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Sabatini: “Friedkin doveva richiamare Baldissoni. Ora la Roma si guardi le spalle”

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Walter Sabatini, ex dirigente della Roma dal 2011 al 2017 sotto la guida del Fondo americano Raptor, guidato da James Pallotta, ha rilasciato un'intervista a Il Newyorkese rilasciando alcune dichiarazioni anche sul club giallorosso. Ecco le sue parole: Lei ha lavorato a Roma con una proprietà americana, sotto la presidenza di James Pallotta. Ad oggi tante proprietà americane sono sbarcate in Italia. "La proprietà americana della Roma rappresentata da Pallotta potrei definirla la più europea, italiana, di quelle che ci sono state dopo: Pallotta è entrato subito nel contesto, ha voluto vivere in mezzo alla gente, capiva i problemi e se non li capiva se li faceva spiegare. A distanza di anni posso dire che Pallotta è  stato un presidente americano ma molto vicino alla cultura italiana e al calcio europeo". Eppure ricordo che all’epoca si rimproverava a Pallotta di non essere mai a Roma e di delegare tanto… "Pallotta delegava ma se lo poteva permettere, perché  aveva dirigenti di grande sensibilità e conoscenza, compreso me. Veniva spesso a Roma e incontrava spesso anche i tifosi. È stato un presidente importante. In quell’epoca l’ho anche un po’ sottovalutato ma lui non ha mai osteggiato operazioni di mercato, non ha mai chiesto cose che non potevano essere realizzate, ha sempre difeso gli allenatori e i dirigenti quindi è stato un ottimo presidente". Pensa di essere stato più tutelato come dirigente di quanto non lo siano oggi i dirigenti di due società facenti capo a proprietà americane, Milan e Roma? "Io sono stato molto rispettato ed è stata molto rispettata la mia autonomia, in questo senso sono stato molto fortunato, fortunatissimo. Oggi non è che non vengono tutelati i direttori sportivi: li hanno cancellati. Le nuove proprietà americane o i fondi americani non vogliono più il direttore sportivo: vogliono far loro con i loro scouting che si portano dietro. Vogliono intervenire e scegliere, non capendo che il ruolo e la cultura del direttore sportivo non si esaurisce nel prendere i giocatori o rivenderli. Questi sono gli aspetti più immediati, le cose più delicate un direttore sportivo le fa durante la settimana mediando i sentimenti di uno spogliatoio intero, gli stati d’animo, lavorando sulla testa dell’allenatore. Sono tante le cose che fa un direttore sportivo…". E' vero che i modelli oggi vincenti delle proprietà americane in Italia sono quelli in cui il management è stato affidato a dirigenti italiani, come Atalanta e Inter? "Questa sarebbe la strada più consigliabile. Le faccio un esempio: Mauro Baldissoni è stato un grande direttore generale della Roma, bastava che i Friedkin l’avessero chiamato e tutti i guai che sono successi quest’anno nella gestione tecnica del gruppo non ci sarebbero stati. Basta appoggiarsi alle persone giuste, non è che li devono dotare di superpoteri, sfruttando la competenza e la preparazione che vengono dalla  vita e dall’esperienza nello sport di queste persone. Appoggiarsi a qualcuno così è una cosa che i Friedkin non hanno fatto e sono certo che sia stato un errore". Però è  un dato di fatto che oggi le proprietà di Roma e Milan, Friedkin e Cardinale, non sono amate dai tifosi. "Non è un segreto che i tifosi si vogliono sentire partecipi: una sensibilità evoluta coglie questa esigenza, soprattutto a Roma. Le squadre non sono delle proprietà ma della gente, e a Roma la gente ama la squadra, tanto che l’Olimpico fa il tutto esaurito tutte le partite. Ma questo privilegio non è stato sfruttato al massimo, perché la partecipazione, la gioia e l’entusiasmo dei tifosi vanno anche convogliati, invece non è successo né alla Roma né al Milan. Per quanto riguarda la Roma ho pieno titolo per esprimere un parere perché è un ambiente che conosco, sono un testimone localizzato vivendo a Roma da oltre 20 anni e avendo lavorato qui, mentre per il Milan posso parlare da spettatore esterno. Ma quello che hanno fatto al Milan con Fonseca mi sembra una vera vergogna nel calcio. Questa è una decisione barbara, veramente". Ricordo che con Pallotta fu proprio lei a decidere di interrompere il rapporto… "Decisi io perché Pallotta aveva chiesto a Franco Baldini di fare il suo consulente personale e non c’è nessun direttore sportivo che può accettare una soluzione come questa: tu fai il DS e combatti contro il mondo intero e il tuo presidente ha un suo consulente personale…Allora a che serve il direttore sportivo? Sia bene inteso, non ci sono colpe da parte di Baldini, che aveva solo accettato un’offerta, ma quando è successo io ho ringraziato e me ne sono andato". Le proprietà americane fanno largo uso dei software e degli algoritmi che lei non ama tanto. "Non li amo ma li uso. Non li amo per scegliere i giocatori ma sono un compendio molto importante, possono dare supporto ad una scelta, rappresentano certezze quando esprimono dati inconfutabili, quindi utilizzare dei software nel calcio non è del tutto sbagliato. È piuttosto sbagliato l’uso che se ne fa. Ma non sono un uomo che si guarda solo dietro: guardo dietro ogni tanto ma senza troppa nostalgia, è fondamentale guardare sempre avanti". Guardando avanti, domenica scenderanno in campo Roma e Lazio nel derby capitolino, lei che è stato dirigente di entrambe le squadre che partita si aspetta? "Il derby è sempre derby, inutile chiarire l’importanza di una partita simile. Quello che posso dire è che in questo momento il risultato del derby di Roma determinerà  effetti importanti. La Lazio sta vivendo un momento magico e perdere il derby sarebbe un colpo molto deludente per tutta la popolazione laziale, alla luce dello splendido campionato che stanno disputando i biancocelesti: una sconfitta rischierebbe di rappresentare un freno per una squadra lanciata. Per quanto riguarda la Roma il discorso è molto diverso perché un risultato negativo inciderebbe in maniera pericolosissima nella classifica, perché la Roma si deve guardare alle spalle: mi dispiace doverlo dire ma è una questione aritmetica. La Roma si deve guardare le spalle e deve vivere e affrontare il derby per il risultato". Parlare di Roma che rischia di andare in Serie B non le sembra un esercizio retorico? Alla luce del valore della rosa intendo, rispetto alle competitor che lottano per non retrocedere. Per lei è un rischio concreto? "Ma il calcio è una tragedia, io questo l’ho anche scritto, e come tragedia a volte procura danni irreparabili. Non credo neanche io, valutando il valore assoluto delle squadre, che la Roma possa rischiare però a volte le partite si perdono in maniera del tutto imprevedibile, per un episodio, un calcio d’angolo, un autogol, una situazione non controllabile. Allora speriamo…".  

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