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Stadi, mondiali e post-Gravina: i buoni propositi (che non realizzeremo) del calcio italiano per il 2026

“Cara Serie A ti scrivo”: alla fine dell’anno ci si guarda sempre allo specchio insoddisfatti e ci si ripromette di essere più bravi, più belli e più buoni. Magari vale anche per la Serie A: ecco la letterina di buoni propositi che il calcio italiano dovrebbe scriversi per l’anno che verrà.

Nel 2026 assisteremo a un campionato appassionante e combattuto fino all’ultima giornata, che possa coinvolgere i tifosi, tenere alte le presenze allo stadio e gli ascolti in tv, rilanciando l’immagine del calcio italiano in patria e nel mondo. Non è detto che non succeda per davvero.

Nel 2026 (e questo è molto più difficile) saremo ancora protagonisti in Europa: ma le finali di Champions dell’Inter sono state un’anomalia che forse non abbiamo apprezzato fino in fondo. Siamo sempre più marginali a livello internazionale e il rischio di ritrovarci fuori fra poche settimane è concreto. Soddisfazioni potrebbero arrivare da Europa o Conference League, ma ricordiamoci che sono coppe di Serie B.

Dal 2026 cominceremo a fare un calcio più moderno, perché da questo si giudica un movimento, molto più che da una vittoria o una sconfitta: ritmi alti, valorizzare la tecnica di base anche a scapito un po’ della tattica, spazio ai giovani, bilanci sostenibili e non solo sostenuti dai diritti tv che ormai si sono sgonfiati. Questa è la direzione da seguire, mentre noi facciamo tutto il contrario.

Nel 2026 appunto la Serie A produrrà i giovani di cui la nazionale ha bisogno. Intanto però l’unica vera novità del campionato è stata Palestra (e infatti magari se ne andrà presto altrove). Pio Esposito non sta facendo male ma ha trovato poco spazio, Camarda ancor meno. E del “dieci” che ci manca da un paio di decenni ancora non si vede l’ombra.

Nel 2026 avremo degli arbitraggi decenti: non perfetti, perché sbagliare è umano e anche gli arbitri in campo o al Var lo sono. Sono certi errori al limite della malafede, la mancanza di uniformità, la scarsa trasparenza, a non essere più accettabili. Come la spocchia del designatore Rocchi, uno dei principali artefici dello sfacelo arbitrale, che invece rimane intoccabile anche grazie alle solite manovre di palazzo.

Il 2026 probabilmente sarà l’anno della riforma della giustizia sportiva, a maggior ragione se la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronuncerà in favore del ricorso di Andrea Agnelli. Indipendente da ciò che dirà la sentenza e dagli accorgimenti che verranno presi, l’importante è che la giustizia sportiva venga sottratta dal controllo delle Federazioni, e smetta di essere il manganello del potere politico e dei presidenti federali.

Il 2026 è anche l’anno degli stadi. Dovrà esserlo per forza, perché entro il prossimo ottobre dovremo comunicare alla Uefa i cinque impianti per gli Europei 2032, progetti già approvati, finanziati e cantierabili immediatamente, pena la revoca della manifestazione. Peccato che del commissario nominato dal governo mesi fa ancora non c’è traccia. E che da Milano a Firenze a Roma tutti i progetti più importanti siano ancora un’incognita.

Nel 2026 ci libereremo finalmente di Gravina e di tutta l’imbarazzante cricca che lo accompagna e che ha controllato il calcio italiano negli ultimi anni . Purtroppo questo auspicio è direttamente collegato al prossimo.

Già, perché il 2026 dovrebbe essere anche e soprattutto l’anno del ritorno dell’Italia ai Mondiali. I playoff di marzo contro Irlanda del Nord e la vincente di Galles-Bosnia rappresentano davvero un crocevia per tutto il movimento: anche se si tratta soltanto di due partite, il loro risultato va al di là di tutte le dinamiche, perché se quest’anno poi passasse in un istante, come diventa importante che in questo istante, in questo Mondiale ci sia anche l’Italia. Ma questi sono solo buoni propositi. Fra un anno ci ritroveremo ancora qui con la vecchia Serie A. Magari l’Italia di nuovo fuori dai Mondiali e di sicuro i soliti dinosauri al potere.

X: @lVendemiale

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