Flop Champions League, non è il fallimento del calcio italiano
Alla vigilia del super mercoledì di chiusura della prima fase della Champions League - la tonnara che ha stabilito il tabellone dai playoff in poi -, l'Italia aveva due squadre (Inter e Atalanta) nelle prime otto e una (Milan) in procinto di entrarci. Eravamo solidi alle spalle della ricchissima Premier League nel ranking stagionale, con la prospettiva di poter godere anche l'anno prossimo del quinto slot nell'Europa che conta. E, soprattutto, eravamo un movimento che stava confermando per la terza stagione di fila di essere tornati a pesare nelle manifestazioni internazionali.
E' svanito tutto in meno di un mese, tra errori ed omissioni che hanno scaraventato Juventus, Milan e Atalanta fuori dalla Champions League con un bottino magrissimo se è vero che, da quella vigilia del 29 gennaio, le nostre di Champions sono state capaci di mettere insieme la miseria di 2 sole vittorie (Inter contro il Monaco e l'andata della Juventus con il Psv) contro le 6 sconfitte in 10 partite. Crollo verticale che ha aperto il solito dibattito sullo scarso livello competitivo del nostro calcio.
E' così? Di sicuro non eravamo tornati ai fasti degli anni Novanta prima, nemmeno quando i risultati ci premiavano. Ma è altrettanto certo che non siamo improvvisamente ridiventati la Cenerentola d'Europa. La nuova Champions League ha cambiato alcune certezze e la prima notizia è che nella Top16 sono rappresentate ben otto nazioni contro le sei delle due edizioni precedenti: si sono mischiate le carte a livellati i valori. Il Bayern Monaco si è qualificato per il rotto della cuffia contro il Celtic Glasgow ed altre big come Psg e Manchester City hanno fatto fatica a passare il taglio della prima fase.
E' il modo con cui le italiane hanno salutato la compagnia ad offendere. Tutte fuori contro avversarie sulla carte nettamente inferiori e, nel caso del Feyenoord, per di più mutilati da mercato e infortuni. Tre storie che, però, non possono sorprendere fino in fondo perché le avvisaglie erano chiare da settimane se non mesi. Ad essere cacciato dall'Europa a febbraio non è stato il calcio italiano, ma tre squadre in difficoltà prolungata.
L'Atalanta di Gasperini, ad esempio, sta vivendo un 2025 senza spunti. Tre vittorie in 13 partite giocate, la diserzione da Supercoppa Italiana e Coppa Italia e tante chance buttate via in campionato. Se per due mesi riesci a battere solo Como, Verona e Sturm Graz non è del tutto illogico che tu faccia fatica contro il Bruges, aiutato dall'arbitro dell'andata e da un pizzico di buona sorte al ritorno. I bergamaschi hanno l'alibi di fatica e infortuni. In altro momento stagionale superare l'ostacolo non sarebbe stato un problema.
A Eindhoven la Juventus ha giocato, invece, la partita numero 37 della stagione. E ha messo in mostra pregi (pochi) e difetti (molti) che la accompagnano da agosto e che troppo a lungo sono stati mascherati dal giudizio benevolo della critica. Per quale ragione, all'improvviso, Thiago Motta avrebbe dovuto presentare qualcosa di diverso rispetto alle 36 recite precedenti? Squadra senza identità, con buchi e sbalzi di rendimento dentro il match, poco carattere e tendenza ad abbassarsi paurosamente se attaccata. Il ko contro il Psv è stata solo la conferma di un fallimento su cui si dovranno fare analisi approfondite visti i soldi impegnati tra estate e mercato di gennaio.
Chiusura sul Milan. Fuori per una follia di Theo Hernandez che ha seguito gli errori di Gabbia e Musah a Zagabria e Maignan a Rotterdam. Sorprese? Zero. Nella stagione degli ammutinamenti in campo, delle parole al veleno dei due tecnici che si sono susseguiti in panchina, delle scelte estive smontate in inverno, dei contratti in bilico e della dissennatezza tattica unita alla mancanza di leadership, non è consentito sorprendersi. Anche il Milan non ha fatto altro che recitare se stesso. Dalla Champions League non è stato cacciato il calcio italiano, ma la brutta copia dello stesso.