Tennis al meglio dei cinque set: Sinner-Alcaraz è un’eccezione, non la regola
Gli amanti del tre su cinque, delle partite lunghe ed epiche, staranno stappando bottiglie di champagne e brindando a Jannik Sinner e Carlos Alcaraz dal tardo pomeriggio di domenica sera. Ringraziandoli per lo spettacolo offerto e soprattutto per aver mostrato al mondo, specie ai detrattori, quanto possa essere spettacolare un quinto set. Quanto una partita così lunga, da 5 ore e mezzo, sia da leggenda, sia il meglio che il tennis può offrire. Questi avvocati della tradizione (anche giustamente, secondo chi scrive) avranno però dimenticato l’ultimo incrocio Slam proprio di Sinner e Alcaraz.
Sempre con un epilogo in cinque set, al Roland Garros 2024, i due si erano incontrati in semifinale. Anche in quel caso aveva vinto Alcaraz, ma in una partita mai bella né spettacolare. In cui entrambi ebbero qualche problemino esprimendo raramente in contemporanea il proprio miglior tennis. E offrendo di conseguenza un ben più magro show di quello che hanno regalato domenica al mondo e alla storia del tennis. Riaccedendo l’eterno dibattito: conservare o eliminare le partite al meglio dei cinque set? Proviamo, in maniera concreta, a dare risposte e argomentazioni.
Una partita così è quasi un unicum
Partiamo da un presupposto forse ovvio, ma fondamentale per tracciare una distinzione: un incontro del livello di Sinner-Alcaraz è una partita epica, generazionale, di quelle che si vedono di rado. Non tutte le partite che terminano al quinto set sono così lunghe, ma soprattutto così spettacolari. Riferiamoci all’ultimo Roland Garros, appena terminato. I match terminati al quinto e decisivo set sono stati 25 su 127, circa il 19,7% del totale. Un numero comunque abbastanza elevato, che rappresenta quasi un quinto degli incontri. Ci sono però due asterischi da porre.
Il primo è che, dagli ottavi in poi, solo la finale non si è decisa in tre o quattro. Dunque nella fascia di maggior attenzione del torneo, quando si affrontano i migliori e il pubblico ha più fame di tennis, si è arrivati una volta soltanto al parziale decisivo. E di conseguenza il secondo appunto è consequenziale: delle altre 24 partite in quattro set quante sono state effettivamente godibili? Quante verranno davvero ricordate? Il pubblico italiano conserverà sicuramente in maniera gelosa la rimonta da 0-2 di Arnaldi contro Auger-Aliassime.
Ma in pochi porteranno con sé Khachanov-Paul di terzo turno. Un manifesto di quelle che sono la maggior parte delle partite in cinque: tensione, adrenalina ed equilibrio a tratti, quasi mai i due giocatori offrono in contemporanea il proprio miglior tennis. Così si vince un set a testa, il pubblico ha una certa quantità di tennis da poter comunque vedere (specie se è in loco, più che da casa), e alla fine vince chi ne ha di più. E questo spesso diventa il vero problema per l’economia del torneo.
Recupero e resistenza
Un altro argomento di discussione riguarda chiaramente anche quanto possa essere pesante, e a volte controproduttivo per il prosieguo del torneo, una partita al quinto set. Esemplare da questo punto di vista l’Australian Open 2025 di Jack Draper. Il britannico ha raggiunto gli ottavi giocando tre partite finite, dopo un esborso fisico pazzesco, al quinto set. Risultato? Si è ritirato dopo aver perso il secondo set contro Alcaraz, senza mai realmente mettere in campo il proprio miglior tennis. Questo è solo però l’esempio più recente e calzante. Si può parlare di Lorenzo Musetti al Roland Garros 2021, quando dopo i cinque set di terzo turno contro Cecchinato e i primi due vinti con Djokovic crollò dal punto di vista fisico.
Per i giocatori più giovani sono situazioni in realtà abbastanza frequenti. Partite troppo lunghe che abbassano la competitività e la capacità di riuscire ad andare avanti nella maniera giusta in un torneo importante. Non è infatti un caso che ormai solo negli Slam si giochi 3 su 5. E sicuramente costituisce parte della meraviglia di questi tornei, ne è la peculiarità e buona parte della leggenda. Che li rende unici, sogno di qualsiasi ragazzino che prenda in mano una racchetta. Ma al contempo crea un ulteriore interrogativo: non è un vantaggio per i migliori?
A quando un upset?
La cruda realtà è anche che le sorprese sono sempre più ridotte all’osso. Capita raramente che i migliori possano perdere in un format su tre cinque. Sia da un punto di vista fisico, ma anche mentale, strappare non due, ma tre set a Sinner o Alcaraz, o tornando leggermente indietro a uno qualunque dei Fab Four…è un’impresa quasi titanica. E soprattutto sul 2-0 per il favorito spesso la partita cessa di avere un interesse effettivo. Anche se definire questo un problema sarebbe davvero andare a cercare il pelo nell’uovo, visto che il vantaggio dei migliori è fisiologico. E si acquisisce con lavoro ed esperienza. I primi turni spesso però offrono uno spettacolo davvero magro.
Formula ibrida? No, grazie
Spesso nelle discussioni, non solo da bar, quando si riflette sul prodotto tennis e su come la lunghezza possa spaventare le nuove generazioni (vero solo in parte), si porta un argomento ben preciso sul tavolo: la prima settimana di uno Slam. Con le critiche del caso, di uno spettacolo offerto abbastanza magro. E per certe partite “tre set sono troppi”. Non totalmente un’eresia, visto che nella maggior parte dei casi i primi turni dei big dopo un set diventano un allenamento agonistico o poco più. Con partite che negli ultimi 25 anni sono diventate più lunghe di circa il 20%.
E quindi spesso si arriva alla (folle) proposta di giocare i primi tre turni, che hanno meno appeal televisivo e meno risalto mediatico, al meglio dei tre set. Così da accelerare le operazioni e tenere il formato tre su cinque solo per la seconda settimana. Il che però, oltre a snaturare qualsiasi logica di regolamento e tradizione, rischierebbe di costituire altri svantaggi. Una partita in tre set può anche durare tre ore (o peggio, vedi Moutet-Rune a Roma) mentre una in due può concludersi in poco più di un’ora. Quindi la formula ibrida, per i motivi di cui sopra principalmente, non è assolutamente la soluzione giusta.
Cosa ci lascia Sinner-Alcaraz? Cinque set sì o no?
Ma, allora, la risposta alla domanda qual è? Il tre su cinque è ancora la soluzione migliore per gli Slam, come muoversi? Se si ragiona in un’ottica di “modernizzare” e tenere il tennis al passo delle nuove generazioni, affamate di rapidità e highlights, si potrebbe anche concordare sul fatto che diminuire un po’ la durata delle partite, anche per dare a più persone la possibilità di vederle, potrebbe essere una buona pista. Ma vorrebbe al contempo dire sacrificare quegli incontri storici, straordinari, che hanno reso il tennis quello che oggi è.
Un racconto di destini, di rivalità e sfide incrociate. Di pomeriggi e notti incollati alla TV, o sugli spalti di quei campi resi leggendari proprio da partite del genere. Un due su tre avrebbe regalato domenica la vittoria a Sinner in poco più di due ore, non avrebbe permesso a Nadal la storica rimonta australiana né la bellissima finale di Wimbledon 2008. O di Wimbledon 1980. Senza dimenticare la rocambolesca, unica finale Slam tra nati negli anni ’90, allo US Open 2020. E forse Sascha Zverev sarebbe anche felice di riavvolgere il nastro e trasformare quell’incontro in un due su tre.
Per otto settimane all’anno, e qualche domenica in più se Gaudenzi dovesse dare seguito a quanto detto alle scorse ATP Finals (riportare le finali 1000 al meglio dei cinque), è un prezzo sopportabile. Un prezzo che è storia e tradizione, unicità, e che in fondo piace anche alle nuove generazioni. E che, per quanto il mondo corra, potrebbe fungere da traino per unire ancor più a fondo possibili appassionati ad uno sport che è una scoperta continua. Giudizio finale? Lunga vita ai cinque set.