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Addio a Giovanni Galeone, il filosofo del calcio che insegnava a sognare anche nelle sconfitte

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Il calcio italiano perde uno dei suoi ultimi romantici, un uomo che ha saputo trasformare le panchine in cattedre di pensiero: Giovanni Galeone. Il presidente Aurelio De Laurentiis e tutta la SSC Napoli si sono uniti al cordoglio per la sua scomparsa, ricordando l’allenatore che guidò gli azzurri tra il 1997 e il 1998, in una stagione difficile ma intrisa di umanità e coraggio.

Galeone non è stato soltanto un tecnico: è stato un intellettuale del pallone, un uomo capace di parlare di calcio come di filosofia, di spogliatoi come di cultura. Maestro di Massimiliano Allegri e ispiratore di tanti giovani allenatori, il suo modo di intendere il gioco era insieme spregiudicato e raffinato: costruzione dal basso, libertà d’invenzione, rispetto per il talento.

A Napoli arrivò in un momento complicato, ma lasciò un segno indelebile. Non tanto nei numeri, quanto nello stile: quello di chi, anche in mezzo alla tempesta, non smette di credere nella bellezza del calcio. Amava la parola più del risultato, il gesto tecnico più del tatticismo cieco. Era un allenatore da raccontare, non da analizzare.

Con lui se ne va un pezzo di un’epoca in cui il pallone aveva ancora il sapore del rischio e dell’arte. Un uomo che ha insegnato che il calcio non è solo vittoria o sconfitta, ma un’idea da difendere, una visione da coltivare.

Oggi Napoli lo saluta con affetto e gratitudine. Perché chi ha amato il gioco come Giovanni Galeone non muore mai davvero: continua a vivere nei campi, nelle parole, e in quella nostalgia dolce di un calcio che non c’è più.

di Vincenzo Letizia

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