Cahill a 360°: “Ho smesso a 25 anni e ho iniziato a spillare birre. Sinner ha una saggezza impressionante”
La più classica delle interviste a cuore aperto, quelle nelle quali riesci nel più classico dei deep dive nell’animo di chi, solitamente, è restio a farlo, non per scortesia e inattitudine, ma perché per certi viaggi nei ricordi e dentro se stessi, serve tempo. Quel tempo che durante la vita del circuito professionistico è sempre meno soprattutto questi momenti. La giostra va sempre veloce, abituarsi alla sua forza centrifuga è sforzo fisico e mentale. Ma ci sono attimi in cui, la giostra si ferma, si scende (magari per tre mesi…) si respira e si guarda oltre. È quello che è successo a Darren Cahill, uno dei due allenatori di Jannik Sinner, dopo la soluzione trovata con Wada e la sospensione di tre mesi del numero 1 al mondo per il caso Clostebol, che ha concesso questa bella intervista al Podcast Tennis Insider Club, condotta da Caroline Garcia e dal marito Borja Duran.
I primi approcci con lo sport tra football e tennis, poi la scelta
Cahill ricorda com’è stato l’approccio al tennis: “Mio padre era un famoso giocatore di Football americano e ho giocato fino all’età di 16 anni, ma ha sempre amato il tennis e se ne avesse avuto le possibilità sarebbe stato un ottimo mancino. Ad un certo punto della nostra vita abbiamo comprato una casa con un campo da tennis e passavamo le ore a giocarci, dopo gli allenamenti di football. Ad un certo punto ho dovuto scegliere che sport praticare, ed ero più bravo a tennis. Poi, vista la pressione che c’è nel football australiano, ho scelto il tennis. Ed eccoci qui.”
“Ho giocato tornei satelliti per circa 3-4 anni girando il mondo e cercando di ottenere il mio primo punto ATP che è arrivato all’età di 18 anni. Poi quando ero intorno alla posizione numero 300, ho partecipato al mio primo Roland Garros, nel 1983, sono arrivato al terzo turno e da lì sono arrivati i punti e la mia carriera ha preso il volo. Ho cominciato tardi ritrovandomi a competere ad alto livello saltando la fase da teenager, come i grandi del mio tempo: McEnroe, Becker, tutta gente che già da giovanissimi hanno raggiunto livelli molto alti. Non avevo un grande talento, la mia fortuna è stata l’etica del lavoro. Ricordate Brad Gilbert e il suo libro Winnig Ugly? Ecco io ero così: sapevo come infastidire i miei avversari con il mio gioco e vincere le partite.”
Da giocatore ad allenatore, da Hewitt ad Agassi
“Ho interrotto la mia carriera da pro a 25 anni a causa degli infortuni; dovevo recuperare il gap con gli altri e ho lavorato fino allo sfinimento, stressando troppo il mio corpo. Tornassi indietro andrei più lentamente per godermi di più la mia carriera. Ho speso tanti soldi per provare a tornare in campo ma senza riuscirci. Ero senza soldi, ho comprato un bar ad Adelaide e ho imparato a spillare le birre. La mia fortuna è stata bussare alla porta di un giocatore di 12 anni di nome Lleyton…e il resto è storia.
Lui era come una Porsche, ma senza freni. Avevamo problemi, non sapevo come risolvergli e gli dicevo: vai più forte. E così siamo arrivati al numero 1 al mondo. Poi, però sapevamo che saremmo andati a sbattere, perché senza freni. È quello che è successo per problemi sia dentro che fuori dal campo. Subito dopo ho iniziato ad allenare Agassi e ci siamo ritrovati in finale a San José: Agassi-Hewitt. Una delle migliori partite dell’anno vinta da Lleyton che subito dopo aver vinto mi guardò. Un po’ di pepe nel tennis non guasta”.
“Il rapporto tra Agassi e il tennis è difficile, come scritto nel libro. Per lui è stato difficilissimo trovare un equilibrio tra la soddisfazione per la vittoria e il dolore per la sconfitta. Ha sempre prevalso la seconda, ecco perché ha molto sofferto. Le cose sono cambiate quando ha incontrato sulla sua strada Steffi Graf, una persona incredibile, non solo ovviamente come tennista, ma come donna di famiglia. Ha trovato un incredibile equilibrio nella sua vita privato. Ha incontrato una donna incredibile che gli ha dato uno scopo, oltre il tennis, come ad esempio tutte le opere di beneficienze. Lui ha iniziato a giocato per questo: per essere una persona migliore, per aiutare gli altri. È un uomo straordinario, incredibilmente intelligente.”
Il programma Adidas e Simona Halep
“È stata una bellissima esperienza: il programma Adidas mi ha permesso di non essere il coach di un singolo atleta ma di più atleti contemporaneamente, intervenendo quando necessario, dando consigli o mentoring. L’unica cosa meno bella è stata che, se si trovano di fronte due giocatori Adidas dovevi fare un passo indietro. Mi ha insegnato tantissimo, a parlare con tanti giocatori contemporaneamente. Poi è arrivata Simona Halep, conosciuta durante il programma. È una persona fantastica e una giocatrice eccezionale. Ha vinto Wimbledon, battendo in finale la più grande di tutte: Serena. Quando giocavi con lei sapevi che era una battaglia sempre; non aveva un gran servizio, non aveva un gran dritto da fondocampo, difficilmente scendeva a rete ma dovevi faticare ogni singolo punto. Le piaceva semplicemente correre e competere”.
Il segreto di Sinner: mantenere la gioia
Poi, un consiglio universale che sembra cucito su misura per Sinner: “Mantieni la gioia. Metti un sorriso sul volto, goditi ogni momento, perché la carriera di un tennista non dura abbastanza a lungo. Arriverà un giorno in cui non potrai più competere e guardandoti indietro penserai: vorrei poterlo fare ancora. Quindi, indipendentemente dalle difficoltà, non perdere mai la gioia”.
Un mantra che sembra aver guidato Jannik nell’ultimo anno, segnato da sfide straordinarie e da successi incredibili, nonostante il peso di una vicenda extra-campo che avrebbe potuto minare la sua serenità.
La gestione del team, le specifiche di un allenatore e l’addio annunciato: il ciclo naturale di un coach: “Ci sono tre elementi che un allenatore deve sviluppare nel proprio giocatore. C’è la tecnica, c’è la tattica e c’è la parte emotivo, che è il modo di comunicare al giocatore cosa stai cercando di ottenere da lui. Questa ultima parte è più complessa e viene con l’esperienza. Non esistono allenatori bravi in tutto. Nel nostro team sappiamo di poter contare su Simone Vagnozzi che è molto più bravo di me nella tecnica, ne parliamo ma la decisione finale è la sua. A livello tecnico siamo allo stesso livello, io forse sono più bravo a livello emotivo, a saper trasmettere a Jannik quello che serve per gestire determinati momenti. Ecco perché il nostro team funziona”.
Darren Cahill sembra deciso a chiudere il proprio percorso con Sinner al termine della stagione. Una scelta dettata dalla sua filosofia di coaching: “La finestra temporale ideale per un allenatore è di tre o quattro anni. Superato quel periodo, il rischio è diventare più un manager che un vero coach. Dopo un certo tempo, l’atleta ha già assorbito tutti gli insegnamenti possibili, ed è giusto introdurre una voce nuova, una prospettiva diversa, per continuare a crescere”.
L’inizio del sodalizio: un’intuizione folgorante
Cahill ha ricordato il primo incontro con Jannik: “L’ho commentato quattro o cinque anni fa per ESPN e ho pensato: ‘Oh mio Dio, questo ragazzo è speciale‘. Il suono che produce colpendo la palla, il modo in cui si muove: era chiaro che sarebbe diventato un grande giocatore. Riccardo Piatti stava facendo un ottimo lavoro con lui. Quando abbiamo iniziato a collaborare, ci siamo dati un periodo di prova di tre o quattro settimane sull’erba. Ha perso al primo turno contro Tommy Paul, non un grande inizio, ma già si intravedevano le sue potenzialità”.
Da quel momento, il percorso insieme è stato costellato di successi e miglioramenti costanti, fino alla vetta del ranking mondiale.
La maturità di Sinner: oltre la sua età
Se c’è un aspetto che ha colpito Cahill più di ogni altro, è la maturità di Sinner. “Nel nostro team ci siamo impegnati a proteggerlo nell’ultimo anno, facendogli capire che non aveva nulla di cui vergognarsi. Ma la verità è che è stato lui a dare forza a noi. Ci ha sorpreso per la sua calma e consapevolezza. Ricordo quando ha cambiato strategia contro Medvedev all’Australian Open: sembrava farlo con una serenità incredibile, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Io sarei impazzito, lui invece lo ha fatto con una compostezza da veterano. Jannik è un ragazzo maturo ben oltre la sua età”.
“Non preoccuparti delle critiche di persone da cui non accetteresti consigli”
Il caso Clostebol avrebbe potuto travolgerlo, ma Sinner ha dimostrato una capacità di gestione della pressione fuori dal comune. “Come ha fatto a ottenere quei risultati con tutto il peso di quella vicenda sulle spalle? Ce lo chiediamo anche noi. Alcuni giocatori portano i problemi in campo, altri li lasciano fuori. Jannik appartiene a questa seconda categoria. Abbiamo discusso delle critiche ricevute da giocatori, allenatori, media, e un giorno mi ha detto: ‘Non preoccuparti delle critiche di chi non accetteresti consigli’. Ha solo 23 anni, ma ha una saggezza impressionante. L’Italia può essere orgogliosa di lui, e con ottime ragioni”.