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“Ero grassottello, a calcio venivo scelto per ultimo perché il mio corpo non ispirava fiducia. Ho fatto piangere mezza Italia, ecco perché”: così Dany Resconi dopo “The Traitors”

A “The Traitors”, il reality psicologico di Prime Video, ha parlato con il cuore in mano delle difficoltà relazionali che si porta dietro da quando era un bambino. Questo, però, non è bastato ad allontanare da lui i sospetti di essere uno dei tre traditori del gioco ed è stato eliminato anzitempo. Eppure Daniele “Dany” Resconi ha lasciato il segno, e tra una ricetta e l’altra sogna nuove avventure televisive. Milanese, 26 anni, Resconi è uno dei food creator più seguiti, con quasi 1,5 milioni di follower su Instagram e poco meno di un milione su TikTok. Il suo ultimo libro di cucina si intitola “Se il cibo inizia a farti ballare, è perché è veramente buono”, ma la ricetta migliore, la stessa che mette nei suoi piatti così come nella vita di tutti i giorni, è quella che mescola impegno, good vibes e un pizzico di musica latinoamericana.

Perché la scelta di un libro di ricette gluten free?
È un mondo che mi sta appassionando, perché costringe a trovare alternative e sperimentare. Questo mi invoglia a proporre i cibi di tutti i giorni in una chiave adatta a chi soffre di allergie o intolleranze varie, come anche quella al lattosio.

Quanto è importante per te che la cucina sia inclusiva?
Molto. Negli ultimi anni sembra che sempre più persone stiano sviluppando intolleranze, allergie o malattie autoimmuni come la celiachia, ma in libreria se si cerca la sezione gluten free si trovano pochi libri, quindi ci ho pensato io.

Sei attento alle differenze anche fuori dalla cucina?
Amo osservare e analizzare, noto tutto, cerco di stare il più attento possibile a come mi pongo con gli altri. Faccio del mio meglio per far stare a proprio agio chiunque è in mia compagnia.

Quali sono i tuoi primi ricordi legati alla cucina?
Le merende dopo la scuola. Gli altri bambini correvano al parco, la mia preoccupazione, invece, era tornare a casa a far merenda. Per me mangiare è sempre stato un momento quasi religioso, da vivere da soli mentre ci si rilassa leggendo un libro o guardando la tv, oppure in compagnia, stando con i propri affetti e godendosi la convivialità del pasto. Il cibo unisce le persone, dà modo di conoscersi a fondo. Se dovessi consigliare l’appuntamento perfetto sarebbe proprio quello in cui si cucina qualcosa insieme.

Chi ti ha insegnato a farlo?
Mio papà mi ha dato una grossa spinta ad essere curioso, ma ho imparato da solo. Da bambino mi chiudevo letteralmente in cucina, leggevo la ricetta, pesavo gli ingredienti e mi mettevo all’opera in autonomia. In cucina, come nella vita, all’inizio non cerco mai aiuto o consigli, voglio arrivarci da solo. Mi piace il processo del fare qualcosa. Se la prima volta sbaglio, guardo comunque il lato positivo prendendo il buono di quell’esperienza. Ne faccio tesoro per migliorare.

Nell’introduzione del tuo libro scrivi: “Oggi mi muovo a mio agio nella mia pelle, ma come accade per ogni cicatrice o linea che portiamo, ogni corpo è un racconto”. Qual è la tua cicatrice?
Le cicatrici, anche quando guariscono, lasciano un segno sulla pelle, perché bisogna ricordarsi sempre da dove si è partiti e gli eventi che ci hanno fatto cambiare. Siamo quel che siamo anche grazie alle ferite, sia emotive che fisiche, che ci portiamo dentro e fuori dal nostro corpo.

Il rapporto con il tuo corpo non è stato sempre sereno.
Da piccolo ho sofferto di bullismo e di tanti problemi legati alla socializzazione proprio perché tutto partiva dal mio aspetto fisico. Ero un bambino che viveva molto male il fatto di essere grassottello.

Erano gli altri a non farti sentire bene nei tuoi panni?
Più che altro a quell’età si fa l’errore di paragonarsi troppo agli altri bambini. Vedevo quelli più “fighi” venire scelti sempre per primi negli sport e io per ultimo, poi mi guardavo e pensavo che loro fossero più atletici per giocare a calcio, mentre il mio fisico non dava fiducia a chi doveva fare una scelta. Anche per quel che ho vissuto cerco di dare attenzioni a chiunque mi si presenti davanti, perché non vorrei mai che nessuno venisse lasciato indietro. Con me lo hanno fatto molte volte, e ci sono rimasto molto male.

Non ti confidavi con nessuno?
No, non ho mai avuto la necessità di sfogarmi o chiedere una mano. Questo, però, mi ha aiutato a guardarmi dentro, a capire e a cercare di risolvere da solo. Da una parte è stata dura, perché mi sarebbe piaciuto potermi confidare con qualcuno, ma, crescendo, è diventato un punto di forza perché mi ha insegnato a darmi delle risposte e a capire se la strada che percorro è quella che più mi si addice.

Che cosa diresti a chi sta passando quello che hai vissuto tu?
Di non trattare mai gli altri nello stesso modo in cui si è stati trattati. Se veramente ti sei sentito così male, non vorresti mai che nessuno passasse la stessa cosa che hai passato tu.

Oggi il tuo corpo racconta un’altra storia. Come sei arrivato a questa svolta?
Non c’è stato alcun evento preciso, ma una serie di circostanze che si sono incastrate e mi hanno permesso, anno dopo anno, di capire quali sono gli obiettivi per me raggiungibili. La cosa più bella che mi è successa è essere riuscito a trovare un equilibrio. Ci sono voluti coraggio, volontà e continuità anche, banalmente, nell’andare in palestra.

Di recente ti abbiamo visto a “The Traitors”. Che esperienza è stata?
Mi sono trovato in un cast bellissimo che arrivava dalla tv e dal teatro, mentre io ero quello dei social. Non avevo nessuna ansia da prestazione, e neanche la foga di dover per forza emergere e apparire. Mi piaceva di più prendere da parte la singola persona e raccontarmi. Quando, invece, si formavano gruppi di più persone la mia anima si spegneva un po’, ma non era colpa di nessuno, è il mio modo di essere.

Sei rimasto in gioco poco, però li hai fatti piangere quasi tutti.
Ho fatto piangere mezza Italia (ride, ndr), però sono contento di aver trasmesso un messaggio puro e sincero senza dover scendere a compromessi soltanto perché ero in un reality. Credo che questo abbia giocato a mio favore, perché se mi fossi calato nei panni di una persona che non sono non avrei lasciato quel che a conti fatti ho lasciato. Prima di essere un personaggio mi considero sempre una persona: non sarò mai disposto, per tutte le cifre e le occasioni del mondo, a vestire un’anima che non è la mia.

Il mondo della tv ti affascina?
Se dovessero propormi “Pechino Express” partirei subito.

Con chi?
Con qualcuno dell’ambito food come me. Se mi chiamassero per qualche altro progetto televisivo sarei ben felice, è un mondo che mi piace parecchio. Anche il fatto di essere uscito presto da “The Traitors” può essere stato un bene, perché ora le persone potrebbero avere ancora più voglia di conoscermi attraverso altre esperienze televisive.

Nei tuoi reel fai vedere cibi super gustosi, ai limiti del food porn, mentre ormai siamo un po’ portati a demonizzare i piatti poco “healthy”. Come fai a proporre quel tipo di cucina e a mantenere la forma fisica che hai?
Se fai l’equazione il risultato non dovrei essere io, questo è sicuro, però non ti nascondo che anch’io di notte o dopo una serata con gli amici mangio qualcosina. Ovviamente non tutto, ma ho la fortuna di abitare in un contesto di 11 palazzoni con un sacco di famiglie e di bambini. Per me è “dolcetto o scherzetto” tutto l’anno.

Cioè?
Mi citofonano di continuo e do da mangiare ai ragazzini che giocano, oppure porto qualcosa nell’officina di mio papà e al solarium di una mia amica. Ho un sacco di persone che mi vogliono bene, e amo mantenere i rapporti anche con questi piccoli gesti che sono sempre molto apprezzati.

Il sopracciglio tagliato è voluto o una di quelle cicatrici di cui parlavamo prima?
No, è pura estetica. Mi piace avere tratti distintivi: il braccio tatuato, gli orecchini, il sopracciglio tagliato. Non sono proprio lo stereotipo della figura che lavora in cucina, ma questo è il mio stile, e vedo che piace.

Hai dimenticato di citare i denti bianchissimi. Sui social c’è chi ti ha persino attaccato per questa caratteristica.
Ma va bene, anche perché di hater non ne ho. La mia community, per fortuna, è sanissima, quindi qualche hater ci sta, e alla fine è sempre gente che non mi segue. Uno come me abituato a guardare la positività anche quando è nella merda può essere infastidito da una persona su un milione?

Quali sono gli ingredienti metaforici della tua cucina?
Innanzitutto la tranquillità. Quando inizi a cucinare non devi avere pressioni e ansie, perché il cibo è buono se la tua anima trasmette bontà. E poi good vibes. Con questi due elementi puoi fare qualsiasi cosa. Se hai anche una buona compagnia è ancora meglio, così ti fai pure una bella chiacchierata nel frattempo. Cucinare per me è un momento sacro: metto la musica che amo e tutte quelle cose che mi fanno sentire come se partecipassi a una sorta di messa con me stesso.

Musica possibilmente latinoamericana, giusto?
Mi piace da morire quel genere!

Così facendo stai attirando anche follower stranieri?
Prima, quando nei video non parlavo ma c’era solo musica latina, andavo forte nei paesi del Sudamerica. Da quando, negli ultimi mesi, ho iniziato a parlare nei reel chiaramente si è ampliata molto la percentuale di follower italiani, così come dopo “The Traitors”.

Conquistando il pubblico latino potresti diventare il corrispettivo di Raffaella Carrà, ma in ambito food.
Non penso sia mai esistita una showgirl migliore di lei, iconica in tutto e per tutto, quindi sì, sarebbe bellissimo.

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