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Zlatan Ibrahimovic, saggezza e taekwondo: 40 anni da supereroe (che conosce i suoi limiti)

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Roma, quartiere di Monteverde Vecchio. È il 19 giugno, fa già un caldo bestiale. In una stanza della clinica privata Salvator Mundi, ci sono tre persone che parlottano: il chirurgo Musahl, l’ortopedico Margeheritini e il direttore medico del Milan, Stefano Mazzoni. A pochi metri da loro, Zlatan Ibrahimovic ascolta e si guarda il ginocchio sinistro: fa male, va operato in artroscopia, non ci sono altre soluzioni. Sa bene che un intervento di cleaning articolare significa un mese senza correre e almeno due senza giocare una partita: sposta gli occhi verso la finestra, guarda il cielo limpido. «È estate, c’è tempo per recuperare», pensa tra sé e sé. Anche a 39 anni suonati, quando quasi tutti – probabilmente – direbbero basta.

La vita di Ibra, d’altronde, è un incessante carosello di sfide. Lo appassionano, lo smuovono, non riesce a stare senza l’adrenalina. Fin da bambino, quando in un sobborgo alla periferia di Malmo affrontava ragazzi più grandi: pallone al piede, ma non solo. In una palestra di arti marziali si è innamorato del taekwondo, fino a diventare cintura nera: in strada non si sa mai, dovesse cacciarsi in qualche guaio. Certo non pensava che gli sarebbe servito su un campo di calcio: con i suoi spettacolari colpi volanti, infatti, ha stregato un talent scout dell’Arsenal. «Zlatan, le tue qualità sono incredibili, noi siamo molto interessati a te», gli disse. «I miei responsabili vogliono vederti durante un provino. Vieni a Londra con me».

«No», le replica secca, «Zlatan non fa provini». Ha mantenuto la parola: dal Malmo è passato all’Ajax, a vent’anni, poi alla Juventus, all’Inter, al Barcellona, al Milan, al Paris Saint-Germain, al Manchester United, ai Los Angeles Galaxy e infine di nuovo al Milan. Perché le sfide gli piacciono, appunto. E ovunque è stato, ha lasciato il suo marchio: «Se i parigini avessero rimpiazzato la Tour Eiffel con la mia statua, forse sarei rimasto». Spacconeria da Ibra, da «Dio Ibra», fa parte del personaggio: che parla di sé in terza persona, come sul palco del Teatro Ariston. Gag ironiche che raccontano la forza mentale di un atleta inossidabile, che ha fatto dell’autodisciplina e della convinzione in sé stesso una sorta di mantra.

«Posso giocare anche con una gamba sola», ha detto nel 2017, quando in Inghilterra si è sbriciolato i legamenti del ginocchio. «Sarò io a decidere quando smettere. E adesso non è ancora il momento». Anche in questo caso, ha mantenuto la promessa. Perché dietro al costume da supereroe, c’è un giocatore che conosce bene il suo fisico, ne circoscrive i limiti, con una consapevolezza che è aumentata con il tempo. Via la maschera, fuori il lato umano: lo scorso marzo si è commosso parlando dei figli durante la conferenza stampa di ritorno in Nazionale, a Sanremo ha parlato delle sconfitte, di come il fallimento non sia il contrario del successo, bensì una sua parte. «Se Zlatan può sbagliare, allora tutti possono sbagliare».

San Siro, 12 settembre. Ibra si alza dalla panchina, si sistema i calzettoni e si guarda il ginocchio. L’allenatore lo chiama, è il momento di entrare: sono passati meno di quattro mesi dall’operazione di Roma, ma lui sta bene. Mette alla prova la tenuta fisica con i primi contrasti, poi si piega per allacciarsi una scarpa: il pallone gli passa di fianco, capisce che deve seguire l’azione, si fionda in area e con un tocco facile facile deposita il pallone in rete. Vieni giù lo stadio: lui alza le braccia, forse ripensa a quel giorno a Monteverde Vecchio dov’è cominciata la sua ultima sfida. Anzi, a dirla tutta la sua ultima sfida è cominciata 18 mesi prima, il 22 dicembre 2019, quando in televisione ha visto Atalanta-Milan 5-0.

Il punto più basso negli ultimi anni rossoneri. Così ha deciso di tornare, di mettersi a disposizione per provare a riportare il Milan nella parti alti della classifica, e a disputare la Champions League. Missione compiuta: ha trasferito alla squadra la sua mentalità e i suoi gol, ha motivato il gruppo e a sua volta ha trovato motivazioni nei compagni più giovani. Oggi, scherzi del destino, compie 40 anni proprio in occasione di Atalanta-Milan, ma lui non ci sarà per colpa di un problema al tendine. «Mi ascolto, non sono Superman e non voglio rischiare. Tornerò presto». C’è da credergli. Lui è Zlatan.

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