Cahill scherza su Sinner: “In Italia avete un ragazzo speciale, ma se non lo volete più me lo porto in Australia!”
C’è un momento preciso in cui Darren Cahill capisce di essere davanti a un campione. Non serve una classifica, né un trofeo. Bastano pochi scambi e un orecchio allenato: “C’è un suono diverso quando i grandi colpiscono la palla. Tutti i campioni che ho allenato ce l’avevano. Jannik ce l’ha”. Le parole arrivano dal verde di Halle, dove l’allenatore australiano si è raccontato a Sky Sport Insider. Ed è stato come aprire un quaderno pieno di appunti privati, annotati in silenzio, ma mai banali.
La fortuna, dice, è stata sua. “Sono stato fortunato con i tennisti con cui ho lavorato. Ma ci sono qualità che fanno la differenza. Jannik ha un’etica del lavoro straordinaria, è resiliente sotto pressione, resta sempre calmo. È curioso. Fa domande. Vuole migliorare”. E poi c’è quella fame buona, che non fa rumore ma ti accompagna ogni giorno. “Non ha paura di prendersi dei rischi. È così che è diventato il tennista che è oggi. Per me è stato davvero un onore lavorare con lui, insieme a Jannik. Penso che ciò che emerga davvero sia questa sua continua ricerca del miglioramento, indipendentemente dalla classifica. Che sia numero 50, numero 10 o oggi numero uno al mondo, lo vedi in campo ad allenarsi con l’obiettivo di diventare un tennista migliore. Ed è questa la cosa che rispetto di più in assoluto“.
Il coraggio del cambiamento
Quando gli si chiede di cosa sia più orgoglioso, la risposta non è una vittoria o una classifica, è un gesto, o meglio, un atteggiamento. “Il suo coraggio. Era già fortissimo, vicino alla top 10 a 19 anni. Ma ha voluto cambiare, ha chiesto come migliorare. Ha messo mano al servizio, al rovescio. Poteva restare dov’era. Invece ha accettato la sfida”. E in questa sfida, sottolinea Cahill, c’è anche il merito silenzioso di Simone Vagnozzi: “Ha fatto un lavoro straordinario. Per me è stato un onore lavorare con entrambi”.
La parola “coraggio” ritorna, così come quella “consapevolezza”. Perché per Cahill, che di Slam ne ha visti parecchi da bordocampo, è lì che si misura un grande. “Jannik sa chi è. Non si esalta troppo dopo una vittoria e accetta le sconfitte con grande rispetto. È umile. Gli piace stare vicino alla famiglia, agli amici. Riuscire a mantenere questo equilibrio in mezzo alla pressione, all’attenzione dei media, all’affetto del pubblico… richiede una maturità rara. Voi in Italia siete fortunati ad averlo. Se un giorno non lo vorrete più, ce lo prendiamo noi in Australia!”, chiude con una risata.
Verso Wimbledon: “Nessun complesso Alcaraz”
Inevitabile tornare su quella finale di Parigi e sul rivale di sempre, Carlos Alcaraz. C’è il rischio che nasca un ‘complesso’? Cahill la vede diversamente. “Questi due ragazzi si affronteranno spesso nel prossimo decennio, ma noi pensiamo un giorno alla volta. Dopo il Roland Garros eravamo tutti orgogliosi di lui, non solo per come ha giocato, ma per come ha lottato, per come ha parlato dopo la sconfitta. Ha mostrato una maturità incredibile”.
E soprattutto, aggiunge, non esistono solo loro due. “Ci sono tanti giovani che possono vincere Slam: penso a Musetti, Rune, Draper… è una generazione affamata. Non è una corsa a due. Il nostro obiettivo è semplice: migliorare Jannik, giorno dopo giorno. Piccoli passi. Senza guardare troppo avanti”.
Essere brillanti nelle cose semplici
Quando gli si chiede cosa Sinner abbia imparato da lui, Cahill fa un passo indietro. “Spero tante piccole cose. Ma non credo che un singolo allenatore possa darti una pillola magica. C’è un detto in Australia: Be brilliant at the basics. Sii brillante nelle cose semplici. E questo è ciò che proviamo a fare ogni giorno: tecnica, tattica, emozioni, gestione. Se continui a lavorare con costanza su questi aspetti, diventi un tennista migliore. Non serve inventare la luna”.
Ma poi, a ben vedere, Jannik sulla luna vuole arrivarci e continua a guardarla con quella sua fame tipica dei campioni che sanno di esserlo e possono tuttp. Quella fame che Cahill, da maestro artigiano del tennis, ha imparato a riconoscere al primo sguardo. O, meglio, al primo colpo con quel suono che non sbaglia mai.