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Pagine di vita e riscatto nel segno del ciclismo Brizzi: «Per non sprofondare serve lottare»

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Pagine di vita e riscatto nel segno del ciclismo Brizzi: «Per non sprofondare serve lottare»

Enrico Brizzi, scrittore bolognese che ha esordito col romanzo generazionale Jack Frusciante è uscito dal gruppo, seguito poi da altri classici della narrativa come Bastogne e Tre ragazzi immaginari, è appena tornato in libreria con La primavera perfetta (ed. HarperCollins). Venerdì alle 18 l’autore presenterà l’opera in diretta streaming nell’ambito della rassegna letteraria tutta ferrarese “Autori a Corte”. In attesa dell’incontro l’abbiamo intervistato.

Brizzi, qual è l’origine del libro?

«Due anni fa mentre ero in stazione a Bologna e aspettavo un treno per Milano ho incontrato un clochard. Era fermo su una banchina e ci siamo messi a chiacchierare, mi ha raccontato la sua storia e ascoltandolo ho capito una volta di più che la vita di una persona può sprofondare da un momento all’altro. Per riemergere è necessario lottare, non bisogna arrendersi».

Quindi la storia prende le mosse da questo incontro?

«Sì, il protagonista del romanzo si colloca proprio qui. Luca Fanti, ultraquarantenne bolognese di belle speranze, si ritrova in braghe di tela dopo un matrimonio naufragato. Alla separazione seguono il divorzio e l’allontanamento dei figli, i problemi economici, le incursioni nella droga e una crepa nel rapporto con Olli, il fratello minore, campione di ciclismo di cui lui è manager. Luca si trova in quella cosiddetta “terra di mezzo”, un personaggio di fantasia che però attinge a piene mani alla realtà; molti, me compreso, potrebbero riconoscersi in lui e negli altri protagonisti della storia».

Ne “La primavera perfetta” hanno la forza e la tenacia di riemergere?

«Luca viene portato in salvo dal patron Monteverdi, gentleman di altri tempi; Olli, che pedala indefesso a pane e rigore, capisce che, se non presta ascolto agli altri, della vita avrà sempre una visione molto parziale. Emma, che non è Satana ma solo una moglie ferita, si rimette in gioco con un nuovo lavoro; Virna con un nuovo amore. Nessuno si salva da solo, quando fa naufragio, e tutti dovremmo provare pietà ed empatia, soprattutto per chi sta affondando insieme a noi. Sempre tenendo a mente che niente potrà tornare uguale a prima, perché il tempo scorre a senso unico».

Quindi vivi sì ma senza redenzione.

«Luca non può ritrovare la felicità coniugale che è stata, ma può ristabilire un equilibrio con la ex e recuperare terreno con i figli; Olli, ormai a fine carriera, mena gli ultimi memorabili colpi da sprinter. Brenno fa appena in tempo a rimettere insieme i due pezzi della famiglia Fanti in cui ognuno è fondamentale all’altro, e a vedere il suo campione trionfare. Self-made man terragno che si esprime in dialetto bolognese - dice l’autore -, il direttore sportivo della Maverick-Sideral rappresenta la coscienza, la saggezza delle radici, l’eredità che ci lasciano le persone care trasmettendoti i loro insegnamenti prima di andarsene».

Una storia di amore, vita e ciclismo. Si può dire che la bici è un po’ metafora della vita?

«La bicicletta è sempre stata una compagnia familiare, primo mezzo di trasporto che mi ha regalato indipendenza, che mi ha permesso di esplorare il mondo oltre il quartiere con solo le mappe gialloarancio di Tuttocittà, che mi ha messo di fronte al fatto che il mondo è molto più del cortile di casa tua. In casa mia il ciclismo era uno sport seguito, e ho cominciato a interessarmene da bambino».

Dunque anche vera fede sportiva.

«Assolutamente sì. Io e i miei coetanei guardavamo quei campioni come se fossero dei dell’Olimpo. Moser o Saronni? Merckx o Gimondi? Sotto al podio del Tour de France che incoronava Pantani prima e Nibali poi ho esultato pazzo di gioia; da presentatore del 100esimo Giro d’Italia ho avuto l’occasione di intervistare Indurain e il mito Gimondi, in estatico bilanciamento tra la dimensione del puro tifoso che aspetta dietro al curvone di montagna l’arrivo del Giro e il toccare con mano il mondo del professionismo, magnifico carosello umano». —

Giorgia Pizzirani

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