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ATP Brisbane, Mpetshi Perricard: “Lavoro per arrivare a tirare la seconda a 220 km/h”

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C’è già chi ne parla come di colui che supererà quota 14.470 ace, vale a dire il record detenuto da John Isner. Per adesso, Giovanni Mpetshi Perricard ne ha piantati 600 in “carriera”, con le virgolette a significare che la sua carriera ATP è praticamente iniziata lo scorso maggio alzando il trofeo nella natia Lione, poiché prima di allora aveva disputato appena cinque incontri del Tour. Se da una parte è un pizzico prematuro avventurarsi in previsioni a lungo termine per un giocatore appena arrivato, dall’altra è innegabile che l’attuale media di 19 ace a incontro è un biglietto da visita da guardare con attenzione, considerando anche il distacco con il secondo in classifica, Hurkacz con 13,4.

Intanto, Mpetshi Perricard, lo scorso anno vincitore anche a Basilea senza subire break (sarebbe poi arrivato a 86 turni consecutivi tenuti), dopo Nick Kyrgios ha battuto Frances Tiafoe arrivando ai quarti di finale, dove affronterà Jakub Mensik: “Ha uno dei migliori rovesci tra gli under 21” dice Giovanni del prossimo avversario, battuto nel 2023 al Challenger di Poznan 7-6 al terzo. Non ne gioca pochi di tie-break, il nostro, e il bilancio nell’ultimo anno è di 15-11.

Continuando quasi costretti dall’evidenza a parlare del suo servizio (il rovescio monomane, dallo swing essenziale, ha margini di miglioramento), il ventunenne francese è quinto nell’ultimo anno per game di servizio vinti con l’88,8% (il primo è Jannik Sinner, 91,4%), mentre è 22° per punti vinti con la seconda battuta (52,8%), a volte scagliata a velocità paragonabili alla prima. Aneddotico, ma a suo modo interessante sotto questo aspetto, il punto perso contro Lorenzo Musetti a Stoccarda nonostante il secondo servizio tirato a 235 km/h. “Da giovane, la maggior parte del tempo degli allenamenti non era dedicata al servizio, cercavamo di aggiungere qualcosa al mio gioco” spiega. “Ero alto, la mobilità era un problema, non avevo l’attuale abilità con le gambe. Certo, alcuni coach si sono occupati della tecnica del servizio, diciamo fino ai quindici o sedici anni. Sapevamo che sarebbe stata un’arma in futuro. Posso fare meglio, aggiungere velocità alla seconda, essere più costante, trovare nuovi bersagli”.

Un servizio asincrono (il braccio-racchetta è ancora basso quando la palla lascia la mano sinistra) con tecnica del foot-up, particolarmente fluido, polso rilassato (la racchetta punta in avanti mentre sale), impatto poco sotto l’apice del lancio, quando la palla comincia la ricaduta (come Kyrgios per esempio), che rende più difficile la lettura da parte dell’avversario, per una velocità e un piazzamento di prim’ordine. Quasi inutile ricordare che un grosso aiuto in questo senso viene dall’altezza, 203 centimetri. A differenza però di altri “lunghi”, Giovanni vanta una muscolatura importante. Quando abbiamo appena smesso di sorprenderci davanti a tennisti di 198 centimetri come Zverev e Medvedev che volano sul campo allo stesso modo di quelli alti 1 metro e 85 di vent’anni fa, Mpetshi potrebbe inaugurare l’avvento di un nuovo tipo di giocatore. Anche qui, però, non facciamoci prendere la mano dalle previsioni e torniamo al presente.

Di fronte alla possibilità di incontrare Novak Djokovic in semifinale, rimane con i piedi per terra: “Una sfida che ho nei sogni ma non in testa, non sono ancora in semi. Devo dare il meglio nei quarti”. Incalzato però sull’eventuale confronto con Nole in vista del quale molti giocatori potrebbero avere un po’ di timore, Giovanni dice che “in un giorno fortunato, chiunque può battere chiunque. Non mi piace questa mentalità dell’avere o non avere paura, mi concentro su quello che posso fare: se faccio bene, sono pericoloso, altrimenti tutti possono battermi”. Giova ricordare che un anno fa il classe 2004 non era neanche tra i primi 200 del mondo e ora sarà testa di serie all’Australian Open con l’obiettivo di “passare il primo turno e poi il secondo; se arrivo al terzo, vediamo che succede”.

Strettamente legato al “pericolo” dell’avventurarsi in spericolate predizioni, c’è l’entusiasmo dei piccoli numeri, comunque interessanti: la vittoria di Brisbane su Tiafoe lo mette in cima alla classifica per percentuale di successi dopo sette match contro top 20 dal 1990, la sesta per lui, sconfitto solo da Alcaraz (l’unico top 10, peraltro).

A questo proposito, può capitare che un nuovo arrivato sorprenda avversari molto meglio classificati che in seguito imparano a prendergli le misure. Musetti, che per vincerci a Stoccarda aveva dovuto salvare otto palle break senza guadagnarne alcuna, a Wimbledon si è preoccupato di tenere in campo il maggior numero di risposte: il piano di iniziare lo scambio in un modo o nell’altro ha pagato con cinque break e il successo in quattro set. Il problema è quando Mpetshi non ti fa neanche sfiorare la palla e la faccenda peggiorerà (per gli avversari) quando arriveranno ulteriori miglioramenti negli altri comparti del gioco. Ma non solo negli altri. Quando gli viene domandato a che punto del suo sviluppo come tennista ha capito di poter tirare così forte la seconda, GMP dice che è una cosa “abbastanza nuova. Ci ho lavorato molto con il mio attuale coach nel 2023. Migliorare la seconda era uno degli obiettivi perché la tiravo a 170 senza sbagliare mai. Così lui mi ha detto, ‘puoi aumentare di 10 km, 15, 20, per vedere il tuo limite?’. Credo che ora il limite sia 200, a volte 190, dipende da come mi sento in campo. Chissà, potrebbe essere il mio massimo o magari tra due o tre anni arrivo a 220 all’ora. Vedremo”.
E “vedremo”, com’è naturale che sia, vale in generale per il suo futuro nel Tour, ancora tutto da scrivere.

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