Roland Garros – Che noia, che barba, che noia, che barba, tutti i giorni a parlare e scrivere di Sinner
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Ho lavorato per quasi 50 anni in un giornale, un giornale politico. E per molti anni (anche se non sempre) per le 3 o 4 pagine sportive de La Nazione. Come tutti i giornali italiani confinava le “varie”, cioè una quarantina di discipline sportive, in una mezza pagina. Nelle giornate “miracolose” in una intera pagina.
Ho così sofferto per anni la frustrazione di non avere spazio per il tennis in 5 o più giorni su 7, anche se ero andato a Wimbledon, a Parigi o a New York, il più delle volte a mie spese e in ferie quando ero più giovane, ma per tanti anni. Sacrifici compiuti arrangiandomi e mai vivendoli come veri sacrifici. La scelta era stata mia. Il tennis mi è sempre piaciuto da pazzi, da giocatore, da giornalista. Quasi una malattia da cui sono stato contagiato…in eterno.
Eppure avevo cominciato a scrivere nel 1972, poco prima del boom del tennis di fine Anni Settanta, e il mio primo Roland Garros, nel 1976, esattamente 50 edizioni fa coperte senza soluzione di continuità, coincise con il trionfo di Adriano Panatta. Pensavo che il tennis sarebbe finito in prima pagina ben più che per 4 o 5 anni allora e da un paio di anni adesso.
Allora acccadde grazie alle imprese di Panatta e soci, con 4 finali di Coppa Davis in 5 anni (1976-1980, una vinta, la prima in Cile, le altre tre perse in Australia, in America e in Cecoslovacchia) – e all’epoca per la mentalità un po’ provinciale di allora – la Davis contava molto più degli Slam. Di poter seguire un Australian Open nemmeno ci si pensava. Era grasso se si pubblicava la notiziola della finale con il suo vincitore.
Per me che ho sempre adorato il tennis… quando chiamavo il mio caposervizio per raccontare di Becker e Edberg, di Agassi e Sampras, ma anche dei primi duelli Federer-Nadal – non dico Borg e McEnroe perché il loro momento magico ha coinciso abbastanza con quello dei Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli – per cercare di convincerlo a darmi più di 20 righe in cui mettere a malapena i risultati, né storie né opinioni, dovevo fare i salti mortali.
Dovevo improvvisarmi… “venditore di tappeti” per combattere la concorrenza costituita da un articolo arrivato molto prima e già in pagina in cui si leggeva che il terzino della Fiorentina si era forse, forse eh, fatto una contrattura e non avrebbe – ancora forse eh – potuto probabilmente scendere in campo domenica contro il Lecce.
Purtroppo i risultati più inattesi e sorprendenti del tennis arrivavano sempre a tarda sera, da Wimbledon con quella maledetta ora di fuso orario in più intorno alle 21 o anche 22…e chi mai aveva voglia in redazione per quello sport minore, il tennis in cui gli italiani non vincevano quasi mai, di sbaraccare una pagina già fatta, per cambiare titoli, impaginazione, fotografie? Nessuno!
Questo incessante doloroso ripetersi di queste situazioni, insieme alla consapevolezza che non c’erano poi troppe persone – fra i lettori eh, non dico i colleghi, non mi permetterei mai… -che conoscessero tutto quel che del tennis conosco io.
E troppe volte mi finiva allora per apparire una conoscenza (non la chiamo cultura eh) sprecata, fino a che verso la fine del 2006, quando stavo preparandomi ad andare a Shanghai, pensai di lanciare un blog, “Servizi Vincenti” che fu generosamente (?) ospitato gratuitamente sul web de la Nazione e che nell’arco di un paio di giorni cinesi mi consentì di pubblicare un articolo sotto una foto mia con Roger Federer. Non male come inizio, grazie alla disponibilità di Roger. E… inciso: bei tempi quando ancora i giocatori decidevano con chi parlare, con chi farsi fotografare, senza tanti agenti, media manager, organizzatori da avvicinare, convincere, pregare!
Beh il blog seguito all’inizio da poche centinaia di persone, poi da migliaia, è diventato questo sito che lo scorso anno ha avuto 40 milioni di visite e oltre 60 milioni di visualiazzazioni. Non me lo sarei mai aspettato. Davvero. Ancora oggi non ci credo.
Tutta questa lunga premessa l’ho scritta per dire che, 40 anni dopo le cose sono cambiate quasi incredibilmente. Certo grazie ai risultati raggiunti improvvisamente dai tennisti italiani e assolutamente imprevedibili fino a 7 anni fa: io faccio risalire tutto alla semifinale raggiunta da Cecchinato a Parigi nel 2018, con la vittoria su Djokovic nei quarti, e una quarantina d’anni dopo i medesimi traguardi raggiunti da Barazzutti e Panatta.
Eravamo 4 o 5 gatti gatti a seguire il tennis anche all’estero, negli Slam, per tanti anni Rino Tommasi, Gianni Clerici, Daniele Azzolini e poi Roberto Lombardi quando spuntò Tele+ (più Alfonso Fumarola del Corriere dello Sport…mentre Stefano Semeraro era quasi ancora bambino e redattore di Matchball, anche Vincenzo Martucci muoveva i primi passi e il computer ancora non c’era, ma una Olivetti).
Oggi in sala stampa al Roland Garros siamo più una dozzina di giornalisti italiani che una decina. E tutti i giorni tutti scrivono, non una volta o due alla settimana. E scrivono pure parecchio. Più di un pezzo. Perché c’è il cartaceo ma c’è anche il WEB. I costi per le trasferte sono saliti, i giornali sono dissanguati di finanze e di personale: prima di “spedirti” in giro per il mondo, e in città carucce assai, vogliono esser sicuri che produrrai e produrrai parecchio. Davvero non una storia sola. Sennò te ne stai a casa o, peggio, in redazione.
All’interno del cosiddetto Rinascimento del tennis italiano, parola quanto mai abusata, sono successe davvero tante cose. Alcune assolutamente straordinarie, che qui ripeto anche se ormai le sanno tutti: un italiano, Sinner, n.1 del mondo da un anno (o quasi ormai), un altro italiano top-ten, Musetti, quando per quasi mezzo secolo i soli top-ten – e per breve, brevissima durata – erano stati solo Panatta e Barazzutti nel tennis Open. Mentre per lo status di Pietrangeli c’era sempre quell’asterisco a ricordare che Nicola si misurava con i dilettanti perché il tennis non aveva ancora aperto, OPEN, ai professionisti.
Dai vertici del grande tennis alla base: gli italiani capaci di entrare tra i primi 100 sono diventati una decina, quelli fra i primi 50 anche sette, quelli fra i primi 28 – è roba recente – ben quattro.
Insomma il tennis, grazie a tutti questi eventi fenomenali, è improvvisamente diventato uno dei primi 2 o 3 sport nazionali, almeno nell’interesse che sembra riscuotere nell’opinione pubblica. E allora le tv scatenano guerre per acquisire i diritti, anche le radio locali improvvisano servizi e inviati. I social vanno a nozze. Tanto le fake news chi le controlla? Basta che facciano clic e followers. Tutti scatenati alla conquista dell’audience. I titoli seri non funzionano più, occorre trovare un compromesso fra i clickbait – per non scadere nell’infimo – e il titolo banale che dà soltanto la notizia di chi ha vinto e di chi ha perso. Ma un titolo fantastico come “L’insostenibile leggerezza dell’essere” oppure “Cronaca di una morte annunciata” finirebbe dopo poche ore nel cimitero del web perché privi di parole, di nomi noti, che risveglino gli algoritmi sopiti. E’ un equilibrio, quello dei titoli, molto difficile da raggiungere e comunque sempre assai soggettivo. Il titolo che piace a me non piace a te, quello che piace a te non piace a me, ma proprio rinunciare nel nome della purezza deontologica ai meccanismi dei motori di ricerca e del SEO (Search Engine Optimisation) sarebbe autolesionistico. Chi paga per sponsorizzare un media, di qualunque tipo, vuole dati, numeri, dati, contatti, dati, numeri, contatti. E di soldi si campa, tutti. Anche i media.
E allora oggi come oggi che cos’ è che attira di più il pubblico medio e non quello di elite che i numeri non li ha? Sinner, poi Sinner e ancora Sinner! Con qualche piccola concessione alla Paolini perché è tanto simpatica e gioca proprio bene, e c’è anche l’effetto rivelazione, e poi non è un’amazzone d’un metro e 80. Però il tennis femminile tira meno…E meno male che, calato il personaggio Berrettini troppo spesso infortunato per calamitare le più grandi attenzioni, è spuntato alla ribalta Musetti. Un campione che non è solo top-ten ma gioca perfino in modo fantasioso, creativo, imprevedibile, Che cosa desiderare di più?
Il problema è che il pubblico dei nuovi lettori, sì, riesce faticosamente a celebrare ancora il mito Nadal perché il maiorchino è stato davvero tennista e personaggio straordinario fino a 2 anni fa, ma già Federer sembra oggi quasi preistoria e Djokovic viene vissuto come un “ex campione in possesso di tutti i record che non si vuole arrendere ma è solo questione di giorni”.
Quindi non resta che parlare, scrivere, giorno, mattina, sera, di Sinner. In tutte le salse. Perché questo sembra volere la massa della gente e, di riflesso, i direttori dei giornali. E il papà di Sinner, le ragazze di Sinner, gli allenatori di Sinner, il team di Sinner. Che cosa mangia Sinner, come si allena Sinner, che cosa pensa Sinner sui problemi del mondo… Ricordate cosa diceva Sandra Mondaini a Raimondo Vianello? Leggete il titolo.
Se mi trovate nell’ultimo mese un giorno in cui Corriere della Sera, Repubblica, Stampa – e non dico Gazzetta dello Sport o Corriere dello Sport – non abbiano scritto di Sinner, non abbiano avuto un titolo su Sinner, vi dico bravi.
Il problema allora qual è? Beh, che obbligati a scrivere di Sinner giorno dopo giorno, anche la vena dei migliori giornalisti finisce per inaridirsi. Gran parte degli articoli che escono ovunque non sanno di nulla, sono di una noia infinita. E, sia chiaro, lo sarebbero stati anche i miei se ancora scrivessi quotidianamente per un giornale. Non farei davvero eccezione. Prego quindi gli esimi colleghi di non offendersi. Non è colpa loro. E’ colpa del sistema in cui ci ritroviamo affogati, dei direttori che devono inseguirsi l’un l’altro nel nome di Sinner.
Il quale Sinner non è solo un incredibile campione, ma è anche un ragazzo straordinario sotto tutti i profili. Non ha certo alcuna colpa nella persecuzione mediatica di cui è fatto costante oggetto. A lui, anzi, si può dire solo grazie d’esistere. E di continuare a essere il miglior tennista del mondo. Un personaggio sensibile, semplice ma intelligente, super positivo. E se anche invece di essere il primo, oppure il secondo, diventasse il terzo dell’ATP, grazie ancora. Da noi ha resuscitato il tennis come nessuno prima.
Però di continuare a leggere articoli di aria fritta non se ne può più. E io ringrazio di aver dato vita a questo sito che pubblica di tutto e di più, di media una quindicina di articoli, di storie quotidiane che certo privilegiano anche le imprese di Sinner (e di Musetti, e di Paolini, e ora anche di Cobolli), ma ringraziando Dio anche tutt’altro. E’ il web, un web verticale come Ubitennis a consentire di spaziare anche su tutto quel che non è Sinner. Non abbiamo meriti particolari, però credo onestamente che al tennis non sia facile fare un servizio più completo, davvero a 360 gradi, di questo.
Credo che Sinner per primo non vorrebbe che il tennis, e l’amore per lo sport della racchetta, si racchiudesse solo in lui e nei suoi successi. Che naturalmente gli auguro più grandi e più duraturi possibile.
Una nota finale, dopo che Alcaraz è stato in campo per tre ore e un quarto per liberarsi di questo bosniaco Dzumhur al cui particolare profilo avevamo dedicato nei giorni scorsi e ieri più di un articolo – grazie, ancora, ribadisco agli spazi di cui possiamo disporre e i giornali cartacei invece non li hanno – riguarda il forfait di Fils, il francese più interessante della più recente nidiata orfana dei Gasquet, Monfils, Simon, Tsonga.
Chi è superstizioso dirà che Ivan Ljubicic non ha portato bene quando ha detto proprio ieri all’Equipe: “Per me Arthur Fils sulla terra rossa vale uno dei primi 5 tennisti del mondo”.
E’ accaduto in serata che Fils ha annunciato una conferenza stampa per questo sabato mattina e per raccontare perché è costretto a ritirarsi e a dar via a Rublev che quindi finisce sulla strada di Sinner nel caso -piuttosto probabile – che Jannik abbia la meglio sul suo ex primo sparring partner del Foro Italico, Jiri Lehecka, quando dopo 3 mesi di stop obbligato potè finalmente allenarsi con uno …vero. E non con dei pensionati ritirati di fresco.
Ieri ho temuto di poter fare la stessa fine di Ljubicic agli occhi dei superstiziosi quando Lorenzo Musetti ha perso il primo set con Navone e poi ha subito un orribile break nel primo game del secondo. Sul suo conto per l’appunto mi ero sbilanciato alla vigilia quasi alla stessa maniera di Ljubo dicendo:“Oggi come oggi Lorenzo sulla terra rossa vale un posto fra i top 5 del mondo! Lo dicono i suoi risultati”. Per fortuna tutto è andato a finir bene. Lorenzo ha finito in crescendo e demolendo alla distanza con punteggi decrescenti l’ostico Mariano Navone che un anno fa qui era testa di serie e ha 24 anni, non 37.
“Sono fatto di marmo, come tutti i carrarini” ha detto gioiosamente Lorenzo anche se “preferisco il mare alla montagna”. E quando allora è stato chiesto a Jasmine come fossero i lucchesi lei, sbottando in una delle sue solite simpatiche risate, ha risposto: “Lucchesi? Sono tutti tirchi…non hanno proprio la fama dei genovesi, ma ci vanno vicino. Io però non credo di essere tirchia…normale, via!”
A lei toccherà la Svitolina e “speriamo vada meglio che in Australia, vinsi il primo set e poi non mifece veder più palla”. Anche Musetti spera che vada meglio contro Rune rispetto a come gli è andata le due volte che, senza vincere un set, lo ha affrontato a Indian Wells 2024 (62 76) e al Queen’s 2023 (64 75). Rune è stato n.4 del mondo e ora è n.10, Musetti faceva fatica a rientrare fra i primi 20, oggi è n.7. Al di là del trend, e dei 5 set che Rune ha dovuto affrontare per rimontare Halys che avrebbe anche potuto vincere in 4 set, Musetti sembra aver dalla sua un pizzico di fiducia in più nelle proprie possibilità.
A proposito dei 5 set di Rune: sono stati 19 i match finiti al quinto, su 104. Io ai 5 set non rinuncerei mai. Sono i più belli e i più memorabili. Qualcuno si stanca a guardarli tutti per così tante ore. E’ un problema loro, forse amano il tennis meno di me. Per me sono il vero tennis. Perfino dei miei match da ragazzo ricordo quelli, non i due set su tre.