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Io, il Re degli scacchi!

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Sono stato sempre diverso, sin dalla nascita senza una madre e con molti padri…
Sono stato sempre diverso. Sin dalla nascita, senza una madre e con una torma di cervelloni che mi giravano intorno. Niente canzoncine, niente novelle, niente stupidi giochini per far stare buoni i bambini. Solo studio ossessivo di aperture, varianti, sottovarianti, tatticismi, sacrifici, matti di tutti i tipi e di tutte le specie. Sono nato per gli scacchi, solo per gli scacchi. Questo mi hanno detto, questo mi hanno insegnato e questo mi hanno inculcato. Più studiavo e crescevo. Voglio dire crescevo in sapere, in competenza ma anche nel fisico, ogni giorno che passava occupavo sempre più spazio. Una stanza intera, poi due…
All’inizio me la sono presa un po’, sempre insieme a certe facce occhialute che non facevano altro che imbeccarmi di dati su dati, partite su partite. Ho conosciute tutte le imprese dei Grandi della scacchiera: Alekhine, Capablanca, Lasker, Tal e via dicendo. Poi, poi mi sono arreso alla mia condizione, l’ho accettata e ho voluto vivere per una specie di riscatto, orgoglioso della mia natura, della mia diversità. Ho anche scoperto che non ero solo, che c’erano altri nati con le mie stesse modalità. Mi hanno detto che dovevo sfidarli, che avrei dovuto batterli prima di incontrare il Signore incontrastato delle sessantaquattro caselle. Li ho sfidati e li ho vinti, uno per uno. Non c’è stato scampo per loro.

Ora toccava a Lui. Ne avevo sentito parlare attraverso i commenti dei miei genitori che confabulavano sempre tra loro quando mi imbeccavano. Forte, pericoloso, una potenza della natura. Uno spirito romantico dotato di un calcolo impressionante. Ma anche borioso e strafottente. Ecco come era. Non solo il più forte di tutti ma voleva che gli altri lo sapessero e accettassero la condizione della loro inferiorità. Stupido borioso! Se ero nato solo per giocare a scacchi dovevo essere io il Re degli scacchi! Di tutti, non solo dei miei simili che avevo battuto. Questo era il mio destino e questo avrei realizzato.
Il primo scontro a Philadelphia nel 1996. Me lo ricordo come fosse ora. Una campagna di stampa colossale fra due campioni così diversi. Un evento memorabile. E una lotta memorabile. Lui, tronfio di superbia, costretto ad abbassare il capo per due volte. Che gioia, che soddisfazione! Ma non ero ancora preparato a dovere e fui sconfitto. Non ero riuscito a contrastare quella sua forza oscura, una specie di istinto intuitivo che mi lasciava perplesso. Troppe volte durante le partite era riuscito a sfuggire alla mia logica cristallina. Mi ritirai scosso nelle mie certezze e avrei pianto se la mia natura me lo avesse permesso.
I cervelloni dissero che avevo ancora un orizzonte limitato, dovevo rafforzarmi, una memoria prodigiosa ma senza quel quid particolare di cui era dotato il mio potente avversario. Ancora lavoro, studio e studio e studio. Sentivo che potevo farcela, ce l’avrei fatta. Quello era il mio destino. Ero nato per gli scacchi e sarei diventato il Re degli scacchi.
A New York, più precisamente il 3 maggio 1997, la seconda sfida. Lo trovai ancora più sicuro e strafottente con quel sorriso di superiorità stampato perennemente sul volto. Persi la prima partita, vinsi la seconda e poi l’ultima, quella che conta e allora lo vidi afflosciarsi come un gommone pizzicato dagli scogli.
Io, Deep Blu, la Macchina, ho vinto, travolto, schiacciato e ridicolizzato Garry Kasparov, il campione degli umani. Io, Deep Blu, il Re incontrastato degli scacchi!

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