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La dura vita dei coach nel mondo del tennis

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Nel mondo del tennis uno dei ruoli più complicati da ricoprire è senz’altro quello del coach. E se in campo molti dubitano della loro utilità, gli allenatori sono costretti a fare i conti ogni anno con più di 30 settimane di viaggio intorno al mondo, una pressione costante e una vita all’ombra dei propri protetti.

A tutto questo si aggiunge il fatto che, quando non si allena un giocatore di primissima fascia, il lavoro dipende parecchio dal prize money dei tornei e che quando per un tennista le cose non vanno benissimo il primo a farne le spese è proprio il coach.
Intervistato dal quotidiano australiano ‘The Age’, ha parlato dell’argomento Bryan Shelton, da giocatore protagonista di una solida carriera in top-60, poi allenatore di college tennis e adesso al seguito del figlio Ben, presente e futuro del tennis a stelle e strisce:
 “In generale, una volta approdati nel tour, il rapporto giocatore-allenatore si capovolge perché nel tennis giovanile, e persino a livello universitario, è l’allenatore il capo. Molte volte, gli allenatori camminano in punta di piedi per non irritare i giocatori, quindi può essere difficile imporre la propria idea di tennis. Vedo alcuni giovani allenatori subire abusi e penso: ‘Accidenti, non va bene’. Odio vedere come vengono trattati e la mancanza di rispetto di certi giocatori” ha detto l’americano.


Nello stesso servizio viene intervistato anche l’australiano David Taylor, l’allenatore che ha portato Samantha Stosur a vincere lo US Open 2011, oltre ad aver seguito atlete di altissimo livello come Naomi Osaka, Ana Ivanovic e Martina Hingis che ha una posizione molto critica nei confronti dei tennisti che attaccano verbalmente i propri allenatori:
“Non permetto a nessuno di trattarmi male quando sono nel box”, ha affermato.

“Ricordo distintamente la prima volta che mi è successo. Una delle ragazze che allenavo era a una partita di distanza dal rientrare nella top 10, un traguardo importante per lei. Aveva appena vinto il suo primo torneo su erba e siamo andati a Eastbourne, dove la situazione era molto stressante. Ero piuttosto scioccato dal linguaggio usato. Ho sempre visto il coaching come qualcosa di collaborativo, faccio del mio meglio per il giocatore – e spero che il rispetto sia reciproco”.
C’è tuttavia anche il punto di vista dei giocatori, come la numero 1 al mondo e assoluta favorita in Australia Aryna Sabalenka, che afferma:
“Quello che cerco in un allenatore è, prima di tutto, che capisca che quando vado fuori di testa in campo, non è nulla di personale. Ho solo bisogno di sfogare certe emozioni”.
Ma la vita dell’allenatore di tennis non è dura solo da quel punto vista, infatti anche il trovare lavoro non è sempre semplicissimo.Recentemente, i tour ATP e WTA hanno iniziato a fornire ai giocatori un elenco interno aggiornato ogni settimana contenente i nomi di coach liberi e accreditati.

I coach devono far parte del programma per allenatori, che consente loro di segnalare la propria disponibilità sulla piattaforma PlayerZone.
Gli agenti dei giocatori sono comunque coinvolti, sia per avvicinare un potenziale allenatore sia viceversa. Ma il processo non è sempre facile, nemmeno per i coach più famosi. Chiedetelo a Wim Fissette, rimasto temporaneamente senza incarichi dopo aver smesso di lavorare con Naomi Osaka nel 2022. Tutto questo ha portato alla creazione di Unbox Sports, un’agenzia per allenatori lanciata agli US Open dell’anno scorso (una sorta di ‘Tinder’ del tennis).

Yannick Yoshizawa, membro fondatore e CEO, negozia per conto dei coach, mentre Fissette, oggi coach di Iga Swiatek (di recente separatasi dallo storico allenatore Tomasz Wiktorowski) ne è ambasciatore.
Inoltre un altro aspetto che rende la vita dei coach molto complicata è il guadagno: Fissette ritiene che pochi allenatori guadagnino più di un milione di dollari all’anno. Le variabili sono molte: stipendi settimanali, bonus, percentuali sui prize money, sponsor.

Le dipendono anche dalla copertura o meno delle spese da parte dei giocatori: in caso negativo, la percentuale del coach aumenta, ma deve pagare i propri viaggi. I bonus variano in base al prestigio del torneo e al ranking del giocatore. Nei tornei dello Slam, per i coach dei migliori giocatori, i bonus solitamente iniziano ad arrivare dagli ottavi o dai quarti in poi e possono raggiungere il 10% del premio del giocatore, anche se Taylor ha notato che questa cifra sta diminuendo con l’aumentare dei montepremi.

La realtà per molti allenatori è che spesso il loro stipendio dipende da quanto guadagna il giocatore, non hanno la sicurezza di un salario fisso.

A volte i coach fanno investimenti nei giocatori, accettando un compenso iniziale molto basso nella speranza che l’atleta abbia il potenziale per arrivare al vertice. La situazione è diversa quando un allenatore che segue un giocatore fin da giovanissimo entra con lui nel circuito professionistico o in collaborazioni familiari come quella tra Bryan e Ben Shelton.

Niccolò Moretti

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