fa crescere. Lui era un po’ sprovveduto dal punto di vista tattico e come atteggiamento, quindi lo sto aiutando. È lui che decide che colpi giocare, ma quello che posso fare io da fuori è dargli degli stimoli che possano incoraggiarlo nei momenti più delicati”.

Filippo Romano – Foto Yuri Serafini

La settimana al Challenger 75 di Todi dà l’idea sull’attuale momento del circuito.

“Il livello del circuito Challenger adesso è altissimo. Sono convinto che oggi anche un Top 50 faticherebbe a vincere i tornei più pericolosi del circuito cadetto. Qui ci sono giocatori che investono tanto in determinate settimane e non mollano un punto. Ricordo che quando Lorenzo (Sonego, n.d.r) giocava risultava quasi una cosa straordinaria che un giocatore 200 del mondo ne battesse uno di 100 piazze più su. Oggi è un avvenimento all’ordine del giorno, e lo si vede in un torneo come Todi dove ci sono tanti giocatori giovanissimi ed al tempo stesso tanti veterani come Stefano Travaglia o Marco Cecchinato. Poi ci sono gli specialisti delle superfici, e vi assicuro che se ne trovano più in questi tornei che non nei Masters 1000”.

Con Travaglia alcuni mesi di lavoro prima della separazione. Com’è andata?

“Stefano sta dimostrando di essere ancora pienamente in pista. Nei mesi in cui abbiamo lavorato insieme, ha capito da solo che in determinate situazioni non poteva sfruttare il fisico come dieci anni fa. Si è quindi reinventato, trovando soluzioni diverse per aiutare il suo corpo, ed in questo credo di averlo aiutato molto. Le nostre strade si sono separate perché avrebbe voluto una presenza più costante da parte mia, ma in quel momento per me non era possibile. Ci siamo stretti la mano con serenità e ci siamo augurati buona fortuna”.

Fare paragoni con tennisti come Sinner sembra quasi utopico. Cosa si può imparare da lui?

“Io invece credo che si debba e si possa prendere esempio da un giocatore come Jannik. Lo osservo giocare da quando era molto piccolo ed esile, ma al di là della tecnica e della potenza si poteva notare quanto fosse un ragazzo veramente equilibrato. Sapeva già allora, così come oggi, cosa fare e quando farlo. È impossibile vederlo scegliere una soluzione illogica o tanto complessa nei momenti delicati; quelle cose le prova quando il punteggio glie lo permette. È un aspetto che dovrebbero osservare tutti i giocatori, perché lo si può apprendere”.

Con Sonego una vita di soddisfazioni e tante memorie.

“Ho moltissimi ricordi con ‘Sonny’, insieme abbiamo viaggiato tanto. Anche da ragazzo Lorenzo sapeva di avere alcuni limiti nei colpi, ma usava questo come stimolo per migliorare anche tutto il resto. Ha sempre avuto un fuoco particolare dentro di sé e non credo che sia una qualità che si possa costruire nel tempo. Ci si nasce. Ricordo nitidamente tante partite dove era magari svantaggiato e che ha invece vinto con merito, proprio per questa grinta e per la sua cultura del lavoro”.

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