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Bosman, l’avvocato Dupont: “I padroni del calcio ci sottovalutarono e furono incapaci di reagire. Credo che la sentenza Diarra avrà effetti ancor più rilevante”

L’avvocato Jean-Louis Dupont è stato il front man del pool legale che difese Jean-Marc Bosman nelle tre cause intentate da federazione belga, RFC Liegi e Uefa contro l’ex centrocampista del RFC Liegi, approdate alla famosa sentenza della Corte di Giustizia Europea che, il 15 dicembre 1995, sconvolse il mondo del calcio. Originario di Liegi, 60 anni, Dupont ha rappresentato e difeso nella sua carriera federazioni, club di primissimo livello (Real Madrid, Barcellona, ​​PSG, Juventus, Milan, Porto, PSV Eindhoven, Liverpool, Marsiglia, Lione, Galatasaray, Fenerbahce), giocatori (Mexes, Sergio Conceicao, Mutu, Witsel, Fellaini), allenatori (Mourinho), dirigenti (Antonio Giraudo) e persino la Superlega europea.

Avvocato Dupont, il bilancio del calcio trent’anni dopo la legge-Bosman?
La sentenza presentava due aspetti ben distinti: la libertà dei giocatori alla scadenza del contratto e l’eliminazione delle “clausole di nazionalità”. È questo secondo capitolo che ha cambiato di più il calcio. Se ricordo bene, pochi anni dopo, l’Arsenal, guidato da Arsène Wenger, giocò una partita senza alcun calciatore inglese in campo e senza alcun calciatore inglese in panchina. Il football non era più lo stesso. Ma gli effetti della sentenza Bosman sono spesso sopravvalutati. Ciò che ha veramente cambiato l’economia del calcio è stato il concatenarsi della sentenza Bosman con l’esplosione del valore dei diritti tv.

Nei giorni di quella battaglia legale, lei si rese conto degli effetti di un eventuale successo in tribunale?
Il giorno dopo la sentenza, la stampa internazionale finalmente s’interessò al caso. E, leggendo i giornali, ebbi la conferma di ciò che era il mio sentimento prima della pronuncia della Corte di Giustizia: la sentenza Bosman simboleggiava l’obbligo per le federazioni internazionali e nazionali di sottomettersi all’Ordine pubblico dell’Ue.

Quali furono gli argomenti forti che vi permisero di vincere in tribunale?
Sostenevamo che le regole delle federazioni internazionali e nazionali, che imponevano clausole di nazionalità e non liberavano i giocatori in scadenza di contratto violavano, da un lato, il diritto alla libera circolazione dei lavoratori e, dall’altro, la libera concorrenza. L’Avvocato Generale Lenz della Corte di Giustizia Europea ci seguì su tutta la linea. Lo stesso Consiglio dei Notariati dell’Ue si limitò a darci ragione sulla libera circolazione dei lavoratori.

Le istituzioni sportive sottovalutarono la vostra azione legale?
Senza dubbio. Vivevano talmente nel loro mondo che non immaginavano come una sentenza, emessa da una Corte istituita nel Granducato di Lussemburgo, potesse riguardarle. Quest’atteggiamento ci sorprese perché pensavamo che, prima o poi, i nostri avversari avrebbero cercato di trovare una soluzione amichevole per evitare una sentenza.

Quali furono le reazioni delle autorità calcistiche di fronte al vostro successo in tribunale?
Credo che rimasero paralizzate dallo stupore e quindi incapaci di reagire rapidamente. Solo nel 2001 la FIFA, sotto la pressione della Commissione europea, adottò un regolamento, lontano dall’essere perfetto, ma che, quantomeno, globalizzava la libertà dei giocatori alla scadenza del contratto. Una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue portò quindi a una liberalizzazione del mercato del lavoro a livello mondiale.

Il calcio come ha gestito gli effetti della legge-Bosman?
Il mercato si è adattato alla nuova realtà giuridica. Purtroppo, poco a poco, la FIFA, supportata dal Tribunale Arbitrale dello Sport, ha ridotto le sue regole, limitando eccessivamente la libertà dei giocatori. Tutto questo ha portato al caso Diarra.

L’ex centrocampista di Real Madrid e PSG, oggi 40 anni, nel 2014 decise di lasciare il Lokomotiv Mosca dopo il primo dei quattro anni stabiliti dal contratto e per questa ragione fu costretto a restare fermo una stagione, con l’aggiunta del pagamento di un risarcimento di dieci milioni di euro. Diarra, assistito dallo studio Dupont-Hissel, ha avviato un’azione legale contro Fifa e federazione belga. La Corte di Giustizia ha stabilito che le norme Fifa sui trasferimenti dei calciatori e quelle che riguardano la rescissione dei contratti ostacolano la libera circolazione dei lavoratori e limitano la concorrenza tra i club, ma la vicenda non è ancora conclusa

La questione legale legata a Lassana Diarra potrebbe rappresentare un nuovo terremoto per il calcio?
Credo che la sentenza Diarra avrà un impatto ancora più rilevante rispetto alla sentenza Bosman sulla governance dello sport in generale e del calcio in particolare. Infatti, a seguito della sentenza Diarra, è chiaro che l’unico modo per regolare il mercato del lavoro sportivo nel territorio dell’Unione Europea sarà quello di concludere contratti collettivi Ue tra sindacati che rappresentano gli sportivi e associazioni internazionali che rappresentano le leghe e i club. Il meccanismo è in corso: lo scorso 1° dicembre, FIFPRO Europe, che riunisce trentasei sindacati nazionali di giocatori professionisti, ed European Leagues, con il supporto dell’UEFA e sotto gli auspici della Commissione europea, nell’ambito del “dialogo sociale europeo”, hanno pubblicato una prima risoluzione comune, delineando le linee principali della riforma del “mercato dei trasferimenti”. È un piccolo passo storico ed è interessante vedere come l’UEFA abbia deciso di modernizzare la sua governance, sostenendo i contratti collettivi. Tutti i firmatari della risoluzione invitano la FIFA a partecipare in buona fede e attivamente a questo processo. Vedremo se sarà così. E per il passato, la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza Diarra, ha aperto la strada a un risarcimento per tutti i giocatori e ex-giocatori. Tutto questo ha portato alla recente Class Action “Justice for Players”, già sostenuta da circa dieci sindacati nazionali di giocatori professionisti.

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