ATP Madrid, Djokovic: “Alcaraz si definisce schiavo del tennis? Parole dure, ma lo comprendo”
Novak Djokovic cerca il suo poker personale a Madrid, portandosi così a -1 dai titoli di Rafa Nadal, colui che detiene il record di vittorie nel torneo della capitale spagnola. Il serbo ha vinto nel 2011 proprio contro Rafa, nel 2016 contro Andy Murray (ora nel suo staff) e infine nel 2019 con Stefanos Tsitsipas. In vista del Mutua Madrid Open 2025, dove affronterà il nostro Matteo Arnaldi, in conferenza stampa Nole ha parlato di vari argomenti, molti riguardanti Carlos Alcaraz.
D. Avevi detto che Carlos Alcaraz e il suo livello sono già dove eravate voi. A proposito di infortuni e cose simili, una volta arrivavamo sulla terra battuta e Rafa dominava quasi tutto, magari tu facevi una striscia di vittorie e così via. Ora sembra che questa generazione non riesca davvero a mettere insieme qualcosa del genere, non per il livello, ma forse per l’intensità. Secondo te vedremo mai una generazione capace di vincere le prime 40 partite dell’anno come facevi tu Roger o Rafa sulla terra? O il gioco è diventato troppo fisico?
Novak Djokovic: “Lo prendo come un complimento per me e per la nostra generazione. Però, guarda, non è qualcosa di comune: accadeva una volta ogni cinque stagioni, più o meno. Certo, c’è stato un dominio: Rafa sulla terra, Roger sull’erba, io sul cemento, magari vincevo per tre, quattro anni di fila Indian Wells, Miami, back-to-back. Ma quel livello, almeno per me, è arrivato quando avevo 23-24 anni e poi è continuato dopo. Quindi, diciamo, tra i 23 e i 33 anni è stato il momento in cui succedeva davvero. E Carlos non ha ancora 23 anni. Bisogna ricordare che ciò che ha fatto alla sua età non è affatto normale. Sono sicuro che lo vedremo spesso sul grande palcoscenico, con trofei importanti in futuro, per i prossimi 10 o 15 anni, finché giocherà. La competizione c’è sempre. Ogni generazione ha la sua. È difficile confrontare le epoche.
Negli ultimi 20 anni siamo stati soprattutto noi quattro a dominare. E ovviamente, con il ritiro dei miei tre più grandi rivali, si sente uno spostamento, non solo generazionale ma anche nell’attenzione del pubblico. Serve un po’ di tempo perché le persone accettino che Roger, Rafa e Murray non ci siano più. E un giorno toccherà anche a me, ma sto ancora cercando di restare lì e rappresentare la vecchia guardia. Anche per questo continuo a giocare: penso che aiuti il tennis a restare sotto i riflettori, con la gente che viene a vedere i tornei. Se guardi i numeri di affluenza negli Slam e in tornei come Indian Wells, sono da record negli ultimi anni. È una buona notizia: il tennis non dovrebbe dipendere solo dalle grandi stelle. Deve sopravvivere a chiunque e lo farà. Lo sport è più importante di qualunque individuo. Siamo tutti al servizio del tennis. Quando giochi, così come in tutto ciò che fai fuori dal campo come top player, cerchi di contribuire alla popolarità del tennis, di portare più persone – bambini, giovani – verso questo sport. E vedo che sta accadendo, anche se ci sono ancora molti passi da fare”. Ecco, più o meno è tutto.”
D. Quando ti fanno un contro-drop shot, tu riesci rincorrere e magari rispondere con angolo. Sei probabilmente il migliore in questo.
Novak Djokovic: “Lo ero (ride). Negli ultimi anni i drop shot non sono stati proprio eccezionali“.
D. Quanto è difficile quel colpo? E qual è il segreto?
Novak Djokovic: “Dipende da dove ti trovi e dalla situazione. Se la traiettoria della palla sta per rimbalzare una seconda volta, l’opzione migliore è spesso una risposta corta, incrociata, – un contro-drop shot insomma. È difficile da eseguire, ma molto efficace se l’avversario è sulla linea di fondo. Ma è una decisione che prendi in una frazione di secondo. Serve una sorta di visione profetica della posizione dell’avversario. Se lo vedi avanzare, magari cambi all’ultimo e provi un colpo lungo. Il tennis è questione di margini sottilissimi. È come un gioco del gatto e del topo, una sfida tattica. Sulla terra, il contro-drop shot è una buona scelta, anche sull’erba se ben eseguito con la giusta rotazione“.
D. Tra poco saranno 10 anni dalla tua finale del Roland Garros contro Stan. Dove la collochi tra le migliori prestazioni contro di te? E che ricordi hai?
Novak Djokovic: “È stata una delle sconfitte più dure. All’epoca non avevo ancora vinto il Roland Garros. Non giocavo contro Rafa in finale e pensavo di avere una buona occasione. Ma Stan me l’ha portato via, giocando un tennis incredibile. Scherziamo ancora su quei pantaloncini famosi che indossava. È andato anche in conferenza con quelli. Da allora l’ho odiato (ride), ma siamo grandi amici. È un giocatore incredibile e una persona che ammiro. È molto sottovalutato. Ha vinto un oro olimpico, tre Slam. È una carriera fantastica. Ha 40 anni, con chissà quante operazioni, e continua a spingere, ad arrivare presto ai tornei, ad allenarsi duramente. Questo è impressionante. Ammiro lui e anche Andy, che è sceso nei Challenger per ricostruire il ranking. Non ho mai dovuto farlo, e spero di non doverlo mai fare, ma rispetto tantissimo chi lo fa. È lo spirito del campione”.
D. Juan Martin del Potro ha detto che sarebbe disposto ad allenarti se entrasse nel tuo team. È possibile o sei a posto così?
Novak Djokovic: “Per ora va bene così, ma mai dire mai. È un grande amico, una persona che rispetto molto, e abbiamo passato un bel momento in Argentina per la sua partita d’addio. È stato un onore giocare con lui l’ultima partita. Era a Miami a vedere alcune delle mie partite. Abbiamo parlato di tennis ed è stato interessante sentire il suo punto di vista. Vedremo. Sono ancora un giovane giocatore, ho ancora tanti anni davanti (sorride)“.
D. È uscito in Spagna il documentario su Alcaraz e c’è una frase in cui dice di sentirsi “schiavo” del tennis, per la totale dedizione richiesta. Tu ti sei mai sentito così?
Novak Djokovic: “Capisco che sia una parola forte, ma comprendo cosa intende. Il tennis è uno sport individuale e richiede il 100% delle tue energie fisiche, mentali ed emotive. È molto più che colpire una palla. Ti porta via anni della tua vita, ma alla fine è una tua scelta. Sappiamo che ci sono persone in situazioni molto più dure, quindi non voglio sembrare arrogante. Siamo fortunati a fare ciò che amiamo. Certo, non è facile. Una delle difficoltà maggiori è la durata della stagione, la più lunga di tutti gli sport globali: inizia a gennaio e finisce quasi a dicembre. E con i Masters 1000 che durano due settimane, ormai abbiamo quasi 12 Slam all’anno. Quindi sì, può essere stancante e logorante. Ma ci sono anche tante gratificazioni. È giusto riconoscere entrambe le facce. Capisco quello che ha detto Carlos, anche se forse ha scelto un termine un po’ duro“.