Rassegna stampa – Sinner, il tennista perfetto in fuga da Alcaraz
Il tennista perfetto (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)
L’uomo Sinneriano ha completato la sua evoluzione, trasformandosi nel giocatore perfetto. È la bellezza dello sport: la continua capacità di rigenerarsi attraverso la successione di campioni formidabili. Archiviata l’epoca dei Big Three sono apparsi all’orizzonte due fenomeni come Sinner e Alcaraz capaci senz’ombra di dubbio di rinverdire i fasti della più clamorosa generazione della storia. Tuttavia il successo di Jannik a Wimbledon assume una valenza simbolica. Perché al netto del confronto trai palmarès, segna l’apoteosi di un giocatore che attraverso il lavoro, l’applicazione, la cura maniacale dei dettagli si è perfezionato. fino a liberarsi di qualsiasi punto debole e su qualunque superficie. A questo punto, analizzando tutti gli aspetti della sua personalità tennistica, l’unico limite di Sinner può essere davvero solo il cielo.
Fin da quando, a marzo 2022, Sinner ha deciso di affidarsi alla guida di Vagnozzi e poi Cahill dopo l’eccellente lavoro di Piatti, l’attenzione si è focalizzata sulla crescita di alcune piccole criticità ancora presenti. Senza tuttavia snaturare la sua qualità fondamentale. Che è quella del formidabile attaccante da fondo che genera gioco e ritmo con i fondamentali a rimbalzo. Eseguiti a velocità siderali e in spinta continua, fino ad asfissiare gli avversari.
Le attenzioni più sensibili sono state riservate al servizio. Trasformandolo in tre anni da colpo altalenante ad arma letale. Le percentuali di prime si sono notevolmente alzate. I punti diretti sono cresciuti in modo esponenziale fornendogli una preziosa alternativa, la seconda è solida, affidabile e concreta. A Wimbledon Jannik si è presentato con un’impugnatura leggermente più chiusa per poter giocare più agevolmente lo slice. Sintomo che ormai padroneggia il fondamentale con
sicurezza e senza timore di cambiare per essere più efficace.
Sui colpi da fondo si trattava di intervenire sulle minuzie. Ma in ogni caso il dritto, la soluzione che preferisce per chiudere gli scambi, è diventato più fluido e continuo mentre il rovescio. Già il migliore del circuito, si è arricchito di un lungolinea pungente. A Londra, poi, si è visto un uso meditato dello slice, che pur non essendo una soluzione troppo frequentata, è diventata affidabile, tanto che ormai raramente concede gratuiti. In aggiunta, il gioco a rete è diventato una strada percorsa con profitto quando se ne presenta l’occasione: magari poche volée, ma sempre alla ricerca del punto definitivo. In finale con Alcaraz nonne ha sbagliata nemmeno una. Significa che al fenomenale patrimonio tecnico che già possedeva ha aggiunto l’ultimo tocco per garantirsi l’accesso vincente ai punti […].
La testa oltre l’ostacolo (Paolo De Laurentiis, Corriere dello Sport)
Due set a uno, un break di vantaggio nel quarto, un paio di colpi che si inceppano sul suo servizio. Forse l’ha pensato pure lui, per un attimo: ci risiamo. Ma il mese passato dalla finale del Roland
Garros a quella di Wimbledon dà la dimensione della forza di Sinner. Fatta eccezione per tre-quattro game alla fine del primo set, Jannik ha dominato la finale fisicamente, tecnicamente e soprattutto mentalmente. Se a Parigi aveva subìto le invenzioni dello spagnolo nei momenti decisivi, rimanendo quasi spiazzato,
a Londra è accaduto esattamente il contrario.
È stato Sinner, nei punti più pesanti, ad alzare il livello un attimo prima del rivale che ancora prima di perdere la partita ha dichiarato la resa al suo team nel cuore del quarto set: «E più forte di me». Vero, almeno ieri. Perché questo sarà un viaggio lunghissimo con i ruoli che all’improvviso si sono ribaltati e accadrà ancora: fino a sabato Alcaraz passava per la bestia nera di Sinner, visti gli ultimi confronti diretti. Da oggi si può sostenere anche il contrario: Alcaraz a Wimbledon ha perso 3 partite in tutta la sua carriera, ma 2 di queste 3 proprio contro Sinner.
Sono di un altro livello rispetto agli altri (forse solo Musetti al 1.00% può minare le loro certezze) si alimentano a vicenda e come ha detto Jannik con la coppa in mano, dopo quel timidissimo inchino di fronte alla principessa Kate, non conta come vinci o perdi, conta cosa puoi fare per cambiare le cose che non hanno funzionato. Sinner da Parigi a Londra lo ha fatto, soffrendo (e perdendo) ad Halle contro Bublik, rimettendo ordine nel suo staff con scelte anche difficili.
Ma è tipico dei grandi campioni sapere in anticipo di cosa hanno bisogno per vincere, mentre in molti intorno a loro semplicemente non capiscono e giudicano. Sinner ha messo al primo posto la serenità, non vuole pensieri intorno a sé, costi quel che costi. Ha avuto ragione. Da domani si ricomincia, rotta verso gli Us Open. Ma solo a vedere gli Slam del 2025 di Sinner bisogna darsi i pizzicotti perché sembra un sogno: vittoria agli Australian Open, finale al Roland Garros persa come tutti sappiamo, vittoria a Wimbledon. Comunque vada, è già un successo.
Fuga da Alcaraz. E a Wimbledon è un’altra cosa (Andrea Pavan, Tuttosport)
Non è solo che ha vinto un altro Slam. E nemmeno tanto (un po’ sì, eh) il fatto che abbia sconfitto Alcaraz, perché lo aveva già battuto e comunque era chiaro – per chi conosce e capisce il tennis – che ci sarebbe riuscito di nuovo; e perché il numero 1 è lui e lo sarebbe rimasto anche se avesse perso. E che ha vinto Wimbledon, Sinner. Wunble-don. Un italiano ha vinto Wimbledon.
Non è un torneo di tennis, Wimbledon. È IL torneo del tennis. E forse non soltanto di quello. E come se l’Italia si laureasse
campione del mondo suonando il Brasile al Maracanà.
È come se un pilota italiano conquistasse il campionato di Formula 1 sulla Ferrari trionfando a Montecarlo. O un nostro ciclista il Tour de France staccando tutti sul Tourmalet o sul Galibier come Pantani. Eppure, boh, adesso ci sembra di più. Qualcosa di più grosso. Perché nessun italiano ci era mai riuscito. Perché – se col pallone, con le macchine, con la bicicletta siamo sempre stati tra i migliori, o comunque bravi – nel tennis siamo spesso stati considerati delle scartine, se non dei pipponi.
Messo è un bel po’ che non è più così, almeno dal 2021, quando a giocarsi il titolo dei titoli su quest’erba da sdilinquimento arrivò Matteo Berrettini, che adesso vivrà un mix di gioia (per l’amico) e di scoramento (per il tunnel in cui è precipitato): già quella fu storia, ed è giusto oggi ricordarlo, dopo che ieri la storia è diventata leggenda. Wimbledon è Bill Tilden e Rod Laver; è René Lacoste e Fred Perry, è Borg e McEnroe, è Nadal e Federer, è Becker e Djokovic passando per Sampras e Agassi. Wimbledon è i gesti bianchi.
Quel bianco finalmente immacolato che qui ha reso elegante lui e quasi, perfino, Alcaraz. È letteratura e poesia. Noi abbiamo Jannik Sinner da San Candido, Alto Adige. Che spacca tutto da fondo campo eppure ha saputo cavalcare con leggiadria l’erba dei tocchi di fino. Non solo delle bordate con schiocco. Che ha dimostrato come si possa essere di cemento anche su un prato trasformandolo in terra promessa. Che ha sfoderato un mix di audacia e talento e resilienza tale da annichilire quell’Alcaraz sbuffante e nitrente per cuì troppi ormai dicevano «eh, Jannik è il numero uno ma il più forte è Carlitos».