Rassegna stampa – Il ritiro di Fognini, Sinner aspetta Djokovic che elimina un prode Cobolli
“Braccio d’oro” annuncia il ritiro immediato e diventa Fab… ad honorem (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Ha vissuto il tennis più grande che si sia visto, in un mondo popolato da “Fabolous”, che sono stati il suo orgoglio e la sua fragilità. Fab Tre, Fab Quattro, c’è chi ne ha contati fino a cinque. Lui sarebbe stato il sesto, se solo uno Slam gli avesse regalato un approdo in semifinale, o in finale. Non è successo, pazienza. Verranno gli anni in cui Fabio Fognini riuscirà a metterci una pietra sopra, se non l’ha già fatto. E ora che è qui, di nuovo a Wimbledon, per annunciare al circuito – e forse anche a se stesso – che la sua vita non vivrà più di tennis sul campo, voglio fargli sapere che tutti i tennisti italiani, quelli della nidiata ricca e fortunata sbocciata dopo la sua vittoria a Montecarlo (la prima in bianco, rosso e verde in un Masters 1000), ritengono di dovergli moltissimo. «Sono stato fortunato a giocare nell’era di Roger, Rafa e Nole. Dopo Alcaraz sul Centrale non voglio tornare indietro». E io lo considero ad honorem uno dei “Fab”, per le doti tecniche che solo Federer poteva vantare, e per i match folli e bellissimi che ci ha fatto vivere. Un “Fab” a modo suo, “Fab-io”, ma di conio purissimo e sorretto da una trama preziosa. Non credo sia importante ricordare le sue “mattane”, anche se molti lo faranno. Molte (non sempre) erano esagerazioni a margine di situazioni nelle quali le ragioni erano dalla sua parte. Altre erano maschere per nascondere la propria emotività. E nessuna di esse l’ha aiutato: tutto quello che c’era da pagare, Fabio l’ha pagato in prima persona. Preferisco ricordare i match che hanno portato il pubblico ad applaudirlo fino a spellarsi le mani. Quello con Andy Murray in Coppa Davis a Napoli, costruito sulla sapienza tattica e sul gioco a tutto campo. E quello contro Nadal a New York, nel 2015, quando recuperò due set e piegò Rafa al quinto: la prima volta che lo spagnolo perdeva dopo aver condotto così largamente. Sfida di scambi assatanati e conclusioni miracolose, con il braccio di Fabio in serata spettacolare. Era l’anno in cui Flavia, di lì a poco sua moglie, avrebbe vinto gli US Open per poi annunciare il proprio ritiro. […] «Una sconfitta che vale molto – racconta, sorridente, all’apparenza rilassato – quasi come una vittoria. Per la soddisfazione che mi ha dato, per lo scenario nel quale ha preso forma – il Centre Court – per le congratulazioni che ho ricevuto da tutto il tennis, ma più di tutto perché tutta la mia famiglia era lì con me. Ho voluto essere onesto con me stesso: dopo quella prestazione, su quel palcoscenico, non voglio tornare a giocare in qualche Challenger, perché è questo che la mia classifica mi permette. Ho avuto la fortuna di giocare in una delle ere che entrerà nella storia. Ho giocato con Roger, Rafa, Nole. Per me vincere uno Slam era impossibile. Mi è mancato un buon risultato nei Majors, ma sono contento di quello che ho ottenuto.» […] «Sentivo di aver lasciato qualcosa in sospeso. Sono stato a casa, mi sono dedicato ai figli a tempo pieno, poi ho deciso di tornare a Wimbledon per salutare tutti quanti. Credo sia il miglior modo di dare l’addio. Flavia è stata la prima a ritirarsi dal tennis nel momento migliore, ha avuto coraggio, non è facile dire basta. Ho parlato con lei due giorni fa, mi ha risposto che qualunque decisione avessi preso, sarebbe andata bene. Mi sarebbe piaciuto arrivare fino a Montecarlo 2026, è il torneo che ho vinto, e si gioca vicino a dove sono nato e cresciuto. Ma non era possibile… Sono qui per vedere Djokovic-Cobolli, e alla fine della partita lascerò la scena per sempre. Ho lottato contro tanti infortuni negli ultimi anni, non è stato facile, e questa è la migliore decisione possibile.» Ora tocca a Fabio fare i conti con il futuro. Ha un’agenzia che si occupa di seguire i giovani tennisti lungo la carriera. Flavio Cobolli è uno di loro. «L’ultimo messaggio che lascio è questo: chiunque abbia bisogno di me, nel tennis, può chiamarmi, anche solo per fare due chiacchiere.» E lui risponderà: «Pronto, sono Fab-io…»
L’omaggio del Re (Davide Chinellato, La Gazzetta dello Sport)
Il Maestro esce dal Centrale di Wimbledon con l’ennesimo record: 14 semifinali conquistate nello Slam sull’erba, più di chiunque altro. E con un nuovo avversario nel mirino: Jannik Sinner. «Non vedo l’ora, sarà una gran partita» ha detto Novak Djokovic, pronto a sfidare uno dei tanti giovani cresciuti nel suo mito. Uno che l’ha tenuto impegnato per oltre tre ore e quattro set nel tempio del tennis dove Djokovic è sinonimo di trionfo. Flavio Cobolli, uscito tra gli applausi dei quasi 15 mila spettatori, ha dimostrato di avere tutto per non essere una meteora. Ha chiuso il suo Wimbledon ai quarti, da protagonista, dimostrando che l’Italia del tennis ha trovato una nuova stella. «Nole a rete mi ha detto che avevo fatto una buonissima partita, con il giusto atteggiamento in campo, che sarei arrivato tra i primi 10 molto presto e che ci sarei rimasto a lungo» ha raccontato l’azzurro, che da lunedì sarà per la prima volta tra i primi 20 del ranking ATP. Djokovic ha dovuto faticare per prendersi la sua 52ª semifinale Slam, migliorando un record che già gli apparteneva. […] ha dovuto lottare contro un avversario «non so quanti anni più giovane di me», dimostrando che i suoi 38 anni sono solo un numero. «Competere con i giovani mi fa sentire giovane», ha detto Nole con un sorriso. Djokovic è venuto a Wimbledon non per fare la comparsa, ma per prendersi quel titolo che Carlos Alcaraz gli ha negato nelle ultime due stagioni. Oggi però dovrà valutare le sue condizioni fisiche: nell’ultimo game contro Cobolli, mentre serviva per il secondo match point, è scivolato facendo una spaccata e ha mostrato una smorfia di dolore.
«Sono concentrato solo sul rimettere il mio corpo in sesto per una battaglia molto fisica – ha detto –. “Dovrò giocare al mio miglior livello, anche per cinque set, se necessario, per battere Jannik». Cobolli, dal canto suo, ha chiuso il miglior Slam della carriera con un omaggio in sala stampa a Fabio Fognini, fresco di ritiro:
«Se mi sono innamorato del tennis è perché mi hai tormentato con le tue partite». Djokovic è stato la fine della corsa nel torneo della consacrazione, ma anche la conferma che Cobolli ha il talento e la testa per continuare a crescere. «Sono molto orgoglioso di ciò che ho fatto – ha detto Flavio – ma penso che la lezione più importante del torneo è che le cose fuori dal campo sono importanti tanto quanto quelle dentro. Devo allenarmi di più, dormire meglio, mangiare bene. Sono le piccole cose». Quelle che fanno la differenza per il Maestro, e che permettono a Djokovic di essere ancora, a 38 anni, un punto di riferimento. E sono le stesse su cui Cobolli vuole costruire il suo futuro da grande.
Mio “cuggino” Jannik (Luigi Garlando, La Gazzetta dello Sport)
Noi tutti Carota Boys del mondo ieri siamo scesi in campo aggrappati a una convinzione: contro Dimitrov è stata solo colpa del gomito. Sinner faceva gli stessi gesti di sempre, le stesse smorfie, le stesse sbracciate, però la pallina tornava incredibilmente indietro. E, quando usciva dalle corde, non faceva bum! Come Braccio di Ferro senza gli spinaci, come Sansone senza capelli. Come quando un bullo ti rompe le scatole e chiami tuo cuggino (con due g, alla Elio), ma tuo cuggino le prende dal bullo. Dimitrov ha bullizzato il numero uno del mondo, prima di arrendersi al dolore. Due set rimasti sulla pelle come un livido. Ma com’è stato possibile? Il dolore al braccio, ovvio. Il gomito del tennista, un classico da Allegro Chirurgo. Jannik non era lui, adesso invece… Ce lo siamo ripetuti come un mantra prima del match, anche se a vedere quel braccio fasciato (con il baffo dello sponsor sopra) c’era poco da stare allegri. Dall’altra parte della rete, invece, le braccia di Big Shelton erano poderosamente sane, tutte scoperte, le maniche se l’è strappate un giorno che è diventato verde: l’Hulk di Atlanta. Ma a Sansone sono rispuntati i capelli, Braccio di Ferro ha strizzato un barattolo di spinaci e Sinner è tornato quello ante-Dimitrov: 3-0 a Shelton, come agli altri. Una sicurezza glaciale sui punti-chiave, picchi di bellezza da Tate Modern. Set dopo set, Big Shelton è diventato piccolo come Michael Chang.
E ora semifinale contro l’eterno Djokovic, che ha domato uno splendido Cobolli e a Wimbledon ha già vinto 7 volte. Ok, ma mio cuggino Jannik di recente gliele ha sempre suonate.
Questo è il vero Sinner (Lorenzo Ercoli, Il Corriere dello Sport)
Tre frangenti, uno per set, sono bastati a trasformare in netto dominio un match tendenzialmente equilibrato. La grande promessa si è sfaldata in pochi singoli istanti, il grande campione ha recuperato in tempo e si è comportato da tale. Una vittoria in pieno stile Sinner, difficile definirla diversamente se non sostituendo il suo nome con quello di un altro fuoriclasse. […] L’americano lascia Wimbledon senza grandi colpe se non quella di essersi sciolto nei momenti cruciali, quelli in cui contro il numero 1 del mondo inizia un’altra partita. La fotografia più nitida è il decimo gioco del secondo set: Jannik risponde a tutto, scivola indomito sul campo e strappa il break decisivo che fa impazzire il rivale. La prova dell’azzurro è già impressionante così, ma nell’alzare la valutazione complessiva non si può ignorare ciò che era accaduto alla vigilia. I venti minuti di allenamento, lontano dai riflettori, giusto per sentire la palla. Il riscaldamento del mattino con il giovane Jacopo Vasami, impegnato nel torneo junior, per sciogliere i dubbi su un possibile forfait. L’altoatesino è sceso subito in campo con una manica a compressione bianca a coprire il gomito, sotto la quale si nascondeva un taping, poi proposto anche durante il match contro lo statunitense, il primo del torneo maschile a vedere due Top 10 di fronte. «Mi sono dovuto preparare mentalmente alla vigilia, ma in carriera mi sono sempre messo in posizione di giocare. Poi nel riscaldamento della mattina ho avuto sensazioni positive. Mistero? Io faccio il mio lavoro, non il giornalista. Preferisco tenere le cose per me e non cerco attenzioni inutili. I miei coach mi avevano consigliato di non allenarmi, ma volevo provare il taping, così abbiamo fatto venti minuti solo noi tre» ha raccontato Sinner, ricostruendo la vigilia e le ragioni di un allenamento mai annunciato. Nel giro di 48 ore, lo sguardo amareggiato e preoccupato dopo il ritiro di Dimitrov ha lasciato spazio a un sorriso soddisfatto: «Sono molto contento. Contro Ben non è facile crearsi delle chance. Serve alla grande e non solo, ormai ci conosciamo sempre meglio». L’azzurro festeggia così l’accesso alla settima semifinale Slam, la quarta consecutiva, la seconda a Wimbledon. Proprio qui nel 2023 giocò la prima a livello Major, quando affrontò Novak Djokovic, che troverà come ultimo ostacolo sulla strada per la finale. I precedenti sorridono all’italiano, avanti 5-4, con quattro vittorie consecutive, inclusa la recente semifinale del Roland Garros. Ma a Wimbledon il sette volte campione serbo ha un’altra storia da raccontare: non solo vinse in tre set la sfida del 2023, ma l’anno prima rimontò due set di svantaggio nei quarti. «Io e Novak ci conosciamo abbastanza ormai, ma non l’ho mai battuto qui e sarà una sfida davvero difficile». «Il riposo adesso avrà la priorità, ma per come sono fatto devo tenere il corpo vivo. Il manicotto? Non so se lo terrò, però mi sono sentito abbastanza bene indossandolo». Simili ma diversi, in questi giorni Jannik ha raccontato di aver preso spunti da tanti campioni sull’erba, compreso proprio il serbo. Dal canto suo, Nole, oltre a mostrare stima reciproca, si è speso con Sinner per ottenere un autografo sul cappello del figlio Stefan. Due campioni fatti della stessa pasta, che si rispettano e che non potranno che regalare un altro grande match.