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Carlos Moyá sulla ‘filosofia Alcaraz’: “Forse sta esigendo qualcosa che non esiste”

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Dal ritiro dalle scene di Rafael Nadal, Carlos Moyá si sta godendo una pausa dal tennis. Una pausa che lui stesso definisce “un periodo di disintossicazione”, dopo anni passati in giro per il mondo prima da giocatore, poi da coach. Eppure, anche da spettatore più distante, l’ex numero uno del mondo e vincitore del Roland Garros 1998 non può restare indifferente a ciò che accade nel suo mondo. Soprattutto se al centro del dibattito c’è Carlos Alcaraz, intorno a lui ruota l’ultima intervista rilasciata a Nacho Encabo di Relevo.

Il documentario Netflix ‘A mi manera, in cui il murciano racconta la propria volontà di sedersi al tavolo dei Federer, Nadal e Djokovic “a modo suo”, senza rinunciare alla vita privata, ha acceso molte discussioni. Moyá, pur non avendolo ancora visto, ammette di aver letto abbastanza per farsi un’idea: “Dei tre che hanno scritto la storia di questo sport, nessuno lo ha fatto come predica lui”, ha commentato. “Ma magari è un pioniere, un guru, e ci riesce comunque”, ha aggiunto con un sorriso, lasciando intendere che la via scelta da Alcaraz è quantomeno inedita.

Moyá si riconosce parzialmente nel giovane Carlitos: “Anch’io ho avuto 21 anni, anche se a un altro livello. La mia ambizione non è mai stata quella di diventare il migliore della storia. Forse è lì che nasce il conflitto: voler essere il migliore di sempre senza sacrificare tutto. È possibile? Io lo vedo difficile. Già da “schiavi del tennis” è quasi impossibile”. Poi aggiunge: “Forse Alcaraz si sta esigendo qualcosa che non esiste. A 21 anni non si può essere perfetti. Ci vuole tempo, esperienza. La vita e le sfide ti portano verso la tua versione migliore”.
Un pensiero lucido, che non esclude però l’ammirazione per ciò che Alcaraz ha già fatto: “Ha vinto quattro Slam. Ce ne dimentichiamo, ma è qualcosa di straordinario. Ed è impossibile arrivarci senza disciplina. Anche se oggi rivendica la libertà e il diritto di vivere il momento – e lo ha meritato – dietro c’è tanto lavoro”.

Un passaggio del suo intervento ha fatto anche chiarezza su un altro punto: il paragone con Rafael Nadal, spesso dipinto come simbolo di totale sacrificio. “Rafa non è stato uno schiavo del tennis. Non lo vedevi a eventi o alla Formula 1, ma ha avuto una vita piena. Io lo conosco bene. Ha avuto hobby, tempo libero, ha vissuto. La disciplina non vuol dire privarsi di tutto”.

Sulla stessa linea si è espresso Roberto Bautista Agut dopo la sconfitta contro Zverev a Madrid. Lo spagnolo, oggi 37enne, ha sottolineato quanto il tennis d’élite imponga una dedizione assoluta: “Non credo si possano vincere Slam andando a dormire alle sette del mattino. Il tennis è esigente. Carlos è giovane, intelligente, e sono certo che col tempo capirà cosa serve per restare a quel livello per quindici anni”.

In un momento in cui il tennis spagnolo attraversa un ricambio generazionale, Alcaraz resta il simbolo di una nuova era. Moyá lo osserva da lontano, con affetto e realismo: “È un giocatore unico e tutti amiamo vederlo giocare. Sta vivendo il momento e se l’è guadagnato. Ma la sostenibilità di questa filosofia, nel lungo periodo, resta tutta da verificare”.

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