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Prohaska: “Sarei voluto restare a Roma per sempre. Viola mi disse che doveva vendermi, è stato il giorno più brutto della mia carriera”

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AS ROMA NOTIZIE – Herbert Prohaska ha rilasciato un’intervista all’edizione odierna della Gazzetta dello Sport. L’ex calciatore austriaco ha ripercorso la sua carriera, tornando anche sul suo periodo in giallorosso. Di seguito un estratto delle sue parole al quotidiano.

Dopo il Mondiale 82, ecco la Roma. Il Guerin Sportivo titolava “Herr Più” con la sua foto…
“Primo anno con due stranieri, io e Falcao. Era una Roma un po’ brasiliana, perfetta per me. Giocavamo a zona, uno due tocchi, sfruttavamo il fuorigioco. Il segreto, però, era Liedholm, un genio diverso da Bersellini: parlava poco, gli bastava uno sguardo, ci lasciava giorni liberi che oggi sarebbero impensabili. In quel gruppo sono in contatto con Bruno Conti, fratello per la vita: gli ho appena fatto gli auguri per i 70 anni. La festa per lo scudetto è stata talmente incredibile che, a vedere le immagini a distanza di anni, i miei nipoti sono diventati romanisti. Resto austriaco, ma ammetto che al centro-sud si festeggia in modo diverso”.

Perché è stata breve la sua vita romana?
“Avrei voluto durasse per sempre, in quale altro posto avrei trovato 15° in inverno? Dopo lo scudetto sembrava che Falcao dovesse andare via e avevano preso Cerezo al suo posto. Poi decise di restare e c’era uno straniero di troppo: il presidente Viola, addolorato, mi disse che avrebbero dovuto vendermi e così tomai all’Austria Vienna. Quel giorno è stato il più brutto della mia carriera: se fossi rimasto, magari oggi la mia famiglia parlerebbe romano e non tedesco”.

A proposito di tedesco, che si intende davvero con il suo soprannome “Schneckerl”?
«È un gergo austriaco, in Italia per anni l’avete tradotto letteralmente come “lumachina”: l’associavate alla lentezza, ma io correvo parecchio. Il termine si riferiva, invece, alla pettinatura che portavo da giovane: capelli lunghi e mossi, appunto “schneckerl” in dialetto viennese».

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