Muscoli di cristallo e cuore caldo. Matteo Berrettini e le sue sfortune
Lunedì 8 novembre 2021 per molti è una data qualunque. Nella delicata e intricata carriera di Matteo Berrettini è una data chiave. Una data di non ritorno o quasi. Certo, nel 2022 sarebbe arrivata un’altra semifinale Slam, ma l’uscita in lacrime dal campo di Torino dopo il ritiro contro Zverev è stata, ed è tutt’ora, una ferita difficile da rimarginare. La prima di tante, troppe cadute amare. Per un ragazzo con un fisico da corazziere e un cuore caldo, passionale. Tipicamente italiano. Proprio il cuore e la passione, a conti fatti, lo hanno tradito.
Un altro lunedì, il 12 maggio 2025, sa di disillusione per Matteo. Ne è passata da allora di acqua sotto i ponti, ma le cose forse sono solo che peggiorate rispetto ad allora. Non in questa stagione, quando finalmente ha ritrovato la top 30 e delle belle soddisfazioni. Quando finalmente è tornato dopo 4 anni, dopo proprio quel 2021, a tornare a giocare a casa sua, a Roma. Il suo torneo.
Le premesse non erano state male, con una vittoria grintosa, per quanto tennisticamente non brillante, contro Fearnley. E c’era grande attesa per il match contro Casper Ruud, la partita contro il top 10, da impresa. Quella classica partita in cui Matteo è capace di esaltarsi e cacciare il meglio, cavalcando anche l’onda del pubblico. Eppure è finita nel peggiore dei modi, con il ritiro dopo aver perso un primo set lottato. Ma, la domanda sorge spontanea: questo inferno avrà mai fine?
Il cuore oltre l’ostacolo
Se c’è una caratteristica che è sempre appartenuta a Matteo Berrettini è quella di mettere tutto sé stesso nelle cose che fa, anche quando non dovrebbe. Anche quando dovrebbe fare un passo indietro. Lo ha fatto in passato, lo fa ancora oggi. E l’esempio calzante è l’aver giocato il doppio, finito nella tarda serata di domenica 11 maggio, insieme al fratello Jacopo. Una scelta fatta per onorare il torneo, la sua città e appunto suo fratello, visto che gareggiare insieme nel torneo di casa è una soddisfazione non da poco.
Ma, valutando anche le sue dichiarazioni dopo aver rinunciato a proseguire l’incontro con Ruud, si è trattato di una scelta forse poco lungimirante. “Quando mi sono svegliato ieri [domenica] ho capito che le cose erano un po’ complesse. Poi l’amore per questo torneo, per questa città, per mio fratello per lo sport che faccio mi ha spinto a provarci fino alla fine. Fino a 10 minuti prima della partita pensavo di non farcela ma ci ho provato”. Verrebbe quasi naturale chiedersi: ma allora doveva proprio giocarlo il doppio? Non poteva farne a meno?
Una domanda che non si può porre a un giocatore come Matteo. Che mette subito le mani avanti, sottolineando come per amore e rispetto abbia ritenuto doveroso scendere in campo al fianco di Jacopo. Per il torneo, per la sua famiglia…e in fondo anche per sé stesso. Perché qui non ci si limita a parlare di tennis, di possibilità di vincere e andare avanti. È qualcosa di molto più profondo.
Profondità e mentalità per farcela
Berrettini è arrivato in conferenza stampa, “al cospetto” dei giornalisti italiani, che quindi conosceva bene, a testa bassa. Mogio. Consapevole di aver perso una bella occasione, di aver dovuto ancora una volta cedere al fisico. Un problema che non è neanche giusto dover sopportare così tanto e con così larga frequenza. E nell’atteggiamento, nelle parole, anche nel lungo sguardo rilasciato a testa alta verso il Centrale del Foro Italico prima di uscire dal campo, c’è la risposta a tante domande.
Berrettini ha giocato il doppio in primis per rispettare Matteo. Per rifiutare i giudizi del destino e tentare, fino alla fine, di emergere. Provarci fino in fondo, comunque vada. In questo sta l’essenza di un giocatore che adora il tennis, adora giocare ed esaltarsi davanti al pubblico. E non scendere neanche in campo sarebbe stata una sconfitta troppo grande e troppo dolorosa per lui. Un ammettere che forse un treno è passato, che il fisico ha il controllo e non è più libero di gestire come vuole la propria carriera. In questo desiderio di competizione, bilanciato da muscoli fragili e un corpo nonostante le apparenze troppo delicato, stanno gli ultimi anni della carriera di Matteo.
Un ragazzo che non va giudicato con durezza o criticato, ma capito e compreso. Perché purtroppo i problemi fisici fanno parte di questo sport, anche quando diventano annosi, quando quasi diventano una routine. Una monotonia che si fa fatica a scacciare. E quando le cose vanno bene si cerca di fare tutto, di rimettersi in gioco al massimo possibile. Perché, dopo 7 ritiri a match in corso negli ultimi 4 anni (senza contare i tornei neanche disputati), è naturale non considerare problemi e dubbi ma buttarsi a capofitto in tutto ciò che concerne il pianeta tennis. Ma non sempre si atterra in piedi. E arriva poi spontanea la domanda: e adesso?
Le prospettive
Non sappiamo come andranno le cose prossimamente per Berrettini, che si è detto però tranquillo: “Non volevo ritirarmi, ma so poi che succede, devo stare 3 mesi senza giocare, ogni starnuto salto. Credo di essermi fermato in tempo, fa male ma non credo di essermi strappato. Forse anche i dottori sono stanchi di vedermi“.
Queste parole possono tranquillizzare gli appassionati italiani. Matteo ha confermato di essersi fermato prima dell’attimo fatale, che sembra non stare così male. Rimane però un altro stop, un’ennesima conferma di un fisico che a volte quasi sembra rifiutare il tennis. E ciononostante Matteo si ostina a caricare, a tentare, a spingere dove solo chi vive di passione può arrivare, anche solo per pensare di poterli prendere certi rischi.
E questo porta affetto e rispetto. Anche dai colleghi, come Casper Ruud, non così felice del modo in cui è maturata la sua vittoria: “Mi sento molto triste per Matteo, so cosa volesse dire però lui questo torneo, è l’eroe di casa e so anche che non aveva potuto giocare a Roma per più anni proprio a causa di infortuni. Il primo set è stato di grande livello e lui di certo aveva lavorato tanto. Matteo è un gran bravo ragazzo, un giocatore fenomenale, a gran livello da tanti anni e so quanto sia stato forte per ritornarvi più volte dopo gli infortuni. Purtroppo è la parte brutta del nostro sport, gli auguro una ripresa veloce in modo possa essere pronto per il Roland Garros e per l’imminente stagione sull’erba”.
Inutile nascondersi, la speranza più grande è che Berrettini possa riprendersi del tutto per il mese di giugno. Quando inizierà la stagione su erba, verso il “suo” Slam, Wimbledon. Sui prati il servizio e il dritto di The Hammer, come piace chiamarlo a chi con lui ha iniziato a sognare un’altra Italia tennistica, dettano ancora legge. Sono un’assicurazione sulla vita. Una vita che Matteo, romano fino al midollo, sta vivendo come avrebbe sempre voluto: giocando a tennis, prendendo le sue scelte, anche quando forse sono rischiose.
Tornerà al suo massimo, riprenderà da dove aveva finito, lo rivedremo a certi livelli di classifica? Non sono le domande che contano. Conta che la voglia è immutata, che il desiderio di competere, di vincere, rimane lo stesso di un ragazzino sognatore nel corpo di un uomo che finalmente ha riassaporato l’aria della capitale, la sua aria. Con l’augurio che, presto o tardi, possa godersela senza problemi come merita.