Notizie

Carlos Alcaraz e la programmazione: storia di scelte rivedibili

0 2

Carlos Alcaraz è un fenomeno. Gioca in maniera divina a tennis, sa fare praticamente tutto, e in qualsiasi parte del campo. Anche mentalmente, nonostante dei bruschi blackout in alcune situazioni, è un top player. Capisce quando accelerare, riesce a gestire la pressione, raramente va in difficoltà nei momenti importanti. E sin dalla più tenera età, mai ha sofferto del “braccino del tennista”. E allora che bisogno c’è di scrivere un articolo all’indomani del suo sfortunato forfait dal torneo di Madrid, vinto nel 2022 e nel 2023? Perché il vero problema di Alcaraz, che Jannik Sinner (ideale rivale ed eterno metro di paragone) ha risolto appena arrivato al top, è la programmazione.

La scelta dei tornei da giocare spesso è dettata da esigenze emotive o economiche del murciano, e dall’incapacità di fare un passo indietro. E questo porta a problemi fisici che lo costringono a saltare tornei importanti, che spesso soffrono anche della sua mancanza. O della sua condizione non ideale, anche se riesce a presentarsi ai nastri di partenza, come accadde proprio a Madrid nel 2024. Ma qual è il problema di Carlitos? Perché, nonostante tanti stop forzati, continua ad ostinarsi?

Sognando Nadal

Essere uno spagnolo precoce, fortissimo a giocare a tennis, porta paragoni ingombranti. Con un nome e un cognome: Rafael Nadal. Nonostante uno stile di gioco differente, e un dominio sulla terra mai così evidente, sin da subito Alcaraz è stato paragonato al maiorchino. Un’investitura, per un 19enne (ora 21enne), non da poco. Che per quanto piacere possa fare, porta con sé degli strascichi. Responsabilità e scelte sbagliate dettate dalla voglia di raggiungere gli storici risultati e il mito che è stato Nadal. Anche nel gestire la programmazione come faceva il nativo di Manacor.

Nadal non saltava nessuno degli eventi primaverili su terra, giocando nell’ordine Monte Carlo, Barcellona, Madrid (Amburgo fino al 2008), Roma e Roland Garros. Quasi sempre vincendo: 59 le finali del maiorchino in questi cinque eventi, di cui 52 vinte, e una percentuale dell’88,1% a raccontare quanto abbia dominato. Soprattutto da un punto di vista strettamente fisico… per cui ha pagato dazi salati nel corso degli anni. Dovendo alle volte anche lui rinunciare a dei tornei, ma più spesso stringendo i denti, anche quando le cose andavano male. Soprattutto quando di mezzo c’era l’amata terra. Ma Alcaraz non è Nadal. E alcune scelte di programmazione, andando avanti, appaiono sempre più scellerate.

Alcaraz, bisogna saper scegliere

Non tanto la Laver Cup o il Six Kings Slam, che rimangono esibizioni che chiedono un esborso psico-fisico non propriamente intollerabile. Ma i tour de force che, in accordo anche con il suo team, si auto-impone. Sarebbe infatti sconsiderato sottovalutare, o negare l’impatto negativo, della sua partecipazione a Barcellona. Dopo aver vinto il suo primo titolo a Monte Carlo, giocando comunque delle partite dure. Perché, e qui sta una grande differenza con Nadal (per rimanere sui termini prima portati come esempio), in un torneo raramente Alcaraz riesce a dominare più partite senza sprecare troppe energie. Una caratteristica invece tipica del gioco su terra di un fenomeno come Rafa. Che gli permetteva di arrivare sempre in fondo, ma consumare di meno. E anche dal punto di vista del gioco, i recuperi folli e i punti strabilianti sin dai primi turni… potrebbero essere quantomeno ridotti.

Innegabilmente il torneo di Barcellona, perso in finale, ha aggiunto ulteriore stanchezza, causando il problema all’adduttore che è costato poi il torneo di Madrid a Carlitos. Che nel 2024 aveva rinunciato invece al 1000 di Monte Carlo dopo una trasferta americana impegnativa, in cui aveva giocato anche sulla terra sudamericana a febbraio prima del Sunshine Double. E, per quanto senza dubbio non sia un problema insormontabile, è un errore da risolvere. E anche alla svelta. Perché una buona programmazione è alla base di una carriera longeva e ricca di successi.

E alle volte bisogna avere la freddezza e la maturità di rinunciare a tornei di cui si può fare a meno (come Barcellona) per un bene superiore. Al di là dell’aver perso la possibilità (comunque tutt’altro che così alla portata) di poter diventare n. 1 dopo gli Internazionali d’Italia, il murciano corre il rischio molto concreto di dover saltare anche Roma. Per il secondo anno di fila. E di questi stop forzati potrebbe risentire la preparazione in vista del Roland Garros, dove ci sarà da difendere il titolo del 2024.

La verità sta nel mezzo?

Ma, come spesso capita in queste situazioni, non è detto che la spiegazione più immediata poi sia quella giusta. Alcaraz, che dal 2022 (anno dell’esplosione) ha sempre giocato tantissimo, non sembra dare la colpa al giocare troppo anche tornei “evitabili”. In un’epoca in cui anche i Master 1000, nella versione gargantuesca da dieci giorni, sono diventati uno sforzo non indifferente dal punto di vista fisico e mentale. “È la prima volta che vado così avanti a Monte Carlo”, ha spiegato il murciano in conferenza stampa, “ma è stato anche il primo anno in cui ho perso subito a Miami.

Ho avuto modo di preparare al meglio la stagione sul rosso, ma non è mai facile passare da una superficie all’altra, dal cemento alla terra battuta, giocare tante partite di fila, viaggiare e non avere tempo per riposare e tornare al 100% per il torneo successivo. Noi tennisti spesso dobbiamo prendere decisioni difficili. Il calendario è molto fitto, i tornei sono impegnativi settimana dopo settimana e a volte devi pensare a te stesso e fare scelte giuste per la tua salute. Sono sicuro che dovrò prendere decisioni simili più volte. Penso che, per quanto possibile, meno situazioni analoghe si debbano affrontare meglio è, ma il tennis è così”.

Dunque, benché molto deluso, Alcaraz è ben lungi dal fare una sorta di mea culpa e prendere atto che, se vuole ragionare da top player, dovrebbe cambiare qualcosa. Compito chiaramente anche di Ferrero e degli altri membri del suo team, che dovranno saper responsabilizzare un ragazzo comunque ancora molto giovane. L’onda Sinner, da questo punto di vista, è perfetta da cavalcare. L’azzurro nel 2024 ha preso parte a 16 tornei, raggiungendo almeno la semifinale in 12 di questi (senza contare la vittoria della Davis). Giocando quindi tanto, anche in settimane consecutive, ma senza esagerare. L’unico grande torneo saltato per infortunio, che poi si rivelò non grave, fu proprio Roma.

Ciò non vuol dire che Sinner sia per forza migliore di Alcaraz, né l’obiettivo è elogiare l’azzurro rispetto allo spagnolo. Ma, trattandosi dei due nuovi volti del tennis, è il giusto metro di paragone per la gestione di una stagione. Così da poter assistere a duelli di qualità tra questi due grandi giocatori. Possibilmente in fondo ai tornei che contano, e un po’ dovunque. Da gennaio a novembre. Senza il rischio, come accaduto nelle ultime due stagioni, di vedere a fine stagione un Alcaraz rimasto senza benzina.

Anche perché, tra forfait e uscite premature, a pagare sono sempre di più i 1000. Fosse stato uno Slam, Alcaraz avrebbe probabilmente stretto i denti e quantomeno provato a scendere in campo (come fece Sinner a Wimbledon contro Medvedev). Mentre ormai sembra che qualsiasi competizione al di fuori dei quattro Major sia facilmente passabile di rinuncia. Crescendo si matura, e anche queste scelte diventano più facili e comprensibili, e si riesce a dare uno sguardo di insieme che permetta di non commettere “errori di gioventù”. Per il bene di Carlitos, e del tennis stesso. Perché con i migliori attori, i film sono più belli.

Comments

Комментарии для сайта Cackle
Загрузка...

More news:

Read on Sportsweek.org:

Altri sport

Sponsored