Gianluca Brambilla: “Ho realizzato quasi tutti i miei sogni, oggi il ciclismo è diverso. Mi vedo come direttore sportivo”
Dalle prime pedalate sulle colline venete ai giorni in Maglia Rosa al Giro d’Italia, Gianluca Brambilla ha attraversato più di quindici anni di ciclismo ad alto livello con la stessa umiltà e determinazione di quando correva da ragazzo. Scalatore tenace, intelligente in corsa e sempre pronto al sacrificio, Brambilla ha lasciato il segno in gare prestigiose come il Giro d’Italia, la Vuelta di Spagna e le classiche del calendario internazionale, tra cui le Strade Bianche, dove nel 2016 salì sul podio dietro a fuoriclasse come Cancellara e Stybar. In lui convivono la concretezza di chi ha sempre lavorato sodo e la consapevolezza di aver costruito una carriera giorno dopo giorno, fatta di fatica, emozioni e soddisfazioni autentiche. “Le mie vittorie sono poche – ama dire – ma di grande valore”. Con Gianluca abbiamo ripercorso le tappe più significative di una carriera lunga sedici stagioni, culminata con l’ultima corsa da professionista alla Veneto Classic, sulle strade di casa.
Come hai vissuto questa stagione sapendo che sarebbe stata l’ultima da professionista?
“L’ho vissuta con serenità. Me la sono goduta, anche se all’inizio della stagione ho avuto qualche problema fisico. Nel complesso però sono felice di come sia andata: ho chiuso l’anno con un bel ricordo, e questo per me era importante”.
Sedici stagioni da professionista. Cosa ti resta di tutti questi anni?
“Sicuramente le persone che ho conosciuto. Il ciclismo per me è stata una vera scuola di vita: mi ha insegnato il sacrificio, la disciplina e la capacità di adattarmi. Mi porto dietro un grande bagaglio di esperienza e anche qualcosa di pratico, come l’aver imparato bene due lingue – inglese e spagnolo – grazie ai tanti anni passati in squadre internazionali. In tutti questi anni credo di essere stato bravo a rimanere elastico: il ciclismo è cambiato tantissimo, ma ho sempre saputo adattarmi ai ruoli che mi venivano affidati e alle nuove esigenze di questo sport, che oggi è più veloce e selettivo che mai”.
La Veneto Classic, sulle strade di casa, è stata la tua ultima corsa. Qual è stata l’emozione di quel giorno?
“È stata una giornata speciale, piena di sorprese. I miei amici e il massaggiatore Leonardo Moggio mi hanno regalato un casco personalizzato. Correre sulle strade di casa è stato bellissimo, anche se il percorso era molto impegnativo. Ho chiuso bene la gara, peccato solo per una foratura sulla Diesel Farm. Subito dopo il traguardo mi hanno chiamato per il controllo antidoping, ma appena finito sono andato a festeggiare con gli amici. È stato il modo perfetto per salutare il ciclismo professionistico”.
Dal giorno della Veneto Classic sei più salito in bici?
“No, per ora zero. Non ho proprio voglia di tornare subito in sella, almeno in questo periodo. Preferisco dedicarmi a qualche corsa a piedi o a una partita di padel. Sento di dover recuperare un po’ fisicamente e mentalmente”.
Sei sicuro della scelta di smettere?
“Sì, assolutamente. Il ciclismo di oggi è diventato davvero duro, sia fisicamente che mentalmente. La squadra, la Q36.5, mi aveva proposto di correre ancora un anno, ma sentivo che non sarei più riuscito a dare quel 110% che serviva. È una squadra con grande potenziale, e credo sia giusto che proseguano i loro obiettivi con corridori in grado di spingersi fino in fondo. Io sentivo di aver dato tutto”.
La vittoria al Palio del Recioto in maglia Zalf-Euromobil fu la svolta che ti portò tra i professionisti con la Colnago-CSF. Quanto è stata importante quella squadra per la tua crescita?
“Fondamentale. All’epoca il ciclismo era diverso: si cresceva passo dopo passo. Oggi i giovani passano molto presto nel World Tour, ma allora il percorso era più graduale. Ti insegnavano le regole, anche le cose semplici come andare a prendere una borraccia o fare rifornimento, quelle esperienze ti formano davvero e oggi credo manchi alla maggior parte dei giovani che passano subito tra i prof. La squadra dei Reverberi è stata per me una grande palestra di vita e di ciclismo”.
Qual è stato il momento più bello della tua carriera?
“Senza dubbio la vittoria di tappa al Giro d’Italia, che mi ha permesso anche di indossare la Maglia Rosa per due giorni. Da bambino sognavo di vedere il mio nome accanto a quello dei grandi, e quel momento è stato come chiudere un cerchio. Lì ho sentito di aver raggiunto la completezza”.
E il momento più difficile?
“Quando si sono chiusi i rapporti con la Trek nel 2022. Dopo cinque anni insieme, avevo ricevuto una proposta per restare perché stavo andando forte, ma poi, senza troppe spiegazioni, mi hanno lasciato a piedi. Non mi hanno fatto correre al Giro, poi pochissime gare durante la stagione, sempre a tirare, e niente Vuelta. È stato un periodo complicato, anche perché rischiavo di restare senza contratto. Per fortuna i fratelli Carera mi hanno dato una mano e sono riuscito a entrare nella Q36.5, dove ho ritrovato serenità”.
In un ciclismo che corre sempre più veloce, hai sentito la differenza negli ultimi anni?
“Sì, oggi si corre fortissimo. Il livello medio è altissimo e se non sei davvero al top rischi di non finire le corse. Ma credo di essere stato bravo a restare competitivo fino alla fine, adattandomi alle nuove tendenze e al modo di correre moderno”.
Qual è la tua corsa del cuore?
“La Strade Bianche, senza dubbio. È una gara unica, con un fascino tutto suo. Ma anche la Veneto Classic, sulle mie strade, ha un posto speciale nel cuore. È un percorso bellissimo e molto tecnico”.
E adesso? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Ho sostenuto l’esame da direttore sportivo e mi piacerebbe rimanere nel mondo del ciclismo, magari proprio con la Q36.5. Al momento non c’è ancora nulla di definito, ma sto completando tutti i corsi e l’iter per ottenere la licenza. Credo che il ruolo di DS possa essere quello giusto per me: mi piace lavorare con i giovani e credo di poter trasmettere la mia esperienza”.
Questo sarà anche il primo “off season” da ex corridore. Hai programmi?
“(Ride, ndr). In realtà è più impegnativo di quando correvo! Da quando ho smesso non mi sono ancora fermato un attimo. Spero nei prossimi giorni di riuscire a concedermi un po’ di meritato relax”.
Hai realizzato tutti i tuoi sogni sportivi?
“Quasi tutti. Mi dispiace solo non essere riuscito a vincere una tappa al Tour de France, così da completare la collezione delle vittorie di tappa nei tre Grandi Giri. Ma va bene così, ho vissuto momenti che porterò sempre con me”.
Se potessi parlare al Gianluca dei primi anni di carriera, cosa gli diresti?
“Di non essere troppo pignolo, di non cercare sempre il pelo nell’uovo. Di riposarsi un po’ di più e di vivere le cose con più leggerezza. Se avessi avuto allora le conoscenze di oggi, forse sarei stato un corridore diverso. Gli direi di stare tranquillo: in fondo è solo una gara in bicicletta, nella vita i problemi veri sono altri”.
C’è qualcuno in particolare che vuoi ringraziare?
“Tantissime persone. Prima di tutto la mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto, e poi gli amici veri – pochi ma buoni – che ci sono stati anche quando non ero nessuno. Perché è facile salire sul carro dei vincitori, ma è nei momenti difficili che capisci chi ti vuole davvero bene”.

